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desimo un altro più splendido e più magnifico. I prodigii che opera in Gerusalemme, sono pegni e figure di altri più grandi prodigii che in una maniera più strepitosa farà tra poco ancora in tutto il mondo. Non darà tesori terreni a'suoi seguaci, ma consiglierà loro la sua stessa povertà. Non spargerà per la terra armi ed armate, ma vi mostrerà solo un legno di disonore: Non ferro, sed ligno (Aug.) Non verserà il sangue de' suoi nemici, ma il proprio e quel degli amici. Sarà re, ma che avrà per scettro una canna, per diadema le spine, per paludamento uno straccio di porpora, per oro la sua carità. per trofei le sue piaghe, per trono la croce. Non farà guerra, ma apporterà la pace; non userà la forza, ma la grazia; non porterà lo spavento negli spiriti, ma ne'cuori l'amore: Ecce venit rex mansuetus et pauper et justus et salvator; et loquetur pacem gentibus. Eppure riuscirà a far crollare la potenza umana che si opporrà allo stabilimento del suo regno; ridurrà in polvere il trono de' cesari che vorranno perseguitare la sua religione; fiaccherà l'orgoglio de'grandi della terra, le forze dell' inferno; riunirà i Giudei ai gentili; assoggetterà dall'un capo all'altro il mondo; e fonderà un regno per l'eternità: Et dissipabitur arcus belli; et potestas ejus usque ad terminos terrae. Oh dolcissima regalia di Gesù Cristo, di cui la santità è la base, la mansuetudine è l'ornamento, il perdono è la gloria, la grazia è la magnificenza, e l' eterna salute è il frutto! Siate sì, o Signore, il nostro re verace ed unico. Regnate nelle nostre menti colla vostra carità, nella nostra condotta co'vostri esempi. Non ci rigettate da voi, e da noi mai non vi partite; ma regnate in noi e con noi nel tempo e nell'eternità.

PARTE SECONDA

21. È dottrina di tutti i Padri della Chiesa, fondata sull'autorità delle Scritture, principalmente di S. Paolo, che, come si esprime S. Leone, l' incarnazione del Verbo ha prodotto,pei giusti dell'antico Testamento che la speravano nell' avvenire, gli stessi effetti che produce pe' giusti del Testamento novello che la credon compiuta di già nel passato: Verbi incarnatio hoc contulit facienda quod facta. Una stessa e medesima fede, perchè avea per oggetto gli stessi e medesimi misteri, o predetti dai Profeti o predicati dagli Apostoli, ha riunito a Gesù Cristo i giusti di tutti i tempi e di tutti luoghi, e li ha santificati: Quod praedicarunt Apostoli, annuntiaverunt Prophetae. Una fides justifical universorum temporum Sanctos. Nè si può dire che sia troppo tardi accaduta l'incarnazione, poichè è stata da principio rivelata, e sempre è stata efficace, come è stata sempre creduta: Nec sero est impletum quod semper est creditum.

Or questo grande e magnifico mistero della perpetuità della Religion cristiana, sempre UNA e sempre la stessa ne'tempi che precedettero Gesù Cristo ed in quelli che lo han seguito; questo giocondo mistero di tutti i giusti del tempo antico e del tempo nuovo, uniti sempre, nella confessione della stessa fede, allo stesso Gesù Cristo,come a centro dell'universale salute; eccolo rappresentato, in una maniera sensibile, nell'odierno ingresso trionfale di Gesù Cristo in Gerusalemme. Poichè l'evangelista S. Marco ha notato la particolarità che il gran popolo che prese parte a questo trionfo era diviso in due corpi,de'quali l'uno precedeva, l'altro seguiva il Signore; e che questi due corpi dello stesso popolo, divisi di luogo, ma uniti di cuore ed animati dallo stesso entusiasmo di fede e di amore, cantavano lo stesso cantico OSANNA: Et qui praeibant et qui sequebantur, clamabant dicentes Hosanna (Marc. 9). Ora la

turba che va innanzi, dice S. Girolamo seguendo Origene, significa i giusti dell'antico Testamento: quella che viene appresso rappresenta i giusti del nuovo. E sebbene gli uni han preceduta, gli altri han seguita la nascita di Gesù Cristo e la predicazione del Vangelo; pure gli uni e gli altri in lui credettero con una medesima fede, in lui sperarono con una stessa speranza, e con una confessione unanime lui han proclamato, luí hanno invocato come Salvatore del mondo: Turbae quae praecedunt et quae sequuntur, utrumque populum ostendunt eorum qui ante et post Evangelium Domini crediderunt et consona Jesum confessionis voce laudarunt (Comm.)

