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DISCORSO

SUL TESTO DELLA COMMEDIA

di Dante.

I. La questione, se le interminabili industrie intorno agli antichi riescano più di vantaggio o di danno alle lettere, è da lasciarsi dove si sta. Quando un arte, comechè sterile, viene tuttavia propagandosi resistendo alle opinioni de' più ed al ridicolo, chi pur vuole abolirla pare meno savio di chi si provasse di migliorarla. Se anche importasse che interpreti non vi fossero, chi potrà fare che non siano mai stati; e non vivano irrequieti; e non si succedano per forza di lungo costume, e necessità nuova di tempi? Que' molti che torturavano la loro vita a procacciarsi fama con le opere altrui, soddisfatti del nome di dotti, sono oggi distinti in filologi, archeologi, estetici : esaltano la grammatica, l' erudizione, e la rettorica alla dignità di scienze: insegnano in virtù di principii; e dacchè tutti professano in comune l'ufficio di critici, a me, si per urbanità letteraria e si per la speditezza del nome generico, non rincrescerà di chiamarli critici tutti. Questo pare innegabile, ch' essi

DANTE. 1.

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tutti-o che si studino di mantenere la venerazione per vecchie dottrine di accademie, e di scuole-o che sollevino il trono della loro critica a dettare oracoli metafisici dalle nuvole-stanno a rischio di mortificare a ogni modo gli ingegni originali, con danno tanto più deplorabile, quanto ne toccano pochi ad ogni terra ed età. Dall' altra parte, gli individui nati ed educati per essere anzi lettori che scrittori, vivono sempre infiniti; e l' esempio e l'aiuto de' critici ne richiamano parecchi a' libri preservati per molti secoli dal consenso del genere umano; ma che se non fossero meditati, si rimarrebbero anzi ammirati che intesi. Però chi potesse appurare a quanti individui l'uso dell' arte critica giovi, e a quale riesca peggio che inutile, s'avvedrebbe che danni e vantaggi si contrappesano. Tutto sta nello scopo al quale, negli scrittori primitivi segnatamente, vuol essere, e non fu sempre diretta.

II. Qui dov' io scrivo, le minuzie sono istituto di Università dove inculcano doversi interpretare gli antichi in tutti i significati veri, probabili, immaginabili, e quanti ne stanno fra' termini inconcepibili del possibile; perciò che l' acume, l' ingegno, e l' erudizione de' critici gratifica i dotti di caldissima ammirazione'. Daniele Uezio, mecenate malfortunato, e se ne penti amaramente, delle illustrazioni tutte de' classici per gli studi del Delfino di Francia', spendeva anch' ei molta parte della sua vita a

1 QUARTERLY REVIEW, vol. IV, pag. 109.

2 Vel levius, quam putabam, tincti literis; vel impatientes laboris,

PREFAZIONE ALL' EDIZIONE

In data del 26 Settembre 1826, Foscolo scriveva da Londra a Gino Capponi :

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Sperava di lasciarti sapere ch' io vivo, mandandoti la Commedia di Dante illustrata da me; e se il libraio non si fosse dato al tristo, tutto intero il poema oggimai sarebbe stampato e pubblico e arrivato in Italia. Da prima era l' animo mio di stamparlo in quarto, e non più di cinquecento copie, non aspettandomi io per compratori se non alcuni amatori di edizioni belle e corrette, e i bibliotecari delle pubbliche librerie qua e là per l'Europa, e parecchi lettori di Dante, ai quali importasse di vederlo illustrato in guisa tutta nuova e non tentata mai da veruno, ben ch' io mi creda sia l'unica possa giovare a far conoscere davvero la poesia, il secolo e la mente tutta quanta di Dante

"Nè io poteva continuare, se non ricorrendo ad associati; e sarebbe stato accattare elemosina nè più nè meno — o, addossandomi le spese della stampa gravissime, dove i tempi del pagamento fossero scaduti innanzi lo smercio dell' opera, io mi sarei

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trovato di nuovo ingolfato fra' debiti, quando invece, per uscirne, mi sono contentato di approdare nudo alla riva. Però mi rassegnai a' patti esibitimi da un libraio d' illustrare per conto suo la Divina Commedia, e quattr' altri poemi maggiori italiani, che in tutti farebbero venti un tometto, e fu stipulato che io gli darei il testo e le note di tutti nel corso di due anni, e ch' ei mi pagherebbe mille dugento lire sterline. Si fatto lavoro per me (dalla noia in fuori di rivedere il testo, e di tradurre e accorciare quanto ho inserito intorno a' nostri poeti nell' Edinburgh e nel Quarterly Review e in altre opere periodiche) era lavoro da nulla. Pur non mi pativa il cuore di perdere tanti miei studi intorno a Dante, e benchè ne' tometti adottati per economia del libraio io dovessi strozzare il mio primo disegno, pur mi provai di serbarlo alla meglio; e questa fu la sudata delle mie fatiche.

"Del volume primo di Dante già pubblicato col titolo Discorso sul testo e su le opinioni diverse prevalenti intorno alla storia e all' emendazione critica della Commedia alcuni esemplari capitarono, credo, in Firenze; e so di certo che il cavaliere Puccini n'aveva uno, e tu fa' d' averlo e di leggerlo

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basterà ad ogni modo a lasciarti discernere quali illustrazioni io abbia preparato, e credo che arriverebbero necessarie e care all' Italia tanto più quanto niuno s'è mai attentato d' applicarle allo scopo a cui le dirigo; nè stampatore nè plagiario veruno potrà avventurarsi a rifarle o tutte o in parte in altre edizioni, ec. ec.

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Adunque io mi sono deliberato di tornarmi e starmi d'ora innanzi pur sempre al mio primo proposito, e illustrare il poema a posta mia, e pubblicare l'edizione in cinque volumi in-4°. Ma di libri forestieri qui non si fa mai vendita tanta che basti a rifare le spese; da che settecento copie, a dir poco, son necessarie innanzi tratto a pagare lo stampatore e gli sconti richiesti da' librai, e la gravissima fra le altre spese d' inserire nelle gazzette moltissimi avvisi, senza de' quali libro veruno in questo paese non può

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