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fede a coloro che, conoscendo di essere nelle tenebre dell'errore, la cercano con umiltà di spirito, con sincerità di affetto: Ut qui non vident, videant. Al contrario però di quelli che, pieni di presunzione e di orgoglio, credono di bastare a sè stessi, di vederci meglio degli altri nelle cose divine senza bisogno del mio spirituale soccorso; questi falsi veggenti rimarranno in tenebre profonde: Et qui vident, caeci fiant. Or questa doppia sentenza ogni giorno si compie. In questo stesso momento in cui parliamo, gl' inviati della Chiesa, evangelizzando le contrade idolatre, vanno recando la luce della verità evan gelica a popoli intieri. Il prodigio, vaticinato da Isaia, figurato nella guarigione del cieco nato, presso di loro si rinnova. Questi popoli, giaciuti per secoli nelle regioni delle ombre della morte, acquistano la vista dell'anima ed aprono gli occhi alla vera luce del Vangelo: Populus qui habitat in tenebris videt lucem magnam. I ciechi ci vedono; Gesù Cristo continua dal cielo, per mezzo de'suoi ministri, la missione che incominciò egli stesso ad esercitare in terra, e per la quale era venuto: Ut qui non vident, videant.

Al contrario il filosofo orgoglioso che, gonfio de' pretesi suoi lumi, del suo ingegno, de' suoi studii, crede di vederci abbastanza per giudicare della verità dei dommi e della santità delle leggi del cristianesimo; l'eretico ostinato che, idolatra della propria ragione, colla Scrittura, che intende a suo modo, rigetta o ammette secondo il suo capriccio i dommi e le leggi della vera Chiesa; costoro, mentre credono di vederci meglio degli altri, son ciechi. Non iscorgono le verità più consolanti, i dommi più luminosi nella stessa Scrittura che han sempre alle mani. E Gesù Cristo compie con loro il mistero di giustizia di accecar coloro che presumono di vederci: Ut qui vident, caeci fiant. Quanto sarebbe meglio per costoro l'essere intieramente ciechi che vederci male! non conoscere affatto il cristianesimo che lacerarlo! ignorare il Vangelo che interpretarlo a seconda de'lor delirii e delle lor passioni! Sarcbbero rei in faccia alla legge naturale, non in faccia alla rivelazione positiva. Come quello de'gentili, il loro peccato sarebbe minore, e conoscendo la loro cecità, la grazia li guarirebbe, come illumina tanti altri gentili, e finirebber davvero col non avere alcun peccato: Si caeci essetis, peccatum non haberetis. Ma poichè conoscono la Chiesa e la calunniano; i dommi cristiani e li ripudiano; e si danno il vanto d'intendere, meglio di tutta la Chiesa, il cristianesimo; di avere maggiori lumi di tutti i Dottori cattolici nella lor mente,mentre non fanno che credere all'arroganza, alla malizia del loro cuore: essi sono ciechi veramente; e da questa cecità volontaria non saran mai guariti, ma vi staranno immersi come in un grave peccato, ed essa rimane in loro come un tremendo gastigo: Nunc autem dicitis quia videmus: peccatum vestrum manet.

22. In altra guisa la stessa sentenza si compie pure sopra quei cattolici che, presuntuosi a proporzione di quanto sono ignoranti nelle cose sacre, colla scienza del collegio, colla teologia dei filosofi profani, colla dottrina dei romanzi, coll' erudizione degli almanacchi, si avvisano di vederci meglio degli ecclesiastici dotti, degli uomini pii, delle donne divote, in materia di religione; trattano il Vangelo colla stessa leggerezza con cui si tratta la mitologia, e ne sentenziano i dommi troppo astrusi, i misteri troppo incomprensibili, la morale troppo severa; e condannano le astinenze, e compassionano il celibato, e screditano la professione religiosa, e deridono le pratiche di pietà, e mettono in burla il pudore, la carità, la divozione. Infelici, così parlano, così operano, perchè credono di capir molto, e non intendon nulla; di vederci, e son ciechi ma ciechi volontarii, perchè stanno in mezzo al più chiaro meriggio della fede; ma ciechi inescusabili, ma ciechi assai più colpevoli degli stes

si eretici; e perciò la lor cecità, peccato insieme e castigo delle loro menti orgogliose, sarà eterna: Nunc autem dicitis quia videmus: peccatum vestrum

manet.