22. Oh grandezza dunque, oh magnificenza dell'odierno mistero! Esso ci rappresenta dipinta, come in un quadro, la storia di tutti i secoli, l'unità la perpetuità della religione, la condizione della Chiesa viatrice sopra la terra. Imperciocchè Gesù Cristo che in aria di mansuetudine, di amabilità, di dolcezza infinita, assiso modestamente sopra un giumento, viaggia in mezzo a'suoi Apostoli, è Gesù Cristo che vive e regna nella Chiesa e viaggia con essa, ma per l'umiltà dei suoi esempi e per la unzione della sua grazia. I due popoli, di cui l'uno va innanzi, l'altro gli viene appresso, cantando lo stesso inno di gloria, sono gli antichi giusti ed i nuovi, le due alleanze, i due Testamenti, che, come due cori accordati all'unisono, confessano gli stessi santi misteri di Gesù Cristo, ne pubblicano le stesse lodi e gli fanno la stessa preghiera. Questa stessa turba in due divisa, mentre è una sola, che Gesù Cristo co' suoi Apostoli introduce oggi nella terrestre Gerusalemme (parola che significa la Vision della pace) è il popolo degli eletti, è la vera Chiesa, che, stretta a'fianchi di Gesù Cristo, da esso istruita, governata, diretta, difesa, confessandolo colla fede viva degli Apostoli, onorandolo col loro amore, è da esso introdotta nella Gerusalemme celeste, la città della visione di Dio e della pace immortale ed eterna. Poichè S. Paolo ha detto: Voi ormai vi andate incamminando al vero monte di Sion, alla vera città del Dio vivente, alla vera Gerusalemme del cielo, figurata nella Gerusalemme della terra: Accessistis ad Sion montem et civitatem Dei viventis, caelestem Jerusalem (Hebr. x11).

23. Infelici perciò coloro che, per la loro ostinazione nell' eresia, sono fuori della Chiesa, fan la guerra alla Chiesa, odiano e detestan la Chiesa ! Sono essi figurati ne'maligni farisei che fremono oggi di rabbia al vedere il trionfo di Gesù Cristo, ma non forman parte del popolo pieno di umiltà e di fede che gli applaudisce e l'onora. Non sono in compagnia degli Apostoli, avendone rigettate le dottrine che la sola Chiesa cattolica professa in tutta la loro purezza; non hanno le loro vestimenta, avendone ripudiate le sante virtù che nella sola Chiesa cattolica si praticano. Gesù Cristo non è fra loro, ed essi non sono con Gesù Cristo, non son guidati da lui, non camminano in sua compagnia e perciò resteran fuori della città eterna, in cui non si entra che con lui e per lui!

Noi soli, che apparteniamo alla vera Chiesa, abbiam la sorte di far parte di questo popolo. Ma ricordiamoci che il popolo che accompagna oggi Gesù Cristo in trionfo, coll' essersi spogliato delle sue vesti per tappezzarne la via che dovea il Signore percorrere, ha figurata la generosità della Chiesa primitiva, che si è spogliata di tutti i beni terreni, sì ben figurati nelle vesti, e tutto ha sagrificato, tutto ha offerto a Gesù Cristo e gli ha fatto onore di tutto; e dei corpi, che ha immolato sotto la spada dei tiranni; e delle possessioni, di cui depose il prezzo a'piedi degli Apostoli; e delle ricchezze, che dispensò ai poverelli, i quali, secondo S.Agostino, sono come i piedi di Gesù Cristo. Ecco dunque come dobbiamo accompagnare anche noi il Signore nostro ; Spo

