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getto di odio forsennato. Quella fiamma in tempo assai breve si converte in incendio. Dementato il popolo, indemoniati i demagoghi, tutta la setta divenuta furente, non solo nella piena luce del mezzogiorno scanna in pubblico il primo ministro, senza esserne giammai chiesta ragione, ma abbandonata ad ogni furore, presentasi armata di fucili e di cannoni al Quirinale, seco portando ancora combustibili, per incendiare il palazzo. E nel punto stesso, dato a morte con un colpo di fucile monsig. Palma Segretario del Sommo Pontefice, e colpi di fucile dirigendo ancora alle finestre del pontificio appartamento, a lui s'intima l'alternativa o di consentire ad un democratico ministero, o ad un governo repubblicano.

Per tali successi videsi in brevissimo tempo tutta sgominata l'Italia. Rimbombando dapertutto il nome di Popolo Re, di Popolo Sovrano, Roma, Firenze, Genova, Modena, Parma, Piacenza, il Piemonte non conobbero più pace. Il Papa fu costretto ad andarsene fuggiasco in Gaeta: i Cardinali, parte rinchiusi in prigione, parte nascosti, parte rifuggiti a' fianchi del Vicario di Gesucristo. Parecchi Vescovi vennero arrestati unicamente perchè ripugnanti alle massime della installata Democrazia. Per le ragioni medesime vi furon de' Parrochi, e Sacerdoti di second' ordine, e Regolari o dati a morte, o messi in prigione, o minacciati, e tutti avviliti. In mezzo a tanto tramestío, in mezzo a tanti disordini, in mezzo a tante ambasce qual è de' diritti naturali enumerati da Spedalieri, il quale non sia stato violato, oppresso, distrutto? Ed ei, che previde così lagri

mevoli effetti, provenienti dal suo filosofico sistema, ebbe coraggio di sostenerlo a spada tratta? Ahi misera condizione del cuore umano, quanto sei meritevole di esser compianta!

Nè mi si dica, doversi ripetere dalla setta degl' increduli, non già da' sostenitori del Contratto sociale la così detestata rovina: mercecchè da ciò anzi io traggo un nuovo argomento per meglio mostrare al pubblico ingannato l' accecamento de' liberali. Diffatti se i Frammassoni, resi già manifesti gl' infernali loro divisamenti di voler distruggere Sacerdozio ed Impero, destaron l'orrore di quasi tutto il Genere umano: se i filosofanti, dietro la scorta dello scellerato Voltaire, facendo intendere di voler tolto a Cristo l'onore e di volere abbattuto il Cristianesimo, si conciliarono l'odio di tutti i Credenti; sono in oggi i soli liberali che, sia in buona, sia in mala fede, volendo ritenere in apparenza le massime del Vangelo, scemano nell'animo de' semplici l'orrore inverso i primi, e raffreddano l'odio meritato da' secondi. Perciocchè de' secondi, e de' primi battendo essi le tracce colle opere, nel mentre vogliono ritenere la denominazione di Cristiani e di Cattolici, tendono al distruggimento della Religione e dell' Impero. E come no? I disordini sin qui annoverati, le scelleranze commesse contro i ministri del culto nel mentre protestano di voler la Religione salva ed onorata; le disprezzate scomuniche de' Concilii e de' Papi, contratte senza ribrezzo e nelle rapine de' sacri arredi, e nell' irrompere ne' luoghi immuni, e nel discacciare da' monasteri le Vergini sacre, nell'atto stesso in cui con ipocrisia menti

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trice affermano di rispettare l'autorità spirituale della ecclesiastica Gerarchia; e l'eresie pubblicate ed applaudite ne' giornali, allorchè gridano riforma e santità di costumi; ed il costringere i Sacri Oratori o a tacere l'evangeliche verità, o ad annunziarle corrotte perchè le loro teorie compariscano conformi alle rivelate dottrine: tutto ciò non è forse il professare colle opere i sentimenti dei dichiarati nemici di S. Chiesa, nel mentre s'infingono di contraddirli?

IX. Preliminari

tendenti a dimostrare teologicamente, che la sovranità deriva immediatamente da Dio.

