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mil. 13). Quindi soggiunge l'Imperfetto: Donde avviene mai che molti nella tentazione son vinti e soccombono? Unde multi, cum tentati fuerint, superantur el pereunt? Avviene perchè non subiscono la tentazione, ma la cercano; non vi sono strascinati, ma vi vanno volenterosi incontro; non vi sono esposti dallo Spirito di Dio che vuole esercitarli, ma dalle loro passioni che vogliono sfogarsi. Sono Davidi imprudenti che si piacciono a vagheggiare Bersabee lusinghiere. Sono Sansoni temerarii che si abbandonano nelle braccia di Dalile insidiose. E però, malgrado il loro carattere di profeti, la loro forza di spirito, e il loro grado di giudici del popolo del Signore, la loro sapienza e i loro canuti capelli, soccombono: Illi tales non a spiritu Dei ducuntur ad lentationem, sed a peccatis propriis expelluntur. Al contrario, i figli di Dio, che lo stesso divin Padre permette che sian tentati per salvarli dall'orgoglio, per distaccarli dal mondo, per farli diffidar di sè stessi, per eccitarne la vigilanza, per infervorarli nella preghiera, per accrescerne il merito, per provarne la fedeltà, perfezionarne la virtù; costoro sono forti Giuseppi, che, sebbene pieni di gioventù e di fuoco, si reggono in faccia alla seduzione possente di padrone impudiche e fanno arrossire l'impudente libertinaggio e ne trionfano: Qui Spiritu Dei ad tentationem ducuntur, non superantur. Perchè, come soggiunge Strabone, coloro solamente che sono ripieni di Spirito Santo e sono da esso guidati alla pugna, sono forti a sostenerla; quelli però che, senza questo ajuto celeste, vanno al contrasto, vi rimangon vittima: Quos Spiritus Sanctus replet, fortes mittit ad pugnam ; qui sine hoc spiritu vadit, cito cadit (Gloss. ordin.)

18. In terzo luogo: se il demonio, dice S. Ilario, non avesse alla fame ravvisato Gesù Cristo per vero uomo, se avesse potuto persuadersi che esso era figlio di Dio, non avrebbe pur pensato a tentarlo: Tentare utique ausus non fuisset, nisi per esuriem infirmitatem in eo hominis recognovisset. Or così gli uomini dissoluti, le donne invereconde non si provan nemmeno di sedurre i veri cristiani, che intendono essere veri figli di Dio. Perciò l'ecclesiastico esemplare, l'onesto conjugato, la matrona pudica, il divoto giovinetto, la timida verginella, che, alla modestia del guardo, alla semplicità degli abiti, alla gastigatezza delle parole, al severo contegno, alla gravità del portamento, ai sensi di sincera pietà, si danno a conoscere per anime forti nel santo proponimento del viver cristiano, nessun le guarda, nessun le fissa, nessun le tenta; il più audace libertinaggio le risparmia e le rispetta. Ma, al contrario, il furbo indagatore che è il demonio, dice S. Pier Crisologo, non si avvicinò a tentar Gesù Cristo, se non perchè, dal vedergli soffrire la fame, lo credette uomo debole, mortale, infermo e facile ad esser superato: Tunc sensit hominem, tunc mortalem credidit, tunc eum posse tentare putavit, quando eum esurire callidus explorator inspexit. E il Fuldense dice pure che gli si avvicinò quando il vide famelico, giacchè la fame è certo segno di una umanità inferma: Accessit, quia esuriit; et esuries signum infirmitatis est. Or così pure i seguaci, i ministri del diavolo, gli scandalosi, generalmente parlando, non si avvicinano ad ingannare se non le anime che credono facili ad essere ingannate. Quindi coloro che, senza essere grandi peccatori, prendono, come parla la Scrittura, la maschera de' peccati, Faciem peccatorum sumitis, e che alla li bertà degli occhi, al lusso, all' immodestia delle vesti, alla licenza del discorrere, alla leggerezza dello spirito, alla libertà del tratto, alla inverecondia delle maniere, alla indifferenza per le cose religiose, si fan conoscere per anime fameliche del mondo e perciò deboli, inferme; esse appunto, come la calamita attira il ferro, chiamano a sè i tentatori e le tentazioni: Accessit, quia

csuriit; et esuries signum infirmitatis est. Nessun nemico attacca una piazza, se non la crede debole a resistere. Nessun negoziante imprende un traffico, in cui non creda di guadagnare. Così i seduttori non si appressano se non a coloro che fan intravedere da lungi un cuore da' lati deboli, una via aperta alla seduzione, e che fan sperare di sè una facile conquista. Gli augelli carnivori, dice Gesù Cristo, non si raccolgono che attorno a'cadaveri: Ubicumque fuerit corpus, ibi congregabuntur et aquilae (Matth. XXIV). Così gli sparvieri delle anime non si affollano se non attorno a coloro che fanno traspirare al di fuori il mal odore di un animo corrotto o facile a corrompersi, e che colla putredine de loro affetti chiamano attorno a sè, secondo la frase di Tertulliano, a stuoli le concupiscenze: Qui catervas concupiscentiarum provocant. Grandi sono perciò le tentazioni, i pericoli che da per tutto s'incontrano; ma la maggior parte sono di quelli che l'uomo stesso si cerca, che l'uomo stesso chiama sotto a'suoi passi, e cui l'uomo stesso va stolidamente incontro.