Mirate difatti, in mezzo alla loro pretesa luce, che cosa è la lor fede: una fede languida, imbecille, moribonda e presso che morta. Una fede che tiene ad un filo e che dubita di sè stessa; perchè non sanno essi stessi se credono o non credono, se sono o no cristiani: una fede infine coperta, oppressa dalle tenebre di un cuore corrotto, assai più dense, delle volte, delle tenebre di uno spirito errante.

23. Deh, se, entrando in noi stessi, a tale vediamo ridotta la nostra fede; se questo spettacolo di una fede si scarsa, si debole, si fredda, sì inefficace, a fronte della fede delle anime veramente cristiane, sì semplice ma sì viva, si ferma e sì fervente, si tranquilla e sì operosa, si combattuta e si felice; se questo spettacolo ci umilia, ci confonde, Gesù Cristo ci ha oggi scoperto il mezzo come rianimarla, riaccenderla cotesta fede. Coll' umiltà i nostri padri ricevettero la vista dell'anima, la luce della fede: coll'umiltà possiamo noi conservare questo prezioso retaggio, coll' umiltà possiamo accrescerlo. La sapienza di Dio non comincia a brillare nella mente se non quando si è rinunziato all'umana. Dove cessa la ragione di discutere, incomincia la fede ad illuminare. La grazia comincia dove è spento l'orgoglio; e quando l'uomo si è vuotato di sè stesso, incomincia ad essere riempito della sapienza di Dio. Alla scuola di Gesù Cristo, nella scienza dell'eterna salute, l'anima avanza coll'arrestarsi alla cognizione della propria miseria, intende col pregare, s'innalza coll' abbassarsi, s'ingrandisce coll' impicciolirsi; impara tanto di più quanto è più umile; e tanto più presto quanto è più ubbidiente. Beati noi se ci atterremo a questo magistero: se, umiliando il nostro orgoglio, rinunziando alle misere pretensioni della vanità, ci sapremo umiliare davanti a Dio e agli uomini! Noi ritroveremo, come Sidonio, Gesù Cristo nel tempio, che colla sua grazia compirà l'opera della sua rivelazione che in noi ha cominciata; ce ne darà l'intelligenza, la cognizione pratica; impareremo ad adorarlo in ispirito e verità: diverremo suoi figli amorosi, suoi zelanti discepoli, suoi imitatori fedeli ; e dopo di averne conservala la fede, adempita la legge, ne avremo la beatitudine, e ne divideremo la gloria. Così sia.

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1. QUALE diversità di giudizii, qual contrasto di sentimenti, qual prontezza di gastighi e di ricompense non ci presenta l'odierno Vangelo? (Dom. Passion.) Molti de' Giudei aveano di già creduto in Gesù Cristo, ascoltando le sue divine parole: Haec illo loquente, multi crediderunt in eum (Joan. viii, 30). Or ecco, in faccia a queste anime docili che credono Gesù Cristo Figliuolo di Dio, un popolo orgoglioso e protervo che lo bestemmia, chiamandolo Samaritano e ossesso: Samaritanus es tu et daemonium habes (ibid. 48). Ecco, in faccia a tante anime religiose che lo adorano, un popolo empio e crudele che prende le pietre in mano per lapidarlo: Tulerunt ergo lapides ut jacerent in eum (ibid. 59). Ma ecco altresì, nel medesimo tempo, gli uni ottenere il premio della lor fede nella promessa che Gesù Cristo fa loro di liberarli dalla morte eterna, ove essi avessero fedelmente conservato il deposito prezioso delle sue parole: Si quis sermonem servaverit, mortem non videbit in aeternum (ibid. 51); e gli altri riportare il gastigo della loro ostinazione e del loro furore, perchè Gesù Cristo da loro s'invola, abbandona il lor tempio e li lascia in preda al loro accecamento: Jesus autem abscondit se et exivit de templo (ibid. 59).

