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i suoi suffragi, è da credere che il sig. Sudre avrebbe fatto sparire dall'opera sua quelle macchie che ne oscurano bruttamente il concetto. E chi potrebbe asserire ch'egli non si fosse approfittato di poi delle giuste osservazioni del censore qui ricordato? In tanta colluvie tipografica, onde talvolta sfuggono anche a' più letterati gli scritti impressi nel giro d'una sola città, chi mai vuol sapere dove e quante volte un libro già conosciuto possa medesimamente od in altra veste ricomparire alla luce? Se ciò fosse avvenuto di quello del sig. Sudre, per modo da poterlo dire emendato, è naturale che i cenni disapprovativi non si potrebbero riferire che al primo lavoro, e che la persona dello storico sarebbesi acquisito un titolo di encomio onde non si troverebbe mai dalla nostra parte frodato.

IX. Cenni sopra alcune impressioni di antichi testi modernamente eseguite.

Delle pubblicazioni, che qui siamo per ricordare, come per ogni riguardo rispondenti all'indole del nostro periodico, avremmo dovuto, secondo il nostro desiderio e proposito, partitamente ragionare a suo tempo;

Ma non può tutto la virtù che vuole,

e ci siam ridotti a stringere molte cose in piccol fascio, senza però stornarci dall' intendimento di scernerne alcuna a più riposata osservazione, quando ci trovassimo in miglior agio.

Crediamo bene premettere come avvertimento generale sopra questa materia le schiette e forti parole del P. Sorio, che si lessero nell' Etruria, ottobre 1852.

«Non è da ridere no agli Italiani, ma è da aiutare la filología critica ne'suoi studii e nelle sue opere che vien traendo alla luce dalla oblivione dei Mss. o coi Mss. emendando e recando alla vera lezione. E chi fior di senno abbia, ed amore alla gloria vera italiana, dovrebbe non ridere coi beffandi, ma acerbamente garrire, sdegnato alla pedantería burbanzosa, di questi studii assai facile schernitrice,

T. XIV.

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la quale colle sue beffe, questa barbarie letteraria italiana procurò e fomentò già tanti secoli, ne' quali molti preclari ingegni di questa faccenda si sarieno occupati, con grandissimo frutto, come si sono occupati della filología greca e latina; ma dalla filología nostra italiana li ritrasse e impedì questa pedantería non con altra arme che della satira e della beffa. Mi perdoni l'Italia questo mio sfogo di indegnazione contro ai nemici dell' onor suo letterario in un tempo che ella ha filologhi in maggior numero e più valorosi che mai forse non ebbe in Italia, in Germania, in Francia, in Inghilterra ed altrove. Solo rimane che le costoro fatiche sieno aiutate, e non sieno schernite, o poste in non cale. >>

E da recenti lavori di questo egregio seguace del P. Cesari incominceremo queste brevi menzioni, all' intento delle quali poco importa l'osservanza dell'ordine cronologico.

1. Cento Meditazioni di San Bonaventura sulla vita di Gesù Cristo, Volgarizzamento antico toscano, testo di lingua, cavato dai manoscritti. Seconda edizione, ricorretta e corredata di copiose giunte per cura di Bartolomeo Sorio P. d. O. di Verona. Verona, coi tipi di Dionigio Ramanzini, MDCCCLI.

Di questo volgarizzamento, e delle cure poste a restituirlo nella sua integrità, lo stesso Filologo veronese già diede conto in un magistrale ragionamento, del quale piacquegli onorare le nostre Memorie, come si può vedere nel tomo decimoterzo della serie seconda. Il medesimo ragionamento fu riprodotto nella prima edizione dell' opera, fatta a Roma, e si legge ripetuto in questa ristampa, la quale essendo stata eseguita sotto gli occhi dello stesso P. Sorio, si raccomanda eziandio per questo capo agli amatori di tal genere di produzioni, ove, più che in altre, le diligenze novelle non sogliono tornare giammai superflue. Per ogni testo del buon tempo che abbia la ventura di ricomparire in luce, restituito così da mani amorevoli e capaci al suo nitor primitivo, ricorre sempre alla mente quella giusta osservazione del Perticari: « L'altre favelle d'Europa, mentre la nostra fioriva, erano ancora plebee, e

perciò sono già fatte diverse dalle antiche.... ma noi abbiamo ancora tutta intiera l'eredità degli avi nostri.... ma l'eloquio italiano nelle frasi, nelle voci, salvo poche le quali andarono in disuso, è ancora intelligibile e fresco negli scritti di sei secoli, al paro, anzi meglio che in molti scritti de' moderni. »>

2. Opere Ascetiche di San Bonaventura volgarizzate nel trecento. Verona, dalla tipografía degli eredi di Marco Moroni, 1852. Questi altri testi sono la Teología mistica, l' Albero della Croce, l'Esposizione della Salve Regina, lo Specchio della vita spirituale, la Leggenda del B. Santo Francesco.

