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Sette sono le cagioni per le quali torna meglio il parlar breve che il lungo. La prima è perchè il parlar breve suol fare più desiderio, e il parlar lungo suol far rincrescimento, e reca a fastidio l'uditore. La seconda è, perchè spesse volte il breve detto più chiaramente s'intende che il lungo. La terza è, perchè le brevi cose meglio si tengono a mente. La quarta è, perchè le brevi cose talora più muovono, e le poche parole più tosto entrano ed accostansi. La quinta è perchè comprendere il fatto con brevi parole è segno di savio, ed in poche parole si conchiude infinito senno. La sesta è, perchè spesso addiviene che dire molte cose, specialmente che non appartengano al fatto, fanno poi meno valere le utili; e non meno bisogna guardarsi di dire le cose soperchie che di dir quelle che a se stesso sono contrarie; e la settima è perchè comunemente il breve dire è più accettevole; e gli uomini sono vaghi di brevità (Fra Bartol., Ammaestr. dist. XI. cap. 6.).

Fu certamente per tali ragioni che Agesilao, avendogli alcuno lodato un dicitore perchè oltre misura aggrandiva le cose piccole, rispose che non mai giudicherebbe buon calzolajo esser colui che a piccolo piede facesse grande scarpa calzare (Plutar. Apoft. lacedemon.). Melanto richiesto, che cosa gliene paresse di una tragedia di Dionisio, rispose non averla potuta vedere perchè era tutta coperta di parole. E san Bernardo, scrivendo a papa Eugenio terzo un libro sul modo di saviamente reggere il pontificato, dicevagli: Io non so comprendere come le orecchie di vostra Santità possano sopportare

quelle dispute degli avvocati e quelle loro contestazioni di parole, che sono più proprie a distruggere che a scoprire la verità: e vi consiglio a levar via questa brutta usanza, a romper loro le parole in bocca, e ad impor silenzio ai loro artificiosi e menzogneri discorsi. Quella razza di gente non ha altro impegno che di produrre la menzogna: tutta la loro eloquenza si scaglia contro la giustizia, e tutta la loro dottrina favorisce la falsità. Sono saggi per fare il male, dice il Profeta, e buoni parlatori contro la verità. Essi presumono d'istruire coloro dai quali piuttosto dovrebbero ricevere delle istruzioni. Essi basano la causa sulle loro invenzioni, calunniano l'innocenza, distruggono la semplicità del Vero, e fanno tutto il possibile per impedire l'equità del giudizio. Ma non vi è nulla che faccia così bene e così facilmente conoscere la verità, come una corta e semplice esposizione del fatto (de Consid. I. 10.).

Ora la legge giudiciaria civile spoglia il cittadino, padre di famiglia, della facoltà naturale di trattar da se stesso cotesti suoi affari, e lo costringe a riporli nelle mani di un uomo che ha il privilegio di riceverli, e che ricevuti li regola a modo suo ed acquista il diritto di farsi pagare un onorario non estimato in blocco, ma misurato sul dettaglio del maggiore o minor numero degli atti singoli di cui fa uso per condurre l'affare alla sua ultimazione; e l'onorario gli è egualmente dovuto tanto se l'affare abbia buono che cattivo esito. Quest'uomo privilegiato non perde mai la causa, perchè la perdita va a carico del suo rappresentato, e per

ciò non ha mai un interesse diretto a vincere: quest'uomo privilegiato non paga mai le spese degli atti, e perciò non ha interesse a farne economia, anzi economizzando lucra meno: ogni atto di più che faccia, ogni produzione, ogni sessione, ogni informazione, ogni carteggio, ogni gita, ogni accesso, ogni riscontro, ogni moltiplicazione di copie, ogni appello, ogni ricorso, è tutto moltiplicazione di guadagno quanto più i decreti, le sentenze scappano fuori oscuri, mancanti, esuberanti, ingiusti, nulli, tanto meglio, chè l'ignoranza del giudice è un gran tesoro per i causidici: quanto più si accresce l'odio fra le parti litiganti, tanto meglio, perchè essi litigheranno con più accanimento e pagheranno più largamente: quanto più esse vanno in ruina, tanto meglio, perchè per farsi pagare si lucrerà di più l'onorario degli atti esecutivi, o si forzeranno a dare in solutum quel fondo che si desidera. Egli è vero che di simili assassini ve ne ha pochi, ma ve ne ha in ogni giurisdizione qualcheduno, e tanto basta perchè i governi vi pongano attenzione, nè credano di aver fatto tutto, quando abbiano dato de' giudici, un buon codice di procedura, e de' causidici che abbiano trionfato di tutti gli esami per la laurea dottorale prima, e per il grado di avvocatura poi. Ogni città, ogni paese vede troppo brutta morale in non pochi avvocati e procuratori. L'uomo non può stimare i precetti umani, e se ne vale ad ipocrisia. Perciò non si ponga Giustiniano in mano di alcuno che prima non sia dottissimo de' precetti divini. Ogni età, ogni paese vede qualche legale ignorante o dotto,

