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bolum habent tortorem; cum ipso quoque eos ultricia incendia concremabunt (op. cit.)

Beati noi però se, entrando nello spirito della Chiesa, colla umiltà della preghiera, colla severità dell' astinenza, come l'odierno giovinetto che, libero dal demonio, apparve siccome morto, morremo al mondo de' sensi e delle illusioni, per vivere a Dio e con Dio! (1) Oh che bello stare sarà nei nostri panni! Dio sarà in noi e con noi, e noi nelle braccia di Dio, come un pargoletto nel seno della sua madre, che, svegliandosi in fine, si trova viso a viso con lei; ed essa lo ristora col latte e lo ricolma di carezze e di baci. Così noi, se a Dio e in Dio saremo vissuti, e morremo in seno a Dio; al di là del sepolcro ci sveglieremo nelle braccia di Dio, che ci stringerà al suo seno, ci colmerà delle benedizioni della pace e delle carezze dell' amore, e ci farà scorrere a torrenti nel cuore il latte misterioso del gaudio infinito, dell'eterna dolcezza: Torrente voluptatis tuae potabis eos (Psal. 35). Così sia.

(1) Questa interpretazione è di S. Gregorio, che dice: Il fanciullo che, liberato già dalla podestà del demonio, apparve siccome morto, significa il peccatore pentito e sanato dal suo peccato, che, assoggettando i maligni desiderii, estingue in sè la vita voluttuosa e carnale de' sensi: Velut mortuus ostenditur qui a maligni spiritus potestate liberatur ; quia quisquis terrena desideria subegit, vitam in se carnalis conversationis extinguit (Homil.) E S. Girolamo avea detto che a questo effetto della grazia allude S.Paolo quando dice a'nuovi convertiti o sanati nell' anima : « Voi siete morti, e la vostra vita è nascosta con Gesù Cristo in Dio: « Sanatis enim dicitur: Mortui enim estis ; et vita vestra abscondita cum Christo in Deo (Comm.

OMILIA II.

IL CENTURIONE

S. Matteo, c. VIII, v. 5-13 (1).

Populus, quem non cognovi, servivit mihi; in auditu auris obedivit mihi.

(Psal. xvII).

1. In queste parole che, a nome di Dio, pronunciò già il suo profeta Davide, per testimonianza unanime de' Padri e degli interpreti, volle il Signore annunziare al mondo, otto secoli prima che si compisse, il mistero di misericordia della conversione di noi poveri gentili alla Religion del Messia. Infatti eravamo veramente noi gentili il popolo che Dio avea mostrato già di non curare e quasi di non conoscere, e che, ciò non ostante, siamo stati solleciti di conoscere il vero Dio, pronti a riceverlo, docili ad ascoltarlo, fedeli ad ubbidirgli: Populus, quem non cognovi, servivit mihi; in auditu auris obedivit mihi.

Non contento però il Signore di aver fatto già annunziare questo mistero della sua bontà verso di noi colle parole de' suoi Profeti, prima ancora che lo compisse pel ministero de' suoi Apostoli, si è degnato oggi farcelo vedere, come in azione, in persona del Centurione (2), di cui poco fa avete udito il

(1) Questo Vangelo si legge alla Messa del giovedì dopo le Ceneri e della domenica terza dopo l'Epifania. S. Luca ancora, al capo vi, v. 1-10, ha riferito lo stesso fatto. Esso avvenne l'anno xvi di Tiberio, xxx dell' età di Gesù Cristo, 11 della sua predicazione divina, nel mese di maggio, in Cafarnao, città della Galilea non lungi dal lago di Genesaret, tra' confini delle due tribù di Zabulon e di Ne tali, e che nel Vangelo si chiama La città di Gesù Cristo (Matth. Ix), per la gran copia de'miracoli che il Signore vi fece, e pel gran tempo che vi passò.

(2) La legione romana (che oggi direbbesi reggimento) si divideva in coorti (oggi battaglioni); e queste in centurie (oggi compagnie), ossia corpi di cento o più soldati: ciascuno de' quali era comandato da un capitano, che perciò si dicea centurione. La Giudea, assoggettata a Roma, prima da Pompeo, poscia da Giulio Cesare, ed infine da Augusto, avea ancora, a tempo di Gesù Cristo, sotto Tiberio, un preside o governatore romano, con truppa o presidio romano esso pure. A questo presidio apparteneva l'odierno centurione, oriundo di Spagna, nativo di Roma. Nella Cronaca di Lucio Destro si dice che questo fortunato militare si chiamava Cajo Oppio, e che era padre di quel Cajo Cornelio, esso pure centurione, che si convertì sul Calvario, alla vista de' prodigi che accompagnarono la morte di Gesù Cristo, e lo riconobbe e lo confessò vero Figlio di Dio.