19. Finalmente Gesù Cristo, che non permette di esser tentato se non dopo di avere severamente digiunato, senza averne esso alcun bisogno, ha voluto darci l'importante lezione, dice il Crisostomo, che il digiuno è uno scudo impenetrabile contro il demonio: Jejunavit non eo indigens; sed nos instruens qualiter jejunium adversus diabolum scutum est. Se avvien dunque al cristiano, siegue a dire il Boccadoro, di vedersi tentato dopo di aver digiunato, non istia a dire « Misero me! ho perduto del mio digiuno il frutto ». Giacchè se il digiuno non gli ha giovato a garantirlo dagli assalti del tentatore, gli gioverà certamente per riuscirne vittorioso: Si jejunaveris, et tentaris; ne dicas: Perdidi fructum jejunii mei! Nam si non libi profuit jejunium tuum ut non tenleris, proficiet ut non a tentatione vincaris. E S. Pier Crisologo dice che dall'odierno fatto dobbiamo imparare che il digiuno è la cittadella di Dio, il campo di Gesù Cristo, il muro di difesa dello spirito umano, il vessillo della fede, il segnale della pudicizia, il trofeo della santità: Jejunium scimus esse Dei arcem, Christi castra, murum spiritus, vexillum fidei, castitatis signum, sanctitatis trophaeum (Serm. 12).

20. Procuriamo adunque in questi mistici giorni, come li chiama S. Leone, per santissima istituzione destinati a purificare non solo le anime nostre, ma altresì i nostri corpi, di osservare scrupolosamente e santamente il digiuno quaresimale, di apostolica istituzione, e che, commendato dall'esempio di Mosè, di Elia e di Gesù Cristo, richiama i più grandi misteri, ed ha per sè tutta l'autorità della legge, dei Profeti e del Vangelo.

A tale effetto dobbiamo, in un tempo si santo, ci esorta il pontefice S. Gregorio, applicarci di proposito a macerare la propria carne, a combatterne i maligni desiderii, a deprimerne le turpi concupiscenze ribelli; perchè possiam divenire, come dice S. Paolo, vittime viventi: Unusquisque ergo carnem maceret, ejusque desideria affligat, turpes concupiscentias interficiat, ut, juxta Pauli vocem, hostia vivens fiat. Poichè non può l'uomo d'altra maniera divenire ostia vivente, se non che conservandosi in vita ed immolando le sue carnali passioni: Hostia quippe et immolatur et vivit quando ab hac vita homo non deficit, et lamen se a carnalibus desideriis occidit. Deh rammentiamo che questa carne ben pasciuta e lieta ci trasse già, nel nostro primo padre, alla colpa. Facciamo adunque ora che, afflitta dalla penitenza, ci riconduca al perdono Caro laela traxit ad culpam, afflicta reducat ad veniam; affinchè, come per la saturità siamo miseramente decaduti dal gaudio del paradiso, così oravi rimoutiamo per la pratica dell'astinenza: Qui ergo a paradisi gaudiis per cibum cecidimus, ad haec per abstinentiam resurgamus (Homil. 16 Evang.) Così sia.

OMILIA V.

LA TENTAZIONE IN PARTICOLARE.

S. Matteo, m; S. Marco, 1; S. Luca, iv.

Deponentes omnes pondus et circumstans nos peccatum, per patientiam curramus ad proposiium nobis certamen, aspicientes in auctorem fidei et consummatorem Jesum.

(Hebr. xu).

1. Se il demonio non l' ha risparmiata al Figlio di Dio, la santità per essenza; chi mai tra' figli degli uomini può augurarsi di evitare i suoi assalti? Se il divino virgulto di Jesse, verdeggiante di grazia, adorno de' fiori di tutte le virtù, non è stato esente dal fuoco della tentazione; come potranno esserne liberi affatto gli aridi sterpi, che siam noi, disseccati dal vizio di nostra origine e dai peccati di nostra vita? Si in viridi hoc faciunt, in arido quid fiet? (Luc. XXII). Tant'è, dice Tertulliano, Gesù Cristo tentato ci predica che nessun cristiano può andar salvo senza passare per la tentazione: Ostendit neminem intentatum regnum Dei possidere (Apud A-Lap. in Matth.)

