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religiose e morali. La classe si apra e si chiuda colla preghiera. Prima e dopo la lezione, ogni giorno, in tutte le scnole cattoliche si reciti il Pater, Ave, Credo, cogli atti di fede, speranza, carità, seguiti da un cantico. Nelle scuole protestanti la lezione si apra con un cantico, seguito dalla lettura di un salmo, e colla recita del Paler. >> Ecco i vincitori di Sedan! Paragonate questa educazione colla educazione quasi atea della Francia. In Prussia la religione, per la diversità dei culti, è separata dallo Stato: lo Stato è incompetente; ma altro è incompetenza, e altro indifferenza. Dio tenga la Prussia dal varcare mai questi limiti; ed ella richiedendo la religiosità dell'esempio e della parola in tutti i maestri, dia però sempre l'esempio di conservare per legge l'istruzione religiosa ai ministri dei culti

Niuno c'incolperà di servilità, proponendo noi questa imitazione; perchè imitando, ripigliamo il nostro. E con affettuosa riverenza diremo ai Rettori delle sorti italiane: - Specchiatevi almeno in questi, quando a voi, degeneri figli, venisse a noia la sapienza e la gloria dei nostri padri. E vi rammenti che dai dieci ai venti anni si forma l'uomo e la nazione: o laboriosa e docile, capace di alti sensi e delle grandi azioni; o sfrenata, o pecora, nata alla schiavitù od alle feroci insurrezioni. E scopo ultimo delle insurrezioni non è oggi più la dinastia nè la forma politica, ma l'anarchia. L'Internazionale ve lo dica.

Ora, come in giornata campale si uniscono a fine determinato tutte le forze, così a rinnovazione del compiuto pensiero e carattere italiano, hanno da concorrere con opera assidua e gl'individui, e lo Stato coll'indirizzarli alla meta comune, e la Religione con quella maggiore virtù che sublima gli spiriti e li preserva dal forviare e dal corrompersi. Individui, governi e cleri, bene condizionati sani e concordi, formano la nazione composta, gloriosa, invincibile.

Ma qui rompe un'università di lamenti, compendiati in quel massimo e formidabile: Il clero è nemico della patria.

Accusa perentoria, meritevole (se giusta) di perentoria sentenza! Un clero cospiratore, avverso alla patria, sospirante allo straniero, alla guerra, alle stragi, sarebbe un mostro, un'esecrazione, non tollerabile in qualunque stato. Impedirgli di nuocere, rimoverlo dai pubblici uffizi, dall' insegnamento, dall'educazione, sarebbe la più tenue cautela, la più mite deliberazione. Non avrebbe scampo la sentenza, posta la realtà dell'accusa; ma quanto ella è grave, tanto più facilmente noi crediamo di poterla chiarire ed eliminare.

Per chiarirla, facciamo le giuste eccezioni. É laica una parte di quel giornalismo da cui vengono le ragioni dell'accusa; e parte scarsissima del clero è quell'altra che gli tien bordone. Già fu detto dagli stessi accusatori, che di cattolicismo in cotestoro non vedesi altro che l'insegna, messa a pompa sul foglio o sull'officina. Aggiungete gl'ignoranti e i sedotti, le coscienze erranti o pusille, e non sarete mai a tale di poter dire che il clero navighi in quelle acque. Mettete ancora da parte certe anime sdegnose, ma ricredute, e già vicine a comprendere quanto danno germini dai propri errori; da parte le lingue e le penne vendute; ed infine quella mobile turba che si lascia andare al vento dei partiti senza seguirne nissuno. E tutti questi poi hanno cuor sì tenero che, comunque la lingua canti, impallidirebbero al reale pericolo d'una sollevazione.

Date ora di soffio a questa schiuma, e vi apparirà il vero clero, il clero sincero, cristiano e italiano. Esso è, o potrà essere, nelle proporzioni che ha verso la schiuma l'onda del mare. Questo clero, saldo nella sua missione di presentarsi ai cittadini come il depositario delle più alte verità, come il custode delle leggi eterne, come la guida e il consolatore delle umane debolezze; questo clero che è l'universalità o la parte non degenere del clero, ben comprende quanto gli stia male l'entrare nel campo chiuso delle gare politiche, e anteporre la missione della terra a quella del cielo. Coerente a sè medesimo, esso geme delle improntitudini altrui, non si agita, ma conconserva lo spirito della sua missione, studia i tempi, considera il parossismo delle parti, e nutre speranza di rimediarvi. La sua missione di rispetto alle Potestà, di concordia civile, e di carità cristiana, tanto più lo attrae, quanto più la vede offesa od oscurata. Per lui, la carità del prossimo è carità della patria: carità tanto più nobile ed efficace, quanto la patria cristiana ed il popolo cristiano sovrastanno al popolo ed alla patria pagana. Per lui, le più ignorate come le più illustri virtù cittadine trovano nel cristianesimo conforto e indirizzo.

