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Nè le briciole del pane, di cui la Cananea ha fatto menzione, sono senza mistero. Esse significano, dice Remigio, i precetti più minuti e più perfetti, i misteri più intimi e più preziozi del Vangelo, che formano come l'alimento della Chiesa. E perchè i veri figli della Chiesa non giungono all'adempimento di questi precetti o all'intelligenza di questi misteri, se non per mezzo dell' umiltà; perciò è detto pure che le briciole del pane non si raccolgono e non si mangiano se non sotto alla mensa: Per micas, minima praecepta vel interna mysteria, quibus sancta Ecclesia pascitur. Micae sub mensa comedi dicuntur; quia Ecclesia, ad implenda divina praecepta, humiliter se submittit (Caten.) Ascoltiamo però ancora S. Girolamo: non vale, dice egli, il negarlo, poichè è una verità troppo manifesta; noi gentili eravamo cani, ed i Giudei, soli veri adoratori del Dio vero, ne eran figliuoli: Israel quondam filius, nos canes (Comm.) Ma oh maraviglioso cangiamento: Mira aulem conversio! Questi titoli di cane e di figliuolo cambiaron popolo, come la fede cambiò di luogo: Pro diversitate fidei, ordo nominum commutatur (ibid.) I Giudei, che una volta eran figliuoli, poichè si avventarono colle loro zanne sacrileghe alle sante carni del Figlio di Dio e ne fecero orribile strazio, divennero veri cani; e di essi dice S. Paolo: Guardatevi da' cani, dagli uccisori di Gesù Cristo: Israel, quondam filius, postquam manus suas in Filium Dei immisit, facti sunt canes; de quibus Paulus: Videte canes; videle interfeclores (Origen. loc. cit.) Al contrario noi gentili, che eravamo cani, abbiamo colla nostra fede ottenuto la gran misericordia di essere chiamati figliuoli, avendo detto S. Giovanni: diede loro il vanto di divenire figli di Dio: Nos autem qui canes eramus, per Dei misericordiam nuncupamur filii; quia dedit eis potestatem filios Dei fieri (Hieron. loc. cit.)

23. Ma nella stessa ammirabile istoria i Padri han riconosciuto un altro mistero. La figliuola della Cananea, travagliata dal demonio, è, dice ancora S. Girolamo, l'anima di ogni cristiano sotto l'impero delle passioni, che sono le armi, i lacci, i titoli della tirannia del demonio: Filiam Chananaeae pulo esse animas credentium, quae male a daemonio vexantur. Ed il Beda dice pure: La coscienza dell' uomo è come la figlia diletta dell'uomo. Chi dunque ha la coscienza macchiata dalla sozzurra del vizio, costui ha veramente la sua figlia sotto la tirannia del demonio: Si quis habet conscientiam alicujus vitii sorde pollutam, filiam habet a daemonio vexatam (loc. cit.) Or qual vi ha rimedio, chiede il Rabano, di ricuperare questa nostra unica e preziosa figliuola, libera e sana dalle infermità che l'hanno sì mal concia e ridotta ad uno stato di tanta miseria? Il rimedio unico, certo, sicuro, infallibile si è di ricorrere al Signore colla preghiera: Pro cujus sanatione supplex recurrat ad Dominum (Caten.)

Imperciocchè noi l'abbiamo oggi veduto in una maniera sensibile e come posto in opera il gran mistero dello spirito di grazia e di preghiera. La Cananea ci ha dimostrato come parla il vero spirito di preghiera; e Gesù Cristo ci ha fatto vedere come il vero spirito di preghiera ottiene infallibilmente la grazia. La Cananea ci ha insegnato che il vero spirito di preghiera incomincia dal ritirarsi dalla terra degli idoli, o dagli errori, dal tumulto del mondo e delle passioni; che segue Gesù Cristo nella casa in cui si è nascosto, in cui si riposa, cioè nella Chiesa; che ivi gli si prostra dinanzi e lo adora, perchè le sole adorazioni che a lui si fanno nella vera Chiesa gli sono gradite; e che ivi collocatosi questo spirito di preghiera sulla pietra della vera fede, e da questa pietra librandosi sulle ali dell'umiltà e della fiducia, ajutato dall' aura del fervore, spicca il volo e va a piantarsi intrepido innanzi al tro

Scuola de'Miracoli.

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no di Dio: aspettando con invitta pazienza, con costante fermezza, il momento in cui piacerà a Dio di usare misericordia. E Gesù Cristo ci ha fatto pure vedere come lo spirito di grazia, che sulle prime si fa come sordo ai nostri gridi, insensibile alle nostre pene, e sembra anzi prendersi giuoco della nostra miseria ed insultare alla nostra umiliazione ed al nostro dolore, in fine poi, quando ha fatto prova della nostra pazienza e della nostra fedeltà, si dichiara in nostro favore, si manifesta in tutti i trasporti della sua tenerezza, e accorda più di quel che si chiede.