che con un patrimonio equivalente allo zero vive lautamente, mantiene agli studj la sua numerosa maschile figliolanza, dota splendidamente le femmine, compra terre, fabbrica case, e pone a frutto somme di denaro. Tutto guadagno onesto onestissimo: e se le immiserite famiglie vanno a nascondersi, a morir di dolore, di miseria, di avvilimento, di disperazione, di odio alla società, a commetter furti e delitti, è giustizia, è virtù de' causidici che le spogliarono degli averi e dell' innocenza e dell' amore sociale, e loro additarono lì vicino la disperazione, la fame, il delitto, la rivoluzione politica, il comunismo, la morte, il patibolo.

Ora se così è, se cioè il padre di famiglia, che ha bisogno di trattare i proprj affari, trova sul luogo della trattativa un altro se stesso che lo respinge, come presso Plauto il finto Sosia cacciava di casa il vero Sosia, il quale seriamente dubbioso della propria entità se ne partiva, provvegga la legge quanto più può che almeno il finto Sosia non tradisca e danneggi il vero Sosia, e cerchi di vincolare col giuramento la coscienza di questo forzoso patrono. Così la pensava Giustiniano, il quale comandò che dopo la contestazione della lite i patroni giurar dovessero che niente farebbero che non fosse di vero interesse del cliente, che non darebbero opera ad una lite ingiusta o poco onesta, e che quando venissero a scorgere esser tale, l'abbandonerebbero (Cod. tit. de Iudic. lex 14.). Nè qui si dica che il giuramento è pericoloso, in quanto che chi non ha una religione altamente sentita nel cuore, giura senza difficoltà, e senza difficoltà sper

giura. Certamente il causidico, che non ha credenza religiosa, è uno spaventevole mostro che si fa giuoco di Dio e degli uomini, delle leggi divine ed umane, e di qualunque giuramento; ma ciò prova non la inutilità del giuramento, ma la temerità peccaminosa di chi lo deferisce a persona che non abbia fatti solidi studj di religione, o lo deferisce spregevolmente senza assistenza di sacerdote, senza pompa religiosa, e perfino senza una seria e lunga monizione. (4) Ciò prova ancora la necessità di costringere la gioventù a mandar avanti agli studj legali gli studj teologici, e di procurare che i causidici siano veri e dotti credenti. Nemmeno si dica che il giuramento è superfluo perchè il causidico ha in se l'obbligo naturale di trattar onestamente e colla maggior possibile diligenza la causa che ha assunta. Il fatto patente di tutti i paesi e di tutti i secoli dimostra che l'obbligo naturale non è ragion sufficente a frenar le brutte passioni degli uomini. Dunque è di assoluta necessità lo aggiungere all' impo

(4) Non sarà mai abbastanza detestata la consuetudine di trattare indegnamente le cose sante, nè mai promosso abbastanza il rispetto che ad esse è dovuto. Questo proposito ci fa ricordare la grande impressione, che all'atto del giuramento deferito ai testimonj ne' pubblici giudizj (quando, caduta la francese democrazia, ricomparve anche ne' tribunali italiani la Religione), faceva nelle coscienze quell' avere davanti agli occhi l'effigie del Salvatore, eminente sopra il consesso giuridico, quel brandirsi di sciabole de' gendarmi, quell' alzarsi e scoprirsi de' giudici, que' momenti di silenzio solenne, quel pronunziarsi in tuono alto e severo la tremenda formola. Sentivasi l'intervento della Divinità. (N. d. C.)

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