Scuola de' Miracoli

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Vangelo. Imperciocchè il Signor nostro Gesù Cristo, dice S. Agostino, ha voluto che tutto quello che egli ha fatto in vita, nell' ordine visibile e corporeo, s' intendesse ancora in un senso mistico e spirituale: Dominus noster Jesus Christus ea quae faciebat corporaliter,etiam spiritualiter volebat intelligi (Serm. 44 de verb. Domini). E perciò, siegue a dire lo stesso gran Padre, ne' suoi miracoli il Signore non facea solamente opere di onnipotenza, ma rivelava ancora importanti verità; e mentre riempiva di stupore coloro che li vedevano, mirava ancora all' istruzione di coloro che avrebbero procurato d'intenderli Neque enim tantum miracula propter miracula faciebat, sed ut illa, quae faciebat, mira essent videntibus, vera essent intelligentibus (ibid.)

Procuriamo adunque d' intenderlo nel suo senso misterioso e profetico l'odierno prodigio, onde, come appresso S. Agostino nota l'A-Lapide, fu figurata e cominciò a compiersi la vera conversion de' gentili: Gentium vocatio in eo praesignala et inchoata fuit (A-Lap. hic); e nella fede dell' umile centurione vediamo il pegno, il modello della nostra. Felici se, imitandone i sentimenti e le opere, possiamo ancora ottenerne le ricompense!

PARTE PRIMA

2. Avea il Signore istruito sul monte il popolo, e curato il leproso appiè del monte (1); e quindi dice l' Evangelista che entrò in Cafarnao: Cum implesset omnia verba sua in aures plebis, intravit Capharnaum (Luc. 1).

Ora questa particolarità, dice S. Gian Crisostomo, racchiude un mistero; e significa che il Signore, dopo di avere compiuta la sua missione di curare i Giudei, figurati nel leproso giudeo, sarebbe un giorno passato a ritrarre maggior frutto presso i gentili, figurati nel servo del centurione gentile che Gesù Cristo venne a guarire in Cafarnao: Postquam Dominus discipulos docuit in monte, et leprosum sanavit sub monte, venit Capharnaum in mysterio: quia, post Judaeorum mundationem, venit ad gentes (Homil. in Matth.) Imperciocchè Cafarnao, parola che significa la villa della pinguedine, fu, siegue a dire lo stesso Padre, figura della Chiesa, formata da' gentili, e che è stata dalla divina bontà ripiena e ricolma della pinguedine delle grazie spirituali, secondo la profezia di Davide; « L' anima sarà un giorno nella pinguedine e nell'abbondanza»: Capharnaum enim, quae VILLA PINGUEDINIS interpretatur, Ecclesiam significat: quae ex gentibus collecta et spirituali pinguedine est repleta, juxta illud: Sicut adipe et pinguedine repleatur anima mea (ibid.) Che più? il centurione medesimo c' indica anche meglio lo stesso mistero; perchè, come osserva S. Agostino, era romano di nascita, militare di professione, di religione gentile: Iste centurio ex gentibus erat; jam enim Judaea habebat militem romani imperii (Serm. 6 de verb. Dom.)

3. Ora questo centurione avea un servitorello che gli era carissimo: Qui iili erat pretiosus (Luc. 2), ma che, sorpreso da una fiera paralisi (2), si gia

(1) Per autenticare e confermare co’miracoli la dottrina celeste che avea predicata colle parole. La guarigione del leproso fu il primo miracolo; quella del servo del centurione fu il secondo che il Signore operò dopo il suo ammirabile divino sermone del monte, che contiene la somma della vita cristiana e della perfezione evangelica.

(2) La paralisi comune è per lo più malattia lenta, senza grandi dolori e senza un prossimo pericolo. Quella di questo infelice era acutissima, accompagnata da orribili dolori, incurabile ed infine foriera di una prossima morte, come è chiaro dalle espressioni che gli Evangelisti adoperano affine di far rilevare la grandezza del miracolo. Imperciocchè il celebre medico Guglielmo Adero, nel suo Libro De aegrotis et morbis a Christo sanalis (Cap. 2), dimostra che tutte le infermità sanate dal Verbo di Dio incarnato erano disperate e naturalmente incu

ceva sfinito e languente in preda a' più acuti dolori e vicino a dar l' ultimo fiato: Jacet in domo paralyticus et male torquetur (Matth.6); Erat moriturus (Luc. 2). Avendo perciò sentito il buon centurione che Gesù Cristo era giunto in Cafarnao, manda umilmente pregandolo, per mezzo de' più autorevoli Giudei suoi amici, di salvargli il servo da una morte inevitabile e vicina: Cum audisset de Jesu, misit ad eum seniores Judaeorum, rogans eum ut salvaret servum ejus (Luc. 3).