gliandoci delle cose terrene, gittandole a'suoi piedi, facendole, cioè, servire al sollievo degli infelici, al servizio della carità. In secondo luogo, il popolo prese in mano la palma, simbolo della vittoria: e noi pure dobbiamo seguire Gesù Cristo, portando in mano la palma della cristiana mortificazione, insegna gloriosa della vittoria riportata sopra gli appetiti della nostra carne, sopra le passioni del nostro cuore. Il popolo finalmente colse e portò in mano ancora l'ulivo, figura dell' unzione della celeste pietà. Così noi dobbiam tener dietro a Gesù Cristo, colla pratica di una pietà umile, fervente e sincera.

Cristiani fratelli, questa misera nostra vita terrestre, pochi anni ancora, o forse pochi mesi, o anche pochi giorni, e si dileguerà come fiore al caldo, come nebbia al sole, come polvere al vento; e la nostra anima dovrà slog. giare dalla casa del tempo per girne in quella dell' eternità: Non habemus hic manentem civitatem, sed futuram inquirimus (Hebr. 1). Nel consorzio degli uomini, siamo peregrini da Dio. Collocati sulla terra, il cielo ci aspetta.Questa terra è l'esilio, il cielo è la patria: Dum sumus in corpore peregrinamur a Domino (II Cor. v). Deh stringiamoci alla Chiesa, seguiamo più che mai dappresso il nostro vero re e salvatore Gesù Cristo, camminando per le vie del suo Vangelo. Siamo generosi col prossimo, severi con noi stessi, pii e religiosi con Dio. Così solo possiam formar parte del popolo degli eletti, che Gesù Cristo guida colla sua grazia, conforta colla sua unzione e conduce alla gloria: e guidati e confortati e condotti da lui, alla fine della nostra mortale carriera, colla grazia nel cuore, colla gioja nel volto, coll' Osanna sulle labbra, con in mano la palma delle virtù; cantando l'inno della speranza entreremo con lui nella Gerusalemme del cielo. Così sia,

OMILIA XXXVII.

LA DEPOSIZIONE DALLA CROCE

E LA SEPOLTURa di gesù cristo (1).

S. Matteo, XXVI; S. Marco, xv; S. Luca, xxxın; S. Giovanni, xIx.

Cumque consummassent omnia quae de eo scripta erant; deponentes eum de ligno, posuerunt eum in

monumento.

(Act. xii).

1. Sembra a prima vista inconcepibile e strano ciò che dice la Scrittura nel Genesi che Dio, cioè, avendo terminata in sei giorni la creazione del mondo, nel giorno settimo si riposò, come chi è stanco dopo un'opera laboriosa e grave: Et requievit Deus die septimo ab universo opere quod patrarat. Imperciocchè come è possibile che la potenza infinita la quale, come dice lo stesso Gesù Cristo nel Vangelo, creando ad ogni istante milioni d'anime, riproducendo in ogni istante una infinità di esseri novelli e conservando lor l'esistenza, da migliaja di anni opera sempre senza stancarsi giammai: Pater usque modo operatur, et ego operor (Joan. v); com'è possibile, dico, che questa infinita potenza abbia potuto poi divenir lassa dopo sei soli giorni di lavoro, sicchè abbia avuto bisogno di requie e di riposo? Et requievit die septimo ab universo opere quod patrarat.

Ma l'oscurità di un tal passo proviene da ciò che si attribuisce solo al Dio-Dio ciò che non conviene che all'uomo-Dio: che si vuole intendere del passato ciò che è una splendida profezia del futuro; e che si vuole applicare alla figura ciò che solo nel FIGURATO litteralmente si verifica e si compie. Il

(1) Siccome della passione e della morte del Signore si trattò da noi in tutto il corso del primo nostro Quaresimale in San Pietro, così in questo secondo si prese a spiegare, nella predica del venerdì santo, il mistero di cui ora si tratta ; pel quale nel primo Quaresimale non vi fu luogo, e del quale quasi mai si tratta da'sacri oratori, e che non è perciò meno uno de' più grandi e teneri misteri del Redentore.