In questa trista condizione in cui siamo però di non potere evitare di esser tentati, il Signor nostro si è ricordato di noi ; e nell' essersi volontariamente assoggettato alla tentazione, non solo, dice S. Leone, si è mostrato nostro redentore, ma altresì nostro modello; non solo ci ha procurato un ajuto, ma ci ha apprestato ancora un esempio: Ob hoc Dominus se tentari permisit, ut cujus munimur auxilio, ejusdem erudiremur exemplo (Serm. 1 Quadr.) Siccome adunque, dice pure leggiadramente il Crisostomo, i vecchi atleti, che vogliono addestrare i giovani pugili alla lotta, li conducono sull' arena, ed alla loro presenza, intrecciando giostre e tornei, li ammaestrano con questo esempio, meglio che colle parole, all'arte di pugnar con successo; così appunto il nostro amoroso Salvatore e Maestro, sapendo che noi non possiamo tutti evitare del demonio gli scontri, è andato a combatterlo il primo egli stesso, affinchè, colla vista della vittoria da esso riportata sul nemico infernale, possiamo noi pure imparare il modo di superarlo: Ut, prius ipse congressus,

quomodo ab aliis vinci possit ostenderet. Sic enim faciunt athletae, cum discipu los suos vincere docent. Data opera in palaestris cum aliis certamen exercent; ut in luctantium corporibus artem faciant spectare vincendi (Homil. 13 in Matth.) Imperciocchè, siegue a dire lo stesso santo Dottore, sebbene siano numerosi e varii i modi onde potrebbe il tentatore combatterci, pure esso non tenta d' ordinario i veri cristiani che ne' tre modi onde tentò il loro Signor Gesù Cristo: Quamvis enim multae ac diversae tentationes diaboli circa nos sint; in his tamen tribus tentationibus, quas adversus Dominum habuit, et electos ejus tentare consuevit (ibid.)

Il Signore adunque, coll' avere sostenute in sè stesso queste tre tentazioni, ha voluto farsi il nostro mediatore; affinchè noi, dice S. Agostino, possiamo vincere nelle nostre non solo per gli ajuti che ci ha ottenuti, ma ancora per gli esempi che ci ha dati: Cur seipsum quoque tentandum praebuit? Ut ad superandas tentationes mediator esset non solum per adjutorium, sed etiam per exemplum (De Trinit. IV). E, come dice l'interprete, ha voluto persuaderci altresì col fatto che nessuna tentazione, per violenta che sia, è insuperabile; ma che tutte si possono vincere coll' ajuto della sua grazia, col sentimento della fiducia in Dio e colla pratica dell' orazione e della penitenza: Ut ostenderet nullam tentationem esse insuperabilem, sed omnes sua gratia, oralione et jejunio et fiducia in Deum posse vinci, suo exemplo monstraret (A-Lap.hic).

Perciò l'apostolo S. Paolo ci dice che non basta deporre il peso degli attacchi profani che ci aggravano, sortire dalle occasioni peccaminose che ci circondano, apprestarsi con animo paziente e rassegnato alla lotta col demonio che da per tutto ci attende: Deponentes pondus et circumstans nos peccatum, per patientiam curramus ad propositum nobis certamen; ma che ci bisogna ancora tener sempre fiso lo sguardo in Gesù Cristo che ha lottato il primo per noi, e che come è il principio della nostra fiducia colla grazia che ci ha ottenuto, sarà altresì, coll'esempio che ci ha dato, il consumatore della nostra vittoria Aspicientes in auctorem fidei et consummatorem Jesum. Via su dunque, andiamo anche oggi al deserto, a contemplare, nelle sue particolari circostanze, la lotta che Gesù Cristo vi sostiene, e che jeri abbiamo solo in generale considerata: per istudiarne l' esempio, dopo averne contemplato il mistero; e per imparare, dal modo onde Gesù Cristo ha vinto il nostro nemico, come dobbiamo trionfarne noi stessi.