Non dite che questo clero disperda il forte sugo del cristianesimo in divozioncelle materiali e tirate quasi a macchina, per conchiudere poi che il protestantismo, perche più semplice e spirituale, sia più robusto del cattolicismo. No: perchè l'integrità del dogma è fonte e custodia all'integrità della filosofia e della morale cristiana; e il nerbo della morale sono i doveri dello stato; e delle pratiche libere quel tanto e consigliato che ne giova l'adempimento. Questo clero ha im

parato dal Maestro che la religione è un giogo soave e leggiero, dal solo fariseismo reso molesto e pesante. Alla gioventù principalmente esso presenta la religione nelle sue forme originali, soda di principii, non intricata di foglie nè di pratiche esagerate. E a tutti la rende amabile, memore di quell'amor divino « Che aperse, a prender noi, in croce le braccia. >>

Eccovi il clero sano e italiano! In questa novità di tempi, ha egli bisogno di rinnovarsi per concorrere alla rinnovazione del pensiero e del sentimento italiano? Ebbene si rinnovi. Da lungo tempo si grida, ma si gridò al deserto; ed ora si aggiungono stimoli maggiori al risveglio. Non politiche agitazioni, ma quella corona di virtù religiose e civili, per cui l'ecclesiastico, non intrigante nè misantropo, è ad un tempo il benefattore della sua gente e l'apostolo del cattolicismo.

Proseguiremo l'argomento nel capitolo seguente.
(continua)
G. AUDISIO.

IL CENTENARIO

DI

LODOVICO ANTONIO MURATORI

Lettera al Chiariss. Marchese PARIS MARIA SALVAGO

Pontedecimo.

Nei giorni 20 e 21 di ottobre p". po. in Vignola ed in Modena ebbero luogo le Feste pel secondo Centenario natalizio del padre della Storia Lodovico Antonio Muratori. — A voi, che dovevate intervenirvi e far bella di vostra presenza la corona degl' illustri invitati, se un impegno urgente non ve lo avesse impedito, io credo, che in aspettazione di una relazione ufficiale più estesa, non sarà per riuscire discaro un breve cenno gettato giù currenti calamo intorno a questa festività solenne, ordinata a celebrare la memoria di Colui, il nome del quale, a sentenza dell' esimio Conti, giudice ben competente, basterebbe ad illustrare una nazione.

Onorare anche dopo morte i grandi uomini benemeriti in sommo grado delle scienze e delle arti fu sempre costume dei popoli civili e liberi, ed è opera emulatrice di virtù.

Dopo i centenari dell' Alighieri e del Galilei converrete facilmente con me, che non si poteva dimenticare quello del nostro Muratori, che per un altr' ordine dello scibile siede pari a quei due sommi, e con essi forma la triade illustre della sapienza italiana. Certo non mancano altri, cui competa simile onore, e senza tema di sentirmi dare del mistico non posso trattenermi dal far plauso alla recente proposta del Maini di Bologna di festeggiare il natalizio dell' Angelico d'Aquino, padre di quella filosofia, che ispirò le pagine dell' Alighieri, e contro cui si spuntano le armi dei moderni sofisti.

La prima idea di queste feste Muratoriane è dovuta al Chiarissimo Prof. Cav. Francesco Selmi Vignolese egli pure, che scrisse egregiamente di Chimica e pubblicò l'lconografia del suo paese. Il suo divisamento però era limitato ad una solennità, quasi dissi municipale, coll'intervento delle Deputazioni di storia patria. Lo seppe il Prof. Giovanni Franciosi, decoro del nostro Liceo, che come sapete da quel grande prende il nome, e pensò di far concorrere anche Modena, e di dare alla Festa il carattere di una dimostrazione nazionale, propugnandone l'attuazione nell' adunanza dell'Accademia Modenese di scienze, lettere ed arti. E le sue parole furono coronate di felice successo, poichè, accolto unanimemente il nobile pensiero, venne eletto fra i socii Accademici un Comitato che riuscì composto del Presidente Cav. Carlo Malmusi, dello stesso Franciosi, del Cav. Don Luigi Vischi Preside del Liceo, e del Conte Cav. Leonardo Salimbeni.

Il Comitato Modenese s'intese con quello già costituito in Vignola, e formato del Sindaco locale Avv. Plessi, del ricordato Prof. Cav. Selmi e dell'avv. Giacomo Tosi-Bellucci. I due Comitati si fusero in uno, e coadiuvati dai Municipii locali prepararono ed egregiamente diressero le feste.

Gl'inviti furono fatti su larga scala di dotti e scienziati nostrali e stranieri, e se la stagione non fosse stata troppo perversa era da sperarsi che tutti o la massima parte sarebbero concorsi. Non per questo i presenti sommarono già ad un centinaio incirca, fra i quali noterò degl' Italiani un Cesare Cantù degno continuatore delle discipline storiche in Italia, ingegno infaticabile ed inesauribile, ed un Atto Vannucci insigne letterato, senatore del Regno. Ma se non vi ebbero stranieri, essi non mancarono di mandare anche da lungi il loro tributo di lode alle feste, e scrissero con altri nostrali, voi compreso e il comune amico Conti, lettere di encomio ai Municipii di Modena e Vignola, e di rispetto e venerazione profonda alla memoria dell' eroe del giorno. Rammenterò quelle del Germano Gregorovius e del venerando Guizot, che con energica frase definisce la mente del Muratori un puits de science et un modèle de méthode.

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La comitiva degl' illustri invitati la