Il testo latino della Teología mistica fu da molti bibliografi ed anche dal celebre storico franciscano, il Wadingo, attribuito al prefato santo Scrittore; ma questa opinione fu impugnata per altri critici, e chi fece onore di quest' opera ad Ugo de Balma Certosino, chi ad Errigo de Balma Franciscano, chi all' Abate Benedettino Giovanni Gersen, e chi perfino al Cancelliere Giovanni Gerson, forse per una trasformazione del tutto consimile a quella che assegnava a quest'ultimo l'eccellente libro della Imitazione di Cristo. Il Sorio sta per Ugo de Balma; e fra le altre induzioni gli fa gran peso il testimonio di Feo Belcari, che nella Vita del B. Giovanni Colombini, nel cap. xII, così racconta: Alle sue sante parole (di esso B. Giovanni) si convertì Messer Domenico da Montecchiello, Dottore di legge, e Madonna Antonia sua donna. Questo Messer Domenico si dette ferventemente a Dio, e fu de' primi suoi compagni; ebbe grandissimi sentimenti spirituali; fu uomo di molte lagrime, e di grande orazione; e volgarizzò a consolazione di Giovanni e de' compagni il libretto della Mistica Teología, il quale fu composto da un sant' uomo dell' Ordine de' Certosini. Nota il Sorio che nel cap. XLV della medesima Vita è detto esser morto il B. Giovanni a dì ultimo di luglio nell' anno 1367. « E così (conchiude il critico, almeno per quello ch'è certo ed importante in ordine al volgarizzamento) avete da Feo Belcari chi sia il traduttore dell' opera, e il tempo che fu tradotta (cioè prima dell' ac

cennato anno)... quando all' eccellenza del dire volgare non solo il Boccaccio arrivò, ma a miglior uopo vi aggiunsero coi loro scritti molti autori di opere ascetiche, che non ebbero il grido di perfette scritture e di solenni esemplari come ebbero quelle del Boccaccio, perchè non furono avute care come il lenocinio boccaccevole, e perciò o si rimangono nei MSS. o furono lasciate guastare da' copiatori e da' stampatori senza un pensiero della lor correzione, gloria che è forse riserbata ai letterati del nostro secolo, continuandosi alla bella impresa da lor cominciata. » La Teología mistica fu citata ben 140 volte dall' Accademia della Crusca. Del resto niuno, che si sappia, curossi di pubblicarla; ed il P. Sorio è stato il primo a trarla da' manoscritti. Egli vi ha premesso due ben ragionate dissertazioni, una delle quali concerne alle persone dell'autore e del traduttore, come ne abbiam dato qui cenno; e l'altra dimostra il pregio intrinseco dell' opera, la quale propriamente si può riputare « un trattato di Metafisica Cristiana, quanto sublime, altrettanto soda, degna di averla studiata lo stesso Allighieri pel suo sacro poema; alla quale amorosa sapienza dicea:

« O donna di virtù, sola per cui

« L'umana spezie eccede ogni contento

« Da quel ciel che ha minor li cerchi sui. »

Della Meditazione sopra l' arbore della Croce, prodotta, per vero dire, infelicemente in istampa la prima volta a Firenze nell'anno 1819, fu dato contezza fin dal cominciamento di queste nostre Memorie, ed anche nel secondo volume congetturalmente proposta qualche emendazione di luoghi errati. Di ciò venne alquanto miglioramento nella ristampa che del medesimo testo fece a Torino il Marietti. Pochi anni appresso, cioè nel 1828, l' Ab. Paolo Zanotti lo rimise in luce a Verona, meglio emendato colla scorta del testo originale latino, da lui scoperto nel trattato di S. Bonaventura che ha per titolo Lignum vitae. Ma era riserbato al prestantissimo ab. Manuzzi di rinvenire il manoscritto dalla Crusca allegato, il quale si credeva, come tanti altri, sventuratamente perduto. Quindi ei potè ridurre l'opera a perfezione, come si ha dalla ristampa

fattane per sua cura, nel 1836, a Firenze. Sopra questa il P. Sorio ha condotto la sua novella edizione, non tralasciando la brevissima giunta degli Ordinamenti della Messa, quantunque non li riconosca per cosa del Dottore Serafico.

La Sposizione della Salve Regina è riportata fedelmente conforme al testo che servì d' innanzi al Poggiali nella edizion livornese del 1799, il qual testo era quel manoscritto medesimo che dagli Accademici fu citato, nè più se ne sapeva, prima che quel benemerito editore lo rinvenisse. Il Sorio vi ha aggiunto qualche sua osservazion filologica e qualche postilla che potè fare al testo colla scorta dell' originale latino, scoperto nel cap. xIx della terza parte dell' eccellente libro di S. Bonaventura, intitolato Stimulus amoris.

Lo specchio della vita spirituale, volgarizzamento di altro opuscolo del santo Scrittore, si rimanea sconosciuto ne' testi a penna, sopra i quali neppure aveva ottenuto un' allegazione da' compilatori del Vocabolario, che a dir vero non potevano poi aver notizia di tutte quante le antiche scritture, deposte nelle tante pubbliche e private biblioteche del loro privilegiato paese. Il Sorio lo ha messo in luce sopra una copia mandatagli dal suo degno amico, il Manuzzi, che la trasse da un codice Chigiano di Roma, confrontato con un Riccardiano di Firenze. (1) Il filologo veronese ha dato in fine lo

(1) Forse atteso alla rispondenza dei due codici, si è lasciato per questo solo opuscolo desiderare il continuo riscontro col testo latino, il quale accusa in certi luoghi difettoso il volgare. Non sarà fuor di proposito il darne qui mostra, a discolpa del traduttore toscano, riputandoci del resto difesi dalla taccia d'indiscrezione pel nobile ed ingenuo carattere dell' editore.

Leviamo adunque (leggesi nello stampato) gli occhi della nostra mente diretti a Dio, e vediamo dove noi siamo ora prostrati; imperocchè chi non sa il suo proprio caso, meno cura di fuggire. Questo fuggire non risponde bene all'idea della prostrazione, ed alla confidenza di essere rilevati, espressa nel periodo antecedente. Ora il latino dice: Qui proprium suum casum ignorat, surgere minus curat. Onde pare che, dove il Toscano avrà scritto surgere, siasi malamente pe' copisti raccolto fuggire. Trasferendoti della mirabile servitù in libertà della gloria de' figliuoli

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