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BIBLIOGRAFIA

SAGGIO DI ALCUNE NUOVE CONSIDERAZIONI SULL'ISTORIA

DELLE ITALIANE LETTERE. *

De' poeti spirituali nel secolo XIII.

Fede e amore, signoreggiando nei tempi di mezzo la mente e l'animo, informavano di sé l'opera e la parola: però accanto al trovatore scioglieva il canto il monaco penitente per improvviso rapimento di sublime visione.

Dall' altezza, a cui toccò il Guinicelli, messe il volo il poverello d'Assisi; ché dal vestigio di una luce invisibile, ultima e più superba vista del Bolognese, Francesco si levò a contemplare essa luce e nell'abisso di lei vide più aperti e chiari i fulgori della creatura. Il « cantico al sole » su veramente come unica e poderosa voce, che vada crescendo e moltiplicando finchè si converta in alto coro. Buonaventura ne senti profonda la nota, mentre le più sottili speculazioni filosofiche rallegrò di affetto, e vesti di liriche fantasie; Giacomino da Verona ne trasse conforto a immaginare i due poemi, l'Inferno e il Paradiso, ove il dialetto è fatto degno di significare i segreti del cuore e le riposte glorie del cielo (1); e meglio di tutti lo accolse nella sua mente Iacopone da Todi (2), che per virtù d'amore ascoltava intento l'occulta armonia, ch'esce da tutti gli aspetti e da tutti i moti dell' universo: « Quant'è nel mondo m'invita ad amare, Bestie

* Il volgo de' letterati, che solo ha per guida L'amor dell'apparenza e'l suo pensiero, della poesia spirituale del primo secolo nulla sente o cura; e senza fine vitupera quel seicento, in cui vissero un Vico e un Galilei. Però, a saggio delle nuove considerazioni, che il Franciosi metterà in luce al più presto, parve opportuno recare i due brani seguenti, ove si correggono que'due falsi giudici.

(4) L'idea fondamentale di questi poemetti è stata tolta dalla CITTÀ DI AGOSTINO. (2) Da prima fu valente giureconsulto: poi, tocco dalla sventura, si rese monaco. Di lui come poeta così ragiona F. Ozanam: « Poeta teologico, Jacopone « primo fra i moderni trasse dalla cristiana metafisica non pure verità da istruire, « ma bellezze da rapire; non pure lezioni, ma canti. . .

.

Satirico prima
Poeta po-

« di Dante fa le censure del suo tempo e della sua patria . « polare canta nel dialetto dei campagnuoli dell'Umbria, onde nasce la mirabile di<< suguaglianza del suo stile, nel quale trasporta ora le ispirazioni della Bibbia, ora a le formole della scuola, ora la gentilezza dei Trovatori; ma più sovente per altro « la rozzezza dei pecorai e dei boscaiuoli. » A far compiuto questo ritratto solo devesi aggiungere, che talora da' suoi versi, ove son più aspri, più rozzi e più oscuri, si fa manifesto quel suo desiderio di rendersi spregevole al cospetto degli uomini.

ed uccelli e pesci dentro al mare; Ciò ch'è sotto l'abisso e sovra all' are, Tutti fan versi davanti al mio amore ». Ora, comparando questa spiritual poesia, che con maniera dantesca chiamerò fiamma di fuochi contemplanti, all'amorosa dei Trovatori più eletti, parmi chiara la differenza: imperocchè nella parola di questi tu senti il suono delle terrene dolcezze, e quasi avverti il sorriso di un volto gentile, la verzura lieta dei campi; mentre nella parola di quelli è, per così dire, la quiete del tempio, la semplicità severa dell'architettura sacra, e, nel difetto delle create forme, un fuggire ansioso dalla cerchia delle sensibili cose, un sospiro a serenità luminose di ascosi cieli. Anche il Trovatore alla vista delle naturali bellezze sospirava di un' arcana dolcezza; ma, inconsapevole onde movesse e a che quel sospiro ineffabile, pasceva l'occhio e la mente di quella vista, né più alto sollevava il pensiero e, se fanciulla innamorata gli si porgesse dinanzi, quasi in lei vedesse il fiore d'ogni eccellenza, le poneva tutto il suo amore, e la riguardava come viva sembianza delle cose del cielo. Invece il contemplante, trascesa colla mente la bellezza della natura e dell' animo, si riposava in Dio, e, se talvolta ne discendeva, era per additare al volgo le sensibili apparenze di Lui nelle cose create. A tanta sublimità di pensiero non secondava la lingua, espressione rozza ed informe di popoli non ancora saldi e ordinati nella nuova vita civile, né soccorreva la fantasia ancor troppo grave di terrene immagini. Però la poesia spirituale oltrasensibile tenne poco delle poetiche forme; ma, come l'amore delle cose prendeva indole più passionata e più viva (1) e il linguaggio biblico, bellissima espressione della potente fantasia orientale, adempiva il difetto della lingua nascente, ella mandò tal suono, da parer degno preludio al canto immortale dell'Alighieri.