PARTE PRIMA

2. Ma che cerca egli mai il demonio, e che cosa si lusinga di ottenere da Gesù Cristo? Vuole chiarirsi se esso sia veramente il Figliuol di Dio, il Redentore del mondo. Ne avca egli veduta la nascita, accompagnata dall' annunzio degli angioli, dal miracolo della stella, dall' adorazione dei Magi. Lo avea udito, per bocca di Simeone, chiamare nel tempio il Salutare di Dio. Lo avea udito pure pochi giorni prima, da una voce misteriosa che risuonò lungo le rive del Giordano, proclamare da Dio stesso, «Suo diletto Figliuolo ». Or tutto ciò glielo facea credere Dio. Ma questa sua opinione, dice S. Gian Crisostomo, era vacillante ed incerta; poichè avea dall'altro canto veduto Gesù Cristo nascere nella miseria, essere circonciso, presentato al tempio come peccatore, fuggire in Egitto come impotente a sottrarsi d'altro modo al furore di Erode; ed ora lo vede anche soggetto alla stanchezza, alla fame, alla sete, a tutte le miserie della umanità : Exterritus tot ac tantis vocibus fuerat, sed nondum plane credebat ; quia, quem audierat Dei Filium, interim hominem

videbat (Homil. 5 ex var.) Or nel suo orgoglio non potendo farsi a credere Dio colui che vedeva nella miseria dell' ultimo degli uomini, e non sapendo conciliare contradizioni sì manifeste che la sola sapienza di Dio avea potuto ideare, e la sola sua virtù potè compiere; era Satanasso incerto, sollecito e angoscioso intorno all' idea che dovea formarsi di Gesù Cristo. A togliersi dunque d'imbarazzo e di affanno, lo tenta in varii modi, per obbligarlo a discoprirsi con qualche segno della potenza divina, se egli è veramente Dio: Ideo an sit Dei Filius signo aliquo propositae virtutis exquirit (ibid.)

3. Egliè perciò che incomincia la sua suggestione maligna da queste pa> role: «Io veggo che, il poverino, hai fame. Il deserto in cui ti trovi non ti offre nulla da ristorarti. Se dunque sei veramente il Figlio di Dio, dallo a conoscere, convertendo colla tua parola queste pietre in pane: Et accedens tentator dixit ei: Si Filius Dei es, dic ut lapides isti panes fiant (Matth. 2).

Osserviamo, pria di andare innanzi, come in queste parole, pronunziate con animo si perverso, il demonio annunzia due grandi verità, ed apre scuola e dà lezioni di teologia; delle quali farebbero bene a profittare gli eretici e gl' increduli suoi figliuoli. Col proporre egli da prima a Gesù Cristo di convertire le pietre in pane, gli riconosce la potenza di convertire una sostanza in un' altra. Dunque il demonio crede alla Transustanziazione eucaristica. Perchè, credendo che Gesù Cristo poteva cangiare in pane le pietre, non può certamente negare che ha potuto cangiare il pane nel suo proprio corpo. O voi dunque che ricusate di credere alla Eucaristia sulla testimonianza della Chiesa, credetela almeno sulla testimonianza del diavolo, che Gesù Cristo chiama il padre vostro, e che in questo certamente non v'inganna; e non portate la superbia al di là degli eccessi del padre della superbia nel ricusare il vostro assenso ai divini misteri !

E voi che fate difficoltà ad ammettere il mondo da Dio creato colla sola forza della sua parola, venite anche voi ad imparare dal demon io e a confessare con lui che il mondo è stato veramente da Dio creato così. Imperciocchè notate bene che Lucifero non dice al Signore: Cambia queste pietre in pane, ma sibbene: Di' che queste pietre diventin pane; mostrando con ciò di credere che il Figliuolo di Dio non ha bisogno di fare, ma gli basta di dire per operare portenti. Poichè, come nota il Beda, ricordava Lucifero che la creazione intera è stata l'opera non dell'azione, ma del semplice comando del Verbo Eterno di Dio : Dicebat: Dic; et non: Fac; quia noverat scriptum: Dixit Deus el facta sunt ( Exposit. ) E perciò, se anche in questa circostanza Gesù Cristo, con un cenno, con un fiat, cambiava in pane le pietre, questo solo argomento era per il demonio più che bastevole per crederlo lo stesso e vero Figlio di Dio, che con una parola avea creato l'universo.

4. Consideriamo però ancora, con San Pier Crisologo, in queste stesse parole del tentatore, la filantropia propria del diavolo, che ad un uomo che vede che ha fame non offre che sassi. Così questo nemico della vita, questo autor della morte, è uso di pascere i vili suoi schiavi. Sono essi famelici del pane del cuore, della felicità e della pace; ed il barbaro padrone che egli è, non offre loro che pietre: le pietre delle noje divoranti, degli angosciosi timori. del cocente rimorso, che a forza di travagliare l'anima finiscono coll'impietrirla: Lapides offert esurienti. Humanitas talis semper est inimici. Sic pascit suos mortis auctor, vitae inimicus (Serm. 11).

Perciò, siccome gli uomini caritatevoli, che s' inteneriscono alle afflizioni del prossimo e si affrettano di farle cessare, con ciò solo si annunziano figli di Dio; così al contrario gli uomini dal cuor duro, dal cuor di marmo e

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