24. E perciò appunto si è oggi recato sulle prime in un atteggiamento di tanta severità, di tanta durezza, si è mostrato si inflessibile e sì lontano dal conceder la grazia: affinchè nell' averla poi conceduta sapessimo noi che lo spirito di grazia mai non manca al vero spirito di preghiera, che parla ed opera come nella Cananea; e che, per quanto sia grande la distanza che separa Dio da noi, questa preghiera lo ravvicina; per quanto sia con noi sdegnato, questa preghiera lo placa; per quanto sembri restio e lontano dal farci grazia, questa preghiera lo muove, lo intenerisce, lo strascina. Oggi adunque Iddio, perdonatemi questa espressione, ci ha scoperto il suo lato debole, la via secreta per andare a lui e di levargli di mano i suoi doni e di renderci anzi padroni di lui. Di Giacobbe è scritto che fu forte contro Dio stesso: Contra Deum fortis fuisti (Gen. xxxII), e che perciò gli fu cambiato il nome di Giacobbe in quello d' Israello, che significa vincitore di Dio. Ora il profeta Osea ci ha chiaramente rivelato in qual modo Giacobbe fu si possente che giunse a trionfare di Dio; cioè coll'umiltà, colla fiducia, col fervore, co' gemiti, co'pianti della sua preghiera: Flevit, rogavit, potens fuit (Ose. XII).

Gli antichi filosofi diceano che la Divinità è inaccessibile all'uomo; e sì che è vero! Questo Dio infinito, immenso, eterno abita una luce inaccessibile. Milioni di Angioli, che ne circondano il trono, ne rendono impossibile ad ogni altra creatura l'accesso. Ma Gesù Cristo ci ha oggi dimostrato col fatto che la Divinità non solo è accessibile, ma è ancora superabile; ci ha svelato un gran secreto; ci ha scoperto un sentiero nascosto all'orgoglio, ma noto all'umiltà, facile, certo e sicuro per andare a Dio: Il sentiero della preghiera. Per questa via, dice S. Agostino, può l'uomo trapassare i cieli, farsi strada a traverso i santi, fendere la turba degli Angioli, forzare le guardie di sì gran Monarca, giungere fino al suo trono, levargli il fulmine di mano, farlo discendere dall'altezza della sua maestà e della sua gloria infinita fino alla propria miseria, alla propria bassezza, ed obbligarlo ad usargli misericordia: Ascendit oratio, et descendit Dei miseratio. Anzi vi è ancora di più, soggiunge lo stesso grande Dottore: dal fondo di un cuore che prega Dio con umile desiderio, con sincero fervore, sorgono de' gemiti, de' sospiri di cui è impossibile lo spiegare la forza e l'incanto, e che, come una musica melodiosa e soave, allettano gli orecchi e il cuore di Gesù Cristo, lo commovono, lo inteneriscono e l'obbligano a spalancarsi sopra di noi con tutte le ricchezze della sua bontà: Ex corde desiderante atque fervente gemitus inenarrabiles emilluntur : quibus, veluti musica, demulcetur Christus (Serm. 74 de Temp.)

25. È vero dunque ; siamo tutti non solo miserabili, ma la stessa miseria, la stessa povertà, come Dio è la stessa ricchezza e la stessa maestà. È vero, la nostra mente è cieca, l'immaginazione incostante, la volontà inferma, la carne ribelle, il cuore inclinato al vizio e facile a fuggirci in un istante di mano. È vero, sono grandi i pericoli, spesse le occasioni, le tentazioni gagliarde, le passioni possenti, deboli le forze, scarso il coraggio. È vero anco

ra pur troppo che queste miserie di natura e di origine le abbiamo a mille doppii accresciute noi stessi co' nostri disordini di colpa: sicchè, novelli Giobbi, dopo aver perduto ogni nostro bene, siamo divenuti da capo a'piedi una piaga. Ma tanta miseria e tanta debolezza non ci servirà di scusa al tribunale di Dio; e la sua giustizia non punirà meno severamente perciò le nostre colpe. E perchè? Perchè come a Giobbe furon lasciate sane le labbra, così a noi, in mezzo a tante ruine della nostra morale condizione, la divina pietà ha lasciata la grazia della preghiera, colla quale possiamo riparare tutte le nostre perdite, ricuperare tutte le nostre forze, ritornare ad una sanità perfetta: Relicta sunt tantummodo labia circa dentes meos (Job. xix).

