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Perduti sono anche parecchi altri scritti filosofici di essi converrà qui ricordare soltanto i libri 'De gloria'; che pare si sieno conservati fino al tempo del Petrarca: e il dialogo 'Hortensius' (interlocutori principali Cicerone ed Ortensio), cioè una esortazione alla filosofia, modellata e in parte compilata sull'opera analoga di Aristotile.' Dell Hortensius' fu appassionato lettore sant'Agostino, che ci racconta quanta influenza ebbe quel libro sull'indirizzo dei suoi studii e del suo pensiero.

In generale, delle opere filosofiche Ciceroniane (e noi, naturalmente, non le abbiamo neppure enumerate tutte) non è piccola l'importanza, ma essa è principalmente dovuta alla abilità del rendere in disinvolta forma latina le dottrine greche. Anche i più caldi ammiratori di Marco Tullio debbono concedere che egli non di rado frantende i suoi autori greci, e che al suo eclettismo manca ogni profondità di pensiero speculativo; incontestato bensi gli rimane il vanto di aver diffusa largamente con questi scritti la cultura filosofica fra i contemporanei non solo, ma in tutto il mondo latino dei secoli seguenti. Da sè stesso egli si ascrive alla scuola dei nuovi Accademici (L.G., p. 547), e in realtà ne segue spesso il metodo, che consiste nel discutere pro e contro senza affermare resultati positivi. Il suo scetticismo però non è assoluto; combatte decisamente l'etica epicurea, quantunque poi oscilli fra le dottrine delle altre scuole; alla fede nella provvidenza e nell'immortalità dell'anima non rinunzia, sebbene non riesca a fondarla sopra severa indagine scientifica; la religione popolare, scevra quanto è possibile di superstizione, vuole mantenuta nell'interesse dello Stato.*

70. - c) Ben poco possiamo dire delle opere storiche. Tutti gli scritti di Cicerone attestano conoscenze storiche non comuni, ma nessuna opera esclusivamente storica ci rimane. Un 'Commentarius consulatus mei' egli aveva scritto in greco nel 694'60, e ne preparava anche un' accurata ed elegante traduzione latina: largo uso di questo libro fece Plutarco nella biografia di Cicerone. Poco dopo, nel 695/59, cominciò a comporre un'altra opera col titolo 'De consiliis meis' ovvero 'Expositio consiliorum meorum', non diversa, a quanto sembra, da quella intitolata ̓Ανέκδοτα: fu pubblicata dopo la morte dell'autore, e scarsissimi sono i frammenti che ne abbiamo. Altrettanto scarsi sono i frammenti degli 'Admiranda' (si confrontino i titoli di opere greche Παράδοξα, θαυμάσια); incerto è persino il titolo ('Chorographia'?) di una sua opera geografica.

1 Προτρεπτικός. Anche di questa opera di Aristotele abbiamo soltanto frammenti. 2 Cf. Zeller, Grundriss der Geschichte der griechischen Philosophie, p. 217 e seg.

d) Miglior fortuna ebbero le lettere che Cicerone scrisse in gran copia, e delle quali molte centinaia sono giunte sino a noi, e vanno dal 686/68 alla fine di luglio del 711/43. Molte di esse, specialmente quelle dirette ad amici non intimi, sono dettate con gran cura; nelle altre, per es. in quelle ad Attico, scompare ogni pretesa letteraria. Le une e le altre sono, a diverso titolo, modelli di stile epistolare: ma come è naturale che presentino maggiori difficoltà di interpretazione le seconde, perchè l'autore accenna appena di volo a particolari noti ai suoi amici, così è anche inutile aggiungere che storicamente sono esse le più interessanti. In generale, le lettere Ciceroniane sono fonte primario per la storia degli ultimi anni della repubblica e della vita intima di chi le scrisse; per nessun altro periodo di storia antica e per nessun' altra biografia si hanno documenti altrettanto sinceri ed abbondanti. Già lui vivente si era pensato a raccoglierne lettere (e forse l'autore stesso preparò per la edizione una parte della sua corrispondenza epistolare), ma non ne furono pubblicate collezioni se non dopo la morte, per opera, a quanto sembra, del suo liberto e segretario Tirone: quelle ad Attico erano ancora inedite, quando Cornelio Nepote scriveva la vita di questo intimo amico del grande oratore (Vit. Att., 25, 16). Le collezioni a noi giunte, integre o mutile, sono quattro. Una, ad familiares (titolo generico inventato dai moderni), in sedici libri, contiene lettere ordinate solitamente secondo le persone cui furono dirette: le lettere del primo libro a Publio Lentulo, quelle del secondo a Curione ec. Ma il libro decimoterzo comprende soltanto lettere di raccomandazione, e l'ottavo lettere di Marco Celio: anche in altri libri del resto occorrono frequenti lettere non di Cicerone, ma a Cicerone indirizzate. Sedici libri occupano anche quelle ad Attico; tre libri quelle al fratello Quinto; erano nove i libri della corrispondenza con Marco Bruto, ma ci rimane solo il nono libro, cioè quindici lettere di Cicerone a Bruto, sette di Bruto a Cicerone, una di Bruto ad Attico, e queste ventitrè lettere sono erroneamente distribuite in due libri nelle edizioni a stampa. L'autenticità di questa corrispondenza con Bruto è stata da molti negata, e con ragione;1 spuria è certamente la 'epistula ad Octavianum '. Di altre collezioni di lettere (a Cornelio Nepote, a Cesare, al figlio Marco ec.), ci rimangono meschini frammenti.