Pieno di compiacenza, originata della lusinga di avere vittoriosamente disciolte tutte le obbiezioni tratte da' principii della ragione, lieto l'A. s' inoltra a far fronte alle altre che si desumono dalla Teologia. Al che si fa strada collo stabilire per base il principio seguente: « Non si dee mai ricorrere alla im« mediata volontà del Creatore se non allorquando «< ciò che abbisogna realmente non può aversi dalle << facoltà medesime delle creature. Ma è tanto falso << (ei prosegue) che la sovranità non possa farsi na<< scere dagli uomini, che anzi noi abbiamo pratica<< mente mostrato com'essa nasca dalle facoltà loro << medesime, senza punto ledere la eguaglianza de' lo«ro diritti, e delle loro obbligazioni naturali. Dun<< que essa sovranità non dee ripetersi da immediata « volontà del Creatore. »(24) Diamo per ora come

(24) L. 1 c. 17. §. 25.

giusta e vera la maggiore di quel suo sillogismo; e noi intanto contro lui ritorniamo così: Non si dee mai ricorrere alla immediata volontà del Creatore se non allorquando ciò che ahbisogna, realmente non può aversi dalle facoltà medesime delle creature. Ma noi negli ultimi quattro Capi antecedenti abbiam fatto abbondevolmente toccar con mano, non potersi la sovranità ripetere dalle facoltà proprie delle creature. Dunque dobbiam riconoscerla immediatamente da Dio. Le proposizioni minori di questi due sillogismi sono tra loro direttamente contrarie. Ei presume di aver provata la sua: io credo di aver dimostrata la mia. Giudichi il lettore da qual parte stia la ragione.

Del rimanente quel suo principio è da giudicarsi inesatto in ciò che dir dovrebbe; e gravido di equivoci nelle dottrine che si vogliono per esso stabilire. È inesatto: imperciocchè sembra volersi dire con esso, che potendo noi avere l'intento bramato coll' usar delle creature, non dobbiamo aver ricorso a Dio, non dobbiamo tentarlo quasi esigendo da lui un prodigio. Nel qual senso il principio è giustissimo, ma non è applicabile alla questione presente: nella quale non già si cerca di soddisfare un qualche bisogno, ma unicamente di stabilire una verità. Se poi vuol egli intendere che nell' esaminare, nel contemplare un effetto delle creature come cause terrene, non debbo, non posso, non m'è lecito inalzarmi col pensiero al Creatore qual causa primaria d'ogni causa e d'ogni effetto terreno; attenderemo dal nostro Giurista che ce ne assegni il perchè, seppur non sia per escludere dalle libere operazioni

umane ogni concorso della Divinità: il che sarebbe errore manifestissimo. Per queste ragioni quella sua sentenza è a dirsi inesatta, anzi pure arbitraria e capricciosa.

Considerata in quell' aspetto che direttamente interessa la provenienza della sovranità, essa è equivoca, e cagione di altri equivoci, che da lei derivano. Prendiamone da largo l'esame; chè il ben chiarircene è troppo necessario alla verità che andiam ricercando. E così limitato l'umano intelletto che non solo si sente inabile a pensar degnamente degli attributi e delle operazioni della Divinità, senza una special grazia che da lei medesima gli provenga, ma sovente in ragionarne è ridotto dalla propria limitazione a trasportare in Dio co' suoi pensieri le imperfezioni stesse dell' uomo. Siane ad esempio ciò che interviene nel recarci coll' animo su quelle serie ammirabili di cause e di effetti, la quale dall'origine del Mondo va formando l'ordine ed il corso della Natura. Concatenate tra loro senza interrompimento, noi costumiamo in parlarne di chiamare col nome di causa prossima quella, da cui l'effetto immediatamente deriva: diciam remota quell' altra, da cui venne la più vicina: ed ove sempre più risalendo per quella catena vogliamo avvicinarci alla prima, riguardiamo quasi per nulla l'influsso, benchè vero e reale delle sommamente lontane. Diffatti chi di noi si ferma a riguardar come causa della nostra esistenza l'azione di Noè, o di Adamo, da' quali deriviamo per discendenza? Il linguaggio da noi usato per indicare questa varietà di gradi e d'influsso non è vituperevole ove si tratti di cause

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