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fettamente a quelle figliuole di Babilonia, che gridano tuttodì, secondo le Scritture, non basta, non basta: Sanguisugae sunt duae filiae, dicentes: affer, affer (Prov. xxx. 15). Poniamo pertanto che il giornale sia (come si è il massimo numero) irreligioso; i suoi lettori abituali vorranno tuttodì tracannare una dose d' empietà, e se oltre al recare in fronte l'irreligione, attenta ancora, come accade, al buon costume, non c'è scampo; l'associato agogna tuttodì all' impuro sozzume, e vuole sbramarsene, nè è pago, se non ha onde satisfare alla sua sensualità. (1) E sì che i redattori se lo sanno, e se ogni giorno non apprestano il doppio mangiare, temono i meschinelli che gli accorrenti, abbandonatili, vadano a sedersi a tagliere più lauto, e diano il nome ad un giornale di perversità più fecondo; ed eccoti la irreligione e l'immoralità quotidianamente venduta a prezzo. Non altrimenti che nelle vaste officine, dove la mano dell' uomo non è altro più che ausiliaria d'un vasto meccanismo, il quale imprime tutto il movimento, e lo dirige, così gli ufficj di redazione di questi fogli, per la loro medesima condizione devono andare schiavi dell'idea prepotente che loro dà vita. In quelle la macchina è in giro per fog

(1) Nulla monta che l'irreligione e l'immoralità vi siano ammantati sotto le forme di uno scrivere elegante. Un periodico è quale lo descriviamo, quando abitualmente offende la purità morale e cristiana dell' uomo, ed appresta a' lettori quanto può solleticarne le ree concupiscenze. Ora ci si dica se i giornali di tal fatta non siano in massimo numero?

giare a forma determinata il metallo, per ordire un tessuto; in queste per fabbricare (ci si perdoni l'espressione) per fabbricare continuamente articoli od empj od immorali. Da un lato, come dall'altro, tu non vedi che un prodotto, una speculazione d'interesse, una professione che si abbraccia, ed a cui si dà opera. Tanta audacia, tanta corruzione era vanto, nell' era cristiana, serbato al secolo nostro. Ma qui non istà il peggio; noi abbiamo veduto come si manipola il veleno; poniamo mente all'effetto ch'esso produce. Richiamate al pensiero tanti milioni d' uomini d'ogni sesso, d'ogni condizione, a' quali tuttodì nel seno delle private famiglie, in ogni angolo della Francia, si pone in mano l' insidioso boccone, senza che abbiano il disagio di andarne in cerca; vedete con quale avidità lo ricevono (perchè gli ebbero chiesti e pagati già prima), e se lo recano tostamente in bocca come cosa che la lunga abitudine ha convertito in bisogno. Arroge che gli infelici che pascolano di questa guisa l'intelletto ed il cuore d'irreligiosi pensieri, di affetti impuri, toccano in gran parte all'età matura, a quella età nella quale si trattano gli affari più importanti della vita, che vogliono severità di riflessione; a quella età nella quale per lo più s'ha carico domestico di famiglia, o pubblico di società nella varia gerarchía delle sue funzioni.

Arroge ancora l'eccessiva attività dell' odierno vivere cittadino, che lascia a mala pena alcune ore di ozio, consumate in massima parte nella lettura de' giornali; quindi ne siegue che là dove sarebbe indispensabile il ponderare quel che si legge, l'e

ducare l'animo a buone idee fuor della sfera terrestre e materiale, tu scorgi invece un fastidio d'ogni considerazione un po' severa, d'ogni lettura un po' protratta, tu vedi un'incapacità per ogni studio metodico, per ogni scienza laboriosa: ed eccoti l'uom sociale d'oggidì, superbo d'una vernice d'erudizione andare sepolto in una crassa ignoranza di quelle cose che un Cristiano deve senz'altro sapere. Ed oh! il misero stato di quel popolo che altro non legge fuorchè giornali! Mi pare di scorgerlo stendere la mendica mano al primo che passa, ad accattarne alcune briciole di quel pane di verità che noi anche fra le illusioni della menzogna continuamente cerchiamo. Esso ti dà viva l'immagine del figliuolo prodigo, ridotto a nudità da una fame ch'era intorno a lui generale, fame di verità che tutta agita la nazione. Facta est fames valida in regione illa (Luc. xv. 14). E come il mal consigliato figliuolo fu ridotto ad appetire l'impuro sozzume che ingollavano i porci de' quali era guardiano, così è di te popolo sedotto: Cupiebat implere ventrem de siliquis quas porci manducabant. Ecco a che trae la quotidiana lettura di quelle pagine abominande, che tuttodì t' apprestano a tuo gran piacere un manicaretto novello, e tu vi getti sopra il dente, senza punto badarne alla sostanza, pago di rinvenirvi una commozione di affetti anche impuri, un oltraggio alla virtù, un magnetismo, dirò così, ad affascinarti la ragione. Sparecchiate poi le tavole, e tu rumini il pasto gradito, e le ree cose nella mente rivolgi, aspettando intanto che il domani ti rechi innanzi cibo novello che tu trangu