71.-e) Le poesie di Cicerone furono spesso oggetto di riso, anche per i suoi contemporanei. E certo egli non fu poeta nel vero senso della parola, non di rado anzi mancò ne' suoi versi quel gusto letterario squisito che ammiriamo nelle opere prosastiche, e quel tatto delicato dell' uomo di mondo che parrebbe avesse dovuto evitargli il ridicolo. Facile verseggiatore, fu vittima di una vanità sconfinata: degne dell' epica tromba gli apparvero le sue proprie gesta, e poichè ebbe aspettato invano che altri le cantasse, prese a celebrarle da sè in un poema (o meglio in due poemi: uno 'De consulatu meo' del 694/60, l'altro 'De temporibus meis' del 695/59), di cui egli stesso ci ha conservato in altra sua opera (De divinat., 1, 17-22) un frammento di settantotto versi. In questi versi la musa Urania gli espone tutti i segni che gli Dei avevano mandati a preannunziare la congiura di Catilina. In un altro luogo del poema gli parlava Calliope; in un altro Minerva in persona era introdotta come maestra di Cicerone fanciullo; i due versi 'cedant arma togæ, concedat laurea laudi' e'o fortunatam natam me consule Romam' dimostrano anch'essi a quali aberrazioni la vanità avesse spinto il poeta.

In un altro poema celebrò, più tardi, la spedizione Britannica di Cesare; molto prima, forse ancora giovane, aveva composto il 'Marius' (Mario, come ognun sa, era Arpinate anche lui). Di altre poesie giovanili, come la traduzione di Arato, o abbiamo già fatto incidentalmente menzione (del 'Limon', per esempio, non abbiamo che i versi riportati più sopra p. 67, n. 1), o ben poco si guadagnerebbe a farne menzione. Brani di poeti greci spesso occorrono tradotti in versi latini nelle opere in prosa, alcuni egregiamente.*

1 Ne discute egregiamente il D' Addozio nel libro su Marco Bruto, pubblicato a Napoli nel 1895.

2 Cic. Opp. ed. Kayser-Baiter, X, 465-68.

3 Laudis avidissimi semper fuimus', dice egli stesso ad Att., 1, 15, 1. 4 Per es. Soph., Trachin., 1046-1102 (Cic., Tuscul., 2, 20, 22); Esch.,

72.- Di Cicerone si può dir molto bene e molto male; certamente molto più male che bene, quando si voglia giudicare dell' uomo politico soltanto. Se egli credette di possedere in sommo grado le qualità di uomo di stato, tale non lo stimarono i suoi ambiziosi contemporanei, che spesso sfruttarono abilmente la sua popolarità ed eloquenza, ma nessuna influenza gli concessero nel governo della Repubblica. Al consolato giunse trionfalmente, ma forse non vi sarebbe giunto se non vi fosse stato bisogno di chiudere la via a candidati pericolosi. Durante il consolato salvò Roma dall' incendio e dalla rapina; e appunto questo suo maggior titolo di gloria politica egli rese quasi ridicolo con intollerabili esagerazioni retoriche. Ma forse tanto per la sua azione politica, quanto in generale per il carattere, non dovrebbe egli essere più severamente giudicato di altri personaggi antichi, che esaltiamo senza riserve, forse solo perchè meno scrissero e meno sinceramente, e perchè le loro confessioni epistolari, fortunatamente per essi, non furono raccolte.