Del secolo XVII.

Chi pensi dell'istoria delle italiane lettere con mente ferma, sciolto d'ogni amore di parte e nell' aperto di larga meditazione, riconoscerà chiaro e lampante il sacro lume della verace tradizione, il continuarsi di secolo in secolo del buon senno e dell' amore del bello, quasi a quella guisa che nella vece alterna delle stagioni si mantiene perenne la fecondità della natura e l'armonia della vita. Il divino principio della bellezza, onde rampollava la letteratura volgare, non andò mai smarrito, ma or fu curato più, or meno, per quell'alto consiglio, che dell' esperimento del peggio voleva raccendere e far più vivo il desiderio del meglio. E' non è dunque giusto affermare che ne' secoli XVI e XVII l'italiano spirito indietreggiasse nel cammino dell'arte, ma e' vorrebbesi dire piuttosto che la scuola vana e voluttuosa, già vinta nel secolo XIII, quasi

(4) Per questo i migliori canti di Jacopone sono quelli volti alla Vergine e a Cristo, considerato secondo gl' intendimenti allegorici del Cantico dei Cantici.

pianta intristita che d'un tratto si rinnovelli tornò in vigore: dacché i Ciulli, i Folcacchieri, i Boccacci furono gli avi degli Aretini, dei Salviati, dei Marini e degli Achillini. Ma, come già nel primo secolo, accanto a quella scuola sorsero la più virile e più pura del bolognese Guinicelli e la spirituale del poverello d'Assisi, così, di contro alla moltitudine de' ciarlieri del cinquecento, si levò una piccola schiera di valorosi, che serbaron vivo l'onore dell' arte, e, di contro ai deliranti del seicento, una più forte schiera, che, non solo mantenne, ma dié nuovo polso e nervi alle italiane lettere. Anzi, perché l'estremo de' mali, per quel senno ascoso che governa le umane cose, sveglia nell'animo nostro più vigorosa e più ardente l'operosità del bene, i delirî del seicento, in cui naturalmente si volsero le ciance del secolo anteriore, porsero occasione d'un salutare rinnovamento.

Cosa notabile, nel vituperato seicento vigoreggia la satira. L'arguto Menzini, lodato autore della Poetica, e il fiero Salvator Rosa, valoroso pittore, sferzano senza misericordia le miserie de' tempi; e l'uno, sdegnoso della guerra vile e feroce fatta dagli Aristotelici a chi vide sotto l'etereo padiglion rotarsi Più mondi e il sole irradiarli immoto, scrive:

Che ingiuria fa d'onnipotenza al seggio

Il sol mobile o fisso? . . ;

l'altro riprova l'abuso dell'arte volta al solo diletto, come vil meretrice, e grida :

Di lascive pitture il mondo è pieno,

E per le vie degli occhi il cor tradito

Dal nefando color beve il veleno;

poi, dipingendo colla parola e a nobile documento, definisce la poesia de'suoi tempi cosi:

Stirar colle tenaglie i concettuzzi,

Attracconar le rime con la cera,
Ad ogni accento far gli equivocuzzi;
Aver di grilli in capo una miniera,

Far contrapposti ad ogni paroluccia,
E scrivere e stampare ogni chimera.

Ne vuolsi dimenticare quel suo nobilissimo detto:
Chi cerca di piacer solo al presente

Non creda mai d'avere a far soggiorno
In mano ai dotti e alla futura gente;

detto, che apertamente ricorda quello dell' Alighieri :

E, s'io al vero son timido amico,

Temo di perder fama tra coloro,

Che questo tempo chiameranno antico. (Par. XVII.)