gerai nuovamente di dì in dì, sino a non saperti dar pace se alcun dì ti tocca restare digiuno. Tanto cresce la febbre per il fomento continuo delle letture lubriche; tanto son valevoli a solleticare un appetito insaziabile per questo sozzume, in un'anima fatta a immagine di Dio, i raffinamenti di quegli scritti infernali che con acconcio vocabolo s' intitolarono roman feuilleton!

Chi non vede pertanto come il veleno della stampa si sia a'dì che corrono reso più attivo e più micidiale per chi lo appresta e per chi lo tracanna? E che fare, e che non temere di un popolo che è costantemente in braccio al delirio! Come destargli in cuore un po' d'affetto alla virtù cristiana, alla verità divina? Come richiamarlo anche solo a qualche considerazione morale? Come comprimere le passioni dopo che si misero in moto tutte le naturali esigenze, ed a renderne meno avvertiti gli eccessi, si prese cura di avvezzare i popoli a contemplarne l'idea, tanto più se sopravvenga un tempo di crisi? Ah! sì, convien pure confessarlo, quel dono ammirabile della parola e della scrittura, primissimo fra i doni avuti da Dio, mercè il quale noi possiamo fare manifesti gl'invisibili concetti dell'anima, comunicarli a' nostri simili coll' organo de' sensi corporali, farli sentire coll' opera loro ai più lontani, lasciarli alle età a venire; questa libertà, io dico, di parlare e di scrivere, che divenne oggimai? Strumento sciaurato della umana malizia, terribilissimo flagello del mondo! Ah! non siam tanto ciechi da non conoscerlo, e frementi d'orrore noi ripetiamo a verbo le dolenti parole,

colle quali la S. Sede a più riprese ne lamentava l'abuso. (2)

Dal sin qui detto ognuno potrà di leggeri convincersi che noi siam lungi dal chiedere che questi disordini sì luttuosi non siano mai repressi, nè tampoco vogliamo sostenere che v'abbia delle circostanze, nelle quali si debbano essi pel meglio sostenere. I nostri scritti, noi lo speriamo, proveranno che noi siamo soliti a procedere con ordine e con posatezza, nè vorremo scendere ora alle conclusioni, senza avere messe in chiara luce le proposizioni che intendiamo difendere.

Primamente non ci si vorrà negare che quando la libertà civile della stampa ha messo piede, trae

(2) Basti per tutte l'enciclica del 15 agosto 1832: Huc spectat deterrima illa, ac nunquam satis execranda et detestabilis libertas artis librariae ad scripta quaelibet edenda in vulgus, quam tanto convicio audent nonnulli efflagitare ac promovere. Perhorrescimus, venerabiles fratres, intuentes quibus monstris doctrinarum, seu potius quibus errorum portentis obruamur, quae longe ac late ubique disseminantur ingenti librorum multitudine, libellisque et scriptis mole quidem exiguis, malitia tamen permagnis, e quibus maledictionem egressam illacrymamur super faciem terrae. Sunt tamen, proh dolor! qui eo impudentiae abripiantur, ut asserant pugnaciter hanc errorum colluviem inde prorumpentem satis cumulate compensari ex libro aliquo, qui in hac tanta pravitatum tempestate ad religionem ac veritatem propugnandam edatur. Nefas profecto est, omnique iure improbatum, patrari data opera malum certum ac maius, quia spes sit inde boni aliquid habitum iri. Numquid venena libere spargi, ac publice vendi comportarique, imo et ebibi debere sanus quis dixerit, quod remedii quidpiam habeatur, quo qui utuntur eripi eos ex interitu

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