Sia, del resto, quel che si voglia dell'uomo di stato: all' oratore e allo scrittore non si può negare ammirazione entusiastica. I suoi stessi difetti di carattere, l'eccitabilità, i rapidi passaggi da eccessiva fiducia in sè ad eccessivo abbattimento, gli scatti d'ira e di passione, i pentimenti, le ritrattazioni, le incertezze nella vita e nella scienza, ma insieme anche il caldo amor di patria, la sensibilità squisita per gli affetti domestici, la sua quasi cristiana 'caritas generis humani', l'entusiasmo per ogni cosa nobile e bella, il disgusto e l'orrore per la turpitudine, la disonestà, la bassezza, si riflettono artisticamente nel suo stile, che tutti quei sentimenti ritrae con magnificenza di eloquio, con ricchezza maravigliosa di lingua, con impareggiabile proprietà e precisione. Troppo spesso, è vero, alle bellezze meramente formali non risponde novità o profondità di pensiero, argomentazione stringente, oggettività di ricerca; ond'è che chi a lui si rivolga esclusivamente per nudrir lo spirito di dottrina politica od

Prometh. solut.fragm. (Tuscul., 2, 23, 25); Hom., Iliad., 2, 299-330 (De divinat., 2, 63 sq.). - Il famoso verso dell' Ippolito Euripideo (v. 612) ἡ γλῶσσ ̓ ὀμώμοχ ̓, ἡ δὲ φρὴν ἀνώμοτος ὁ tradotto con 'iuravi lingua, mentem iniuratam gero' (De off., 3, 108).

1 Ad Att., 3, 9, 2: 'nos non inimici, sed invidi perdiderunt', egli dice, e ripete spesso, a proposito del suo esilio.

etica, filosofica o storica, avverte in sommo grado questa sproporzione,1 e s'irrita più del dovere con lo scrittore che a tal disillusione lo ha esposto. Chi invece vi cerchi soltanto elegante simmetria di frasi e di periodi, armoniose cadenze, abbondanza di parole e purezza di lingua latina, virtuosità stilistica in somma, costui proclamerà che non v'ha scrittore da mettergli a paro.

Certo è che l'influenza di Cicerone sopra tutta la letteratura latina posteriore, e (possiamo aggiungere) sopra tutte le letterature moderne, è stata grandissima. Ammiratori e detrattori non gli son mancati fra uomini di gran talento e dottrina: ma in ogni tempo, quante volte vi fu rifiorimento di lettere e di cultura, fu anche in onore il suo nome e lo studio delle sue opere. E purchè s'intenda con discrezione, non è falsa neppure oggi la sentenza di Quintiliano (10, 1, 112): 'ille se profecisse sciat, cui Cicero valde placebit'.

UNA DELLE SPOLIAZIONI DI VERRE.

Antichissima città della Grecia è Segesta, che narrano da Enea costrutta, quando da Troja fuggito ivi pervenne; e quelli di Segesta si riguardano non solo di eterna amicizia e alleanza, bensì anche di parentela congiunti col popolo Romano: per ispontanei fini mossa da loro contra i Cartaginesi la guerra,

1 Montaigne, Essais, 2, 10 (I, p. 380, ed. Leclerc): 'Quant a Cicero, les ouvrages qui me peuvent servir chez luy à mon desseing, ce sont ceulx qui traictent de la philosophie specialement morale. Mais, à confesser hardiement la verité,....sa façon d'escrire me semble ennuyeuse; et toute aultre pareille façon: car ses prefaces, definitions, partitions, etymologies, consument la plus part de son ouvrages; ce qu'il y a de vif et de mouelle est estouffé par ses longueries d'apprests. Si j'ay employé une heure à le lire, qui est beaucoup pour moy, et que je ramentoive ce que j'en ay tiré de suc et de substance, la plus part du temps je n'y treuve que du vent; car il n'est pas encore venu aux arguments qui servent à son propos, et aux raisons qui touchent proprement le nœud que je cherche'. Ib., p. 381 e seg.: 'Quant a Cicero, je suis du jugement commun, que, hors la science, il n'y avoit pas beaucoup d'excellence en son ame: il estoit bon citoyen, d'une nature debonnaire, comme sont volontiers les hommes grass et gosseurs, tel qu'il estoit; mais de mollesse, et de vanité ambitieuse, il en avoit, sans mentir, beaucoup. Et si ne sçais comment l'excuser d'avoir estimé sa poësie digne d'estre mise en lumiere: ce n'est pas grande imperfection que de faire mal des vers; mais c'est imperfection de n'avoir pas senty combien ils estoient indignes de la gloire de son nom. Quant à son eloquence, elle est du tout hors de comparaison: je crois que jamais homme ne l'egualera'.

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