Dio che ha creato il mondo è lo stesso Dio che lo ha riparato. La stessa sapienza eterna che formò già l'uomo nel sesto giorno; nel sesto giorno appunto, morendo per l'uomo, lo ha redento: Sexta die qua hominem fecerai, pro eodem passus est (A-Lap.) Colla differenza però che, ove la creazione del mondo è stata come un passatempo, uno scherzo della potenza divina, Ludens in orbe terrarum (Prov. viii), la redenzione poi è stata il vero lavoro serio, l'opera di Dio per eccellenza, Domine, opus tuum in medio annorum (Habac. ); ove la creazione fu l'effetto di un comandamento generale, di una parola pronunziata da Dio con una specie d'indifferenza, Ipse dixit, et facta sunt (Psal.), la redenzione è stata un lungo ed ingrato lavoro che ha veramente stancato l'operajo divino che lo ha compiuto: Laboravi sustinens (Isa. 1). In laboribus a juventute mea (Psal. LXXXVII).

Deh! che è costato più a Gesù Cristo il dissipare le tenebre dell'idolatria che il creare la luce, il distruggere i vizii che il far nascere i bruti, il ristaurare l'imagine di Dio nell'uomo scontrafatta dal peccato che l'avervela la prima volta formata. La Scrittura adunque, secondo S. Agostino, col dirci che il Dio-Dio si è riposato in sè stesso il settimo giorno dopo compiuta l'opera della creazione, ha voluto vaticinare che il Dio-uomo si sarebbe il set. timo giorno riposato nel sepolcro, dopo compiuta l'opera di gran lunga più nobile e più importante della redenzione del mondo: Diem quo Christus erat in sepulcro quieturus hoc modo praenuntiavit dicens: Et requievit die septimo ab universo opere quod patrarat (De Gen. ad litt.)

2. Ed è perciò appunto che, nel giorno di dimani (sabb. sancto), la sto ria del riposo del Dio creatore si leggerà sotto il titolo di profezia: perchè essa è una profezia appunto del riposo del Dio redentore; e per questo mistero appunto, che nel sabbato si sarebbe compiuto, un tal giorno fu sempre, presso gli Ebrei, grande, segnalato, solenne: Erat enim magnus dies ille sabbali (Joan. 31). Sì, il mistero della sepoltura di Gesù Cristo è cotanto importante quanto quello della sua morte e della sua risurrezione: perchè è la prova dell'una e dell' altra, e perchè tutte e due le lega insieme per farne un grande e magnifico mistero. Perciò nel simbolo degli Apostoli se ne fa espressa menzione: Crucifixus, mortuus et sepultus. E perciò S. Paolo, nel suo famoso discorso a' Giudei, in cui narrò loro la storia della redenzione, richiamò particolarmente la loro attenzione sopra un tal mistero, dicendo: « E dopo che i discepoli ebbero compiuto tutto quello che era stato scritto di lui, lo deposero dalla croce e lo collocarono in un sepolcro: Et cum consummassent omnia quae de eo scripta erant, deponentes eum de ligno, posuerunt eum in monumento ». Meditiamoli adunque oggi i divini arcani che si contengono in queste semplici parole, e che appena è mai che si considerino da' cristiani; e ci troveremo di che sempre più istruirci nella religione ed accenderci nell'amore del Dio che è morto per noi.

Sospendete però ancora un istante, o Giuseppe, o Nicodemo, l'opera della vostra pietà, di discendere il corpo santissimo di Gesù Cristo dalla sua croce; perchè noi ci prostriamo innanzi a questo augustissimo altare, mentre vi è ancora sospesa la vittima, ed alla vittima ed all'altare rendiamo le nostre adorazioni e i nostri omaggi. Sì, o croce santissima, mentre che pende ancora in te il prezzo del riscatto, la speranza di tutto il mondo, noi, prostrati innanzi a te, umilmente ti adoriamo da prima: e poi ti preghiamo a far gocciolare sulle povere nostre anime una qualche stilla di quel sangue divino di cui fosti bagnata; che ne cancelli le macchie del peccato, che ne impetri il perdono, che ne ottenga la grazia, che ne accresca il merito, che ne

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