Datemi infatti l'uomo il più perduto ne' vizii: se esso s' induce a pregare con sincerità di cuore, con umiltà di spirito, con costanza di volontà; con ciò solo già incomincia a detestare il peccato, giacchè non può essere uomo di peccato l' uomo di preghiera ; con ciò solo ottiene la contrizione, ottiene il perdono, ottiene la forza, ottiene il fervore; con ciò solo è già convertito, è già emendato, è già salvo. Giacchè la preghiera tutto ottiene, e trionfa di tutto.

26. È vero pure che alcune volte noi preghiamo molto senza nulla ottenere: ma ciò accade per le grazie dell'ordine temporale, che per lo più sarebbero pregiudizievoli al nostro bene spirituale; e perciò, dice S. Agostino, Gesù Cristo, nel negarci tali grazie, ci fa la maggiore di tutte le grazie, si mostra Salvatore amoroso delle nostre anime: Non concedendo, Salvatorem se exhibet. Ma in quanto alle grazie dell'ordine spirituale, se le chiediamo colle condizioni del vero spirito di preghiera, noi le otterremo sempre, le otterremo tutte; perchè Gesù Cristo vi ha impegnata la sua parola, avendoci detto che tutto ciò che chiederemo a Dio in suo nome, cioè in nome del Salvatore, e perciò in ordine alla eterna salute, infallibilmente si ottiene: Quodcumque petieritis Patrem in nomine meo, dabit vobis (Joan. XIV).

Perciò la perseveranza finale, il dono di Dio che corona tutti gli altri suoi doni, questo dono che ci apre la porta del cielo, e del quale stanno sempre in timore le anime cristiane, poichè Dio non lo deve a nessun merito; però al merito della preghiera, poichè lo ha promesso, non lo nega e non può negarlo Hoc donum Dei suppliciter emereri potest (Aug.) L'uomo adunque che pecca, che si abbandona a'vizii, che si perde, che si danna, è l'uomo che non prega; è l'uomo che trascura il mezzo unico, facile, sicuro di non peccare e salvarsi ; e perciò è l'uomo volontariamente debole, volontariamente peccatore e che volontariamente si danna: Perditio tua ex te, Israel. Tantummodo in me auxilium tuum (Ose. xII).

27. Deh! rianimiamo in noi lo spirito di preghiera : la prima e la più gratuita delle grazie di Dio, e che esso a nessuno non niega. Mettiamo a profitto per la vita eterna questo gran capitale, questo tesoro prezioso, acquistatoci col sangue di Gesù Cristo. Preghiamo con umiltà, con fiducia, con fervore; preghiamo sempre, senza stancarci mai, come c' impone Gesù Cristo ; giacchè come il corpo ha sempre bisogno di cibo, così è all'anima sempre necessaria la preghiera: Oportet semper orare et numquam deficere (Luc. XVI); e troveremo nella preghiera la medicina di tutte le infermità dell'anima, il balsamo di tutte le piaghe, il conforto di tutte le afflizioni, l'antidoto di tutti i vizii, l'appoggio di tutte le virtù, la sorgente di tutte le grazie, la chiave che ci chiude l'inferno e ci apre il cielo : Quicumque invocaverit nomen Domini, salvus erit (Act. 11). Così sia.`

OMILIA IX.

IL PARALITICO DELLA PISCINA

S. Giovanni, c. v, v. 1-15 (1).

Dicite pusillanimis: Confortamini et nolite timere: Deus ipse veniet et salvabit vos. (Isa. XXIV).

1. L'avere oggi risanato un infermo solo non fu certamente un gran che, dice S. Agostino, per la potenza infinita di Gesù Cristo, che con una sola parola poteva risanar tutti gl' infermi della piscina; e fu molto poco per la sua infinita bontà il non avere, fra tanti infelici, graziato che un solo : Quod ad potestatem pertinet, non magnum aliquid fecit ; et quod ad benignitatem, parum fecil. Tot jacebant, et unus sanatus est, cum posset uno verbo omnes erigere (Tract. 17 in Joan.)

Che dovremo dunque conchiuder da ciò ? siegue a dire S. Agostino. Se non che questa infinita potenza e questa bontà infinita, nel presente come in tutti i suoi altri miracoli, ha mirato piuttosto ad istruire le anime ne' misteri dell'eterna salute, di quello che a liberare i corpi dalle temporali infermità: Quid ergo est intelligendum? Nisi quia potestas illa, et illa benignitas magis agebat quid animae, in factis ejus, pro aeterna salute intelligerent, quam quid corpora pro temporali salute mererentur (ibid.) E con ciò ha fatto il Signore assai di più: giacchè è un'opera più grande e più propria di Dio l'aver distrutto i vizii delle anime immortali, che l'aver fugato le infermità de' corpi che dovean presto o tardi morire: Plus est quod sanaverit vitia animorum, quam quod sanavit languores corporum moriturorum (ibid.)