Accanto ai satirici sono da porre i critici dell' istoria e dell'arte: Alessandro Tassoni, Vincenzo Gravina, Francesco Maria Fiorentini, Alessandro Bianchini: chè l'uno con franco e sicuro giudizio avvisò nel Petrarca gli ascosi germi del secentismo, e nei suoi Pensieri mostrò acume d' intelletto pari alla splendida fantasia ed al fiuo gusto del bello, ond'è testimonio il suo poema; l'altro nella sua Ragion poetica pôrse all'Italia il miglior trattato di estetica, insigne davvero per gravità di senho, per discorso lucido e ampio, per nobile sobrietà di linguaggio; il terzo nella sua vita della contessa Matilde dié prova di gran valore, veramente singolare a quel tempo, nell'arte di scernere tra gli antichi documenti il vero dal falso, il dubbio dal certo, l'autentico dall'apocrifo; il quarto nella sua Istoria universale scrutò ne' simbolici monumenti dell'antichità, e di sparsi frammenti, di negletti rottami seppe valersi a ricomporre l'istoria de' più lontani tempi. Mentre questi valorosi, ed altri, che per brevità si tacciono, contrastavano alle stranezze dei tempi colla sanità de'precetti, colla severità degli argomenti, a cui ponevan l'ingegno, altri temperava il pessimo vezzo col più retto uso dell' arte. Cosi Agostino Mascardi nella sua Congiura de' Fieschi, semplice, grave, senza fronzoli; cosi Carlo Dati, autore delle Vile de' pittori; cosi Michelangiolo Buonarroti il giovane, tutto famigliarità, spigliatezza, e brio di modi e di lingua popolare; così l'amenissimo Redi, fino conoscitore d'ogni leggiadria di stile, e che seppe bellamente accoppiare le scienze alle lettere; cosi Daniele Bartoli, che il Giordani chiamava terribile per vigoria d'espressione e per evidenza di forme; così il buon Pallavicino, mentre non lo vinse la cura soverchia degli ornamenti; cosi l'eloquente Segneri, talora comparabile a « torrente che alla vena preme »; cosi anco il senator Filicaja, quando l'abito dell' arte pomposa fu in lui sopraffatto dall'impeto dell'estro, che da natura ebbe grande, e dalla piena di generosi affetti. In capo a questa non piccola famiglia di buoni scrittori seggono, signori e maestri, due sommi: Galileo Galilei e Giambatista Vico. Il primo rinnovellò la filosofia sperimentale e per essa tutte le scienze fisiche, rivelando spontaneo nella sua prosa la bellezza dell'animo e della mente come luce raccolta in ispecchio; il secondo meditò nelle supreme ragioni delle umane cose e diede valido stimolo all' investigazione dello spirito nostro in quanto si palesa nella parola, nelle leggi e ne'fatti, padre della filologia, del diritto, studiato nelle sue forme istoriche, della filosofia dell'istoria ordinata ad unità di trattato. Se non che, questo ardimentoso intelletto, tutto dato nel pensar delle cose, non curò più che tanto la gentilezza del dire, sicché parve sempre negletto, e talora aspro e selvaggio. Ma nella sua negligenza e nella sua selvatichezza è sempre manifesto il vigore dell' animo, la forza di una mente che signoreggia le cose, e a quando a quando la parola gli soccorre obbediente, secondo quell'antico dettame di Catone: « rem tene, verba sequentur ».

Detto degli spiriti magni del seicento, di quei valorosi per cui quest' età

è degna erede di quel tesoro d'ingegno e d'arte, che l'Italia ebbe raccolto dal secolo XIII al XVI, io non credo opportuno di annoverare la turba de' prosatori e de' poeti, pe' quali l'età di cui parlo è avuta in isdegno e in dispregio, anco più di quello che meriti. I nomi degli sciaurati profanatori dell' augusto ministero delle lettere sono ormai posti in dimentico; nè il Marini, sovrano a tutti, per altro si ricorda che per compiangere in lui un ingegno pieghevole e destro malamente travolto dalla vanità e dalla pessima usanza.

Tornando adunque il già detto in poche parole, che, per cosi dire, ne esprimano il succo, io veggo nel secolo XVII una grande e natural corruzione della falsa scuola, provenzalesca nel secolo XIII e nel XIV, latineggiante nel XV e nel XVI, che, sempre drizzandosi al diletto, come a segno supremo, recava in sé il germe della corruzione e della morte; ma veggo altresì levarsi, per virtù repulsiva, più rigogliosa che mai la scuola del Guinicelli, degli Umbri e dell'Alighieri, che, mirando nel vero e nel bene, traeva da questa fonte divina virtù di vita e d'ascensione perenne, quasi a quella guisa che l'innamorato poeta, fisso negli occhi della sua donna, accresceva la fortezza dell'animo ed inalzavasi di sfera in sfera fino a quel cielo,

«Che solo amore e luce ha per confine. »

G. FRANCIOSI.

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