Ma perchè manda, e non va personalmente egli stesso il centurione a chiedere una grazia che gli sta tanto a cuore? L'Evangelista cel dice: Quest'uomo mansueto di spirito ed umile di cuore, siccome straniero di nazione, e di religione gentile (1), si credeva indegno di pur comparire alla presenza di Gesù Cristo: Meipsum non sum dignum arbitratus ut venirem ad te (Luc. 7). Perciò ancora, avendo inteso che il Signore veniva, mandò subito gli amici a fermarlo nel cammino, facendogli dire: «Non vogliate affaticarvi di più, o Signore, per venire da un uomo che non è degno di ricevervi per ottenere la grazia di che vi ho fatto pregare, non è necessaria la vostra presenza, basta la vostra parola: Cum jam (Jesus) non longe esset, misit ad eum centurio amicos, dicens: Domine, noli vexari; neque enim sum dignus ut sub tectum meum intres, sed dic verbo, et sanabitur puer meus » (Luc. 6) (2).

Ma poichè quanto più il centurione si riconosce e si confessa indegno di ricevere Gesù Cristo in sua casa, tanto più volentieri Gesù Cristo continua ad andarvi, il centurione, vinta la ripugnanza della sua umiltà, in vista di una sì gran degnazione. viene esso stesso incontro del Signore e gli si avvicina: Et accessit ad eum centurio (Matth. 5).

4. Quanto è bella però questa espressione: Il centurione si avvicina a

rabili affatto, e che perciò solo da Gesù Cristo, il sommo archiatro divino, si potean guarire. Anche S. Ambrogio avea detto, che tutti gl' infermi sanati dal Figlio di Dio, erano di quelli che non poteano essere sanati dagli uomini: Eos sanavit Dominus Jesus, quos nemo curaret (Epist. 45).

(1) I Giudei disprezzavano profondamente i gentili perchè idolatri; li consideravano come impuri e vili, sino a chiamarli cani. Quindi la repugnanza de' gentili di trattar co' Giudei e di loro comparire semplicemente innanzi. Fu dunque, dice qui l'A-Lapide, in segno di umiltà e di rispetto che il centurione mandò i seniori giudei, e non andò di persona egli stesso a pregare Gesù Cristo, credendosi indegno di pur presentarsi a lui e di parlare con lui: Seniores judaeos misit ad Christum honoris causa: quia ipse, utpote gentilis, aestimabat se indignum colloquio et conspectu Jesu Judaei enim gentiles idololatras aestimabant uti viles et impuros.

(2) Da tutto ciò è chiarissimo, come osserva l'interprete citato, che il centurione fece per mezzo de' Giudei supplicare il Signore solamente a guarirgli il servo, e che la preghiera di vepire, Ut veniret, che lo stesso S. Luca attribuisce al centurione,fu aggiunta dagli stessi Giudei mandati a chieder la grazia ; i quali, non avendo nè la fede, nè l'umiltà del centurione, credettero che Gesù Cristo, per sanarne il servo, avesse bisogno di recarvisi di persona: Rogans ut veniret, pertinet ad Judaeos centurionis legatos, qui minoris erant fidei et humilitatis quam ipse centurio. Hic enim petebat ut Christus sanaret puerum. Judaei vero de suo addiderunt: Ut veniret. In secondo luogo il centurione era caro a' Giudei perchè amava la loro nazione, ed avea a sue spese edificata loro in Cafarnao una sinagoga, o luogo destinato alla spiegazione della legge mosaica ed alla preghiera; e di queste ragioni si servirono i Giudei per avvalorare presso il Signore la dimanda del centurione ed impetrargli la grazia: Rogobant eum sollicite dicentes : quia dignus est ut hoc illi praestes; diligit enim gentem nostram, et sinagogam aedificavit nobis (Luc. iv, 5). Nell' impegno adunque di far cosa grata ed onorevole al centurione, facendogli venire in casa Gesù Cristo, lo sollecitarono a venire, intendendo bene, dice pure un altro interprete, che il centurione desiderava nel cuor suo questa visita, sebbene per umiltà non avesse osato di dimandarla: Sciebant enim hoc centurionem desiderare, sed ex humilitate non audere petere (Francisc. Luca, hic). S. Luca poi, siegue a dire l' A-Lapide, per brevità, come spesso è uso di fare, unisce qui insieme le parole de'Giudei e quelle del centurione, ed a questo le attribuisce; perchè i Giudei le pronunziarono in suo nome: Lucas more suo convolvit, brevitatis studio, dicta centurionis et Judaeorum... tribuit centurioni petitionem Judaeorum, quia illam ipsi ejus nomine instituebant.