Così si è oggi compiuto, nel tempio di Gerosolima, il grande oracolo che trentatrè anni prima il santo vecchio Simeone vi avea pronunziato, dicendo di Gesù ancor pargoletto: Ecco che esso, divenuto in Israello segno di odio e di contradizione per gli uni, e di fede e di amore per gli altri, sarà occasione a chi di ruina e di morte, a chi di risurrezione e di vita: Ecce positus est hic in ruinam et in resurrectionem multorum in Israel, et in signum cui contradicetur.

2. Se non che ciò che il Profeta avea predetto, ciò che oggi si è adempiuto nella persona di Gesù Cristo, si è continuato sempre a verificare della sua dottrina e della sua religione. Questa religione ancora e questa dottrina, motivo di resurrezione e di vita per alcuni, e per altri di ruina e di morte, ha incontrato sempre ed incontra pur tuttavia nel mondo amanti che la ricercano e indifferenti che non la curano, discepoli che la professano ed avversarii che la impugnano, panegiristi che la encomiano e detrattori che la discreditano, martiri che la confessano e tiranni che la perseguitano; e tra le acclamazioni degli uni e le bestemmie degli altri, amata e odiata, onorata e derisa, a somiglianza del suo divino autore, fornisce la sua carriera sopra la terra, quelli lasciando perir nell' inferno, questi elevando seco alla vita eterna nel cielo: In ruinam et in resurrectionem multorum, et in signum cui contradicetur.

3. Tra tutti i dommi però della dottrina di Gesù Cristo, tra tutti i misteri della sua religione, questo profetico oracolo si adempie in particolar modo del domma ineffabile, del grande mistero dell' Eucaristia. Poichè esso, mentre che è l'oggetto dell'adorazione e del culto, il simbolo dell'unità, la speranza, la vita, l'amore, la delizia della vera Chiesa; è pure l'oggetto delle contradizioni, de' sarcasmi, degl' insulti, delle bestemmie dell'eresia; e per molti cristiani è motivo di scisma e di perdizione: sicchè, di Gesù Cristo nascosto in questo mistero della sua potenza e del suo amore particolarmente può dirsi Ecce positus est hic in ruinam et in resurrectionem multorum, et in signum cui contradicetur.

Voi già bene intendete che io voglio oggi parlare della divina Eucaristia; poichè nella spiegazione che abbiamo presa a fare de' principali miracoli del Dio Salvatore, non si deve ometter questo, che ne è il più tenero, il più delizioso, ed insieme il più grande, il più magnifico, il più stupendo.

E perchè è impossibile, in un solo sermone, il pur dare l'idea di questo profondo mistero, in cui tutta si compendia la religione, ne faremo l'argomento di più sermoni. Ed incominciando oggi dalla RIVELAZIONE e dalla PROMESSa che, prima di compierlo, Gesù Cristo ne ha fatta colle figure e colle paroJe, vedremo, nelle disposizioni diverse onde fu accolta questa PROMESSA e questa RIVELAZIONE, rappresentati al vivo l'ingiustizia, il delitto di quei cristiani che anche al presente la impugnano; e la virtù, la gloria, la felicità di color che la credono: affinchè, confermandoci sempre dippiù nella fede di sì consolante mistero, mentre esso è segno di contradizione per parte degli eretici, divenga sempre più per noi segno di venerazione e di amore; e dov'essi, gl' infelici, vi trovano un motivo di perdersi, noi ci troviamo un pegno, un sussidio per salvarci: Positus est in ruinam et in resurrectionem mullorum in Israel, et in signum cui contradicetur.

PARTE PRIMA

4. Fanno alcuni le maraviglie che S. Giovanni, il discepolo più caro a Gesù Cristo, sia stato il solo fra gli evangelisti che non abbia parlato della cena cucaristica in cui fu operato il più grande dei miracoli, il più tenero de'misteri di Gesù Cristo. Ma non è altrimenti così; ed il mistero dell' amore non potea essere e non è stato infatti taciuto dal gran teologo, dal grande evangelista dell'amore. Infatti, se non ha S. Giovanni parlato del modo onde un tal mistero fu istituito, ciò è stato perchè ne avea detto abbastanza del modo onde fu dal Signore rivelato e promesso. Anzi, nessuno tra gli Evangelisti ha, più di S. Gio

vanni, somministrati argomenti per distruggere le difficoltà che contro vi oppone l'orgoglio degli eretici; e nessuno ha stabilita la verità di questo grande mistero meglio di S. Giovanni, come lo ha fatto nel capo sesto del suo sublime Evangelio. Procuriamo adunque di spiegarlo questo importantissimo capo, e vediamoci il mistero eucaristico rivelato e promesso ne' termini più chiari, colle più tenere espressioni; ed elevato e connesso co'dommi fondamentali di tutta la religione.