2. Come dunque, se il Messia si fosse particolarmente applicato a migliorare la condizione corporale e terrena degli uomini, sarebbe stato un Salvatore, quale gli stolidi Giudei se lo figurarono e lo attendono ancora, un Salvatore ter

(1) Questo strepitoso portento, che solo in S. Giovanni si ritrova, avvenne in Gerusalemme, ove si era dalla Galilea recato il Signore per celebrarvi la Pasqua, che fu la seconda dacchè avea ricevuto il Battesimo. Accadde, cioè, nel marzo dell' anno 32 dell' età di Gesù Cristo; secondo della sua predicazione.

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reno, un Salvatore uomo; così essendosi principalmente occupato della salute. delle anime, si è dimostrato quale a tutta la infelice umanità si era già esso stesso annunziato pel suo profeta, un Salvatore eterno, un Salvatore Dio, il vero Salvatore promesso: Dicite pusillanimis: Confortamini et nolite timere. Ecce Deus ipse veniet et salvabit vos.

Ora di questa sua missione sublime e sola degna di un Dio Salvatore, di perdonare i peccati, di sanare le infermità delle anime che crederebbero in lui, ha dato, dice pure S. Agostino, un bel saggio, un magnifico preludio, un pegno prezioso nel paralitico che oggi (Evang. fer. Vi post 1 Dom.) ha miraco losamente guarito: Animae ergo crediturae, cujus peccata dimittere venerat et sanare languores, de hoc languido sanato magnum signum dedit. Ed è questo appunto che noi vedremo nella spiegazione di sì bel portento; e do principio.

PARTE PRIMA

3. Accadeva presso i Giudei, a' tempi di Gesù Cristo, quello che presso i cristiani de' tempi nostri vediamo pure accadere; cioè che i grandi, i nobili, i dotti, gli uomini di stato non intervenivano alle pubbliche solennità, credendo di avvilire la loro dignità a lasciarsi vedere tra la moltitudine, ad onorare Dio nel suo tempio. A confondere adunque, dice S. Gian Crisostomo, il matto orgoglio di costoro, che del vedersi distinti fra gli uomini, dimenticano di non essere che vermi vilissimi, e spesso fetidi, innanzi a Dio; il Figlio stesso di Dio veniva a bella posta a Gerosolima e si faceva vedere sempre il primo ne' di festivi a praticarvi la religione in pubblico e in compagnia del popolo : Frequenter in solemnitatibus civitatem petiit, ut videretur ipse quoque cum reliquis dies festos celebrare (Homil. 35 in Joan.) Ecco adunque la bella lezione che ha voluto darci il santo Evangelista coll' avere incominciato l'odierno racconto dalla circostanza: «Che era vicina la Pasqua (1), e che Gesù Cristo erasi espressamente recato a Gerusalemme per celebrarvela: Erat dies festus Judaeorum; et ascendit Jesus Hierosolymam » (Joan. 1).

4. Or vi era in Gerosolima, siegue a dire il sacro storico, una probatica piscina, in ebraico sopranominata Betsaide: Est autem Hierosolymis probatica piscina, quae cognominatur hebraice Bethsaide (Joan. 2); cioè a dire: una gran peschiera o conserva di acque, detta Betsaide, ossia Luogo della caccia (2), perchè vi si cacceggiavano, ossia vi si pescavano i pesci; e probatica ovvero pecorina (3) perchè, come dicono S. Girolamo, Teofilatto e Beda, nelle sue acque solevano i sacerdoti lavar le pecorelle che servivano ai sacrificii: Probatica, idest pecuaria appellata est, quod in ea sacerdotes hostias lavare consueverant (Beda, Comm. in Joan). Cinque magnifici portici concentrici la cingevano intorno: Quinque porticus habens (Joan. 2); ed in queste vastissime galledi rie giaceva una immensa moltitudine di paralitici, di ciechi, di storpii,

(1) La Pasqua era la festa delle feste, la festa per eccellenza presso i Giudei. Quando adun que si dice nel Vangelo La festa de' Giudei, s' intende la Pasqua. Ecco perchè abbiam tradot to per Pasqua, il Dies festus Judaeorum, di questo passo di S. Giovanni

(2) Dalla parola Beth, casa, e Tsaid, caccia; perchè gli Ebrei non solo le abitazioni degli uomini, ma ancora i ricettacoli degli animali e le conserve delle cose, dicono case.

(3) Dalla parola greca probe che vuol dir pecora. Questa gran peschiera era presso del tempio, a cui uso Salomone aveala fatta fabbricare; e però Giuseppe ebrco la chiama Lo stagno di Salomone. Il Ven. Beda crede che in questo luogo appunto Neemia nascose già il fuoco sacro del tempio, che dopo il ritorno dalla schiavitù di Babilonia si trovò convertito in acqua grassa, che, esposta dallo stesso Neemia sulle pietre del tempio, si convertì di nuovo in fuoco (II Machab. 1).

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