Gesù! Con essa, dice il Beda, ha voluto indicare l'Evangelista l'avvicinamento del centurione a Gesù Cristo non tanto col corpo, quanto collo spirito. Come l'Emorroissa, meglio delle turbe che premevano da ogni parte il Signore, lo toccò perchè meglio credette; così il centurione si avvicina a Gesù tanto meglio di quelli che lo circondano quanto ha più fede: Sicut Emorroissa, quia magis credidit, magis Dominum tetigit quam turbae a quibus premebatur; ita centurio quo magis credidit, eo magis accessit (Exposit.)

Ma notate che il centurione non pensa d'implorare l'onnipotenza di Gesù Cristo, se non dopo che Gesù Cristo gli ha fatto giungere all' orecchio la fama de' suoi prodigi, Cum audisset de Jesu; ed è venuto esso stesso in Cafarnao, Intravit Capharnaum; e che allora solo il centurione va alla presenza di Gesù quando Gesù si è colla sua persona recato dal centurione, lo ha prevenuto e gli è andato esso stesso il primo all'incontro. E con ciò volle fin d'allora significare il Signore che sebbene i nostri padri gentili, nell' abbracciare prontamente la fede di Gesù Cristo, gli sarebbero come andati all' incontro; pure non sarebbe ciò accaduto, se non dopo che lo stesso Signore, nella persona di Pietro e degli altri Apostoli, sarebbe venuto egli il primo incontro di noi e ci avrebbe fatto ascoltare la predicazione evangelica. Sicchè, dice S. Prospero, noi non abbiamo pensato a Dio, se non perchè Dio il primo ha pensato a noi. Non gli abbiamo risposto, se non perchè egli il primo ci ha chiamato. Non siamo andati in cerca di lui, se non perchè egli il primo nella sua misericordia ci ha prevenuto, venendo in cerca di noi; e la fede santa e pura che noi professiamo, il più grande de' nostri beni, è stato il più gratuito, il più generoso de' suoi beneficii: Noverit anima se praeventam: nisi quaesita non quaereret, nisi vocata non reverteretur.

5. Giunto il centurione alla presenza del Salvatore e gittatoglisi a'piedi in aria supplichevole, Rogans eum, gli rinova colla sua bocca la preghiera che gli avea avanzata per mezzo de' suoi amici; e, « Signore, gli dice, vi ho fatto pregare ad aver pietà del mio servitorello che tengo in casa paralitico e tra vagliato da dolori di morte: Dicens: Domine, puer meus jacet in domo paralylicus, et male torquetur » (Matth. 5). Oh preghiera piena di confidenza ! dice qui il Crisostomo. Il centurione non aggiunge di più a queste parole; non prega Gesù Cristo perchè gli risani il servo; Non dixit: salva eum. Si contenta di manifestargliene la miseria e l'infermità, e si rimette pel rimedio alla bontà del cuore amoroso di Gesù Salvatore; mostrando con ciò di crederlo quanto sapiente nell' intendere e potente nell'operare, tanto proclive ad intenerirsi e pronto a soccorrere: Sciebat quia potens est ad faciendum, misericors ad exaudiendum, sapiens ad intelligendum. Ideo infirmitatem tantum exponit; remedium autem misericordiae ejus dimisit (loc. cit.)

Considerate ancora, ci dice Origene, la maniera di esprimersi del centurione: « Domine, puer meus jacet in domo paralyticus, et male torquetur »; poichè quanto mai non dicono queste brevi parole? Esse, mentre fanno il quadro più compassionevole dello stato del servo, che rappresentano abbandonato senza rimedio ad una immobilità tormentosissima, ci scuoprono tutta la carità del cuor del padrone. Quest'uomo veramente pietoso parla del suo servo colla stessa tenerezza, collo stesso dolore che se gli fosse tigliuolo: Om nia ista cum dolore congeminavit: et jacentem et paralyticum et male detentum (Homil. 5 in divers.) E S. Gian Crisostomo dice: Le parole del centurione sembrano indicare che i dolori che prova il servo nel corpo, l'amoroso padrone, per vicenda di carità, li risente nel cuore; che è come infermo egli stesso della infermità di quello, e che debba morire nella sua morte: Sic sollicite

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