5. Narra adunque S. Giovanni che il giorno dopo in cui il Signore con cinque pani satollò presso a dodicimila persone (vedi Omil. XXII), mentre i Giudei erano ancora sotto l'impressione dello stupore di questo portento, mentre aveano, dirò così, ancora in bocca il sapore del pane miracoloso, Gesù Cristo, vedendoli venirgli dappresso e voler restare in sua compagnia: « In verità, disse loro, io ben conosco donde muova questo vostro trasporto per me; esso è tutto interessato e terreno. Voi mi ricercate non già perchè i miracoli che mi avete veduto operare vi han fatto credere in me; ma perchè avete mangiato il mio pane e ne siete restati soddisfatti e satolli: Amen dico vobis: quaeritis me non quia vidistis signa,sed quia manducastis de panibus et saturati estis» (Joan. vi, 26). E tosto, trasportando il suo discorso e l'animo degli ascoltanti dalla figura al figurato, dalla terra al cielo: « Vi avverto adunque, soggiunse loro, a procurarvi, pria che il cibo del corpo, quello dell' anima; pria che il cibo materiale onde viver nel tempo, l'alimento spirituale che vi farà vivere per l'eternità: Operamini non cibum qui perit, sed qui permanet in vilam aeternam (27); ed io ve lo darò questo cibo misterioso; poichè, col pane del miracolo, che jeri avete mangiato, il mio Padre celeste ha voluto darvi come il sigillo e il pegno del pane spirituale e divino che or vi prometto: Cibum quem filius hominis dabit vobis. Hunc enim signavit Paler» (ibid.)

Compresero da questo discorso i Giudei che essi doveansi una tal grazia meritare per mezzo di una qualche opera a Dio accettevole e grata; e perciò chieggono a Gesù Cristo quale poteva esser mai una tal opera: Dixerunt ergo ad eum: Quid faciemus ut operemur opera Dei? (28). E Gesù Cristo risponde loro: « La prima opera che vi convien praticare e a Dio la più gradita si è il CREDERE (1) CHE IO SONO IL MESSIA che Dio stesso ha mandato: Hoc est opus Dei: UT CREDATIS IN EUM QUEM MISIT ILLE (29).

5. Ma con qual segno, ripiglian tosto i Giudei, con quale straordinario prodigio ci provate voi che siete stato veramente mandato da Dio, non già come un altro Profeta, ma come il Messia che egli ha promesso? Quod ergo tu facis signum, ut videamus et credamus tibi? Quid operaris? (30) Voi avete, è vero, operato il miracolo della moltiplicazione de' pani e ci avete nutriti nel deserto. Ma Mosè non ha esso pure nel deserto nutriti colla manna i padri nostri? colla differenza che voi ci avete dato cibo per un sol giorno, e Mosè ha alimentato per quarant'anni un gran popolo; voi ci avete dato un pane terreno, manipolato dagli uomini, e Mosè diede un pane lavorato dagli Angioli, disceso dal cielo. Eppure Mosè non pretese mai passar per Messia, ma sol per Profeta: Patres nostri manducaverunt manna in deserto, sicut scriptum est: Panem caeli dedit eis manducare (31).

(1) Si ascolti Teofilatto sopra queste parole di Gesù Cristo: La fede, dice egli, è l'opera per eccellenza, santa e perfetta e che santifica coloro che veramente la mantengono. Poichè la vera fede, la fede sollecita di piacere a Dio, diviene nell' anima stimolo, principio e guida di ogni buona operazione: ed ogni buona operazione conserva la fede. Imperciocchè come le o pere virtuose son morte senza la fede, così morta è essa pure la fede senza te opere: Fides profecto est opus sanctum et perfectum et sanctificans illos qui illam habent. Dux enim fit diligens fides ad omnem bonam operationem, et bona operatio conservat fidem. Nam et opera sine fide mortua sunt, et fides sine operibus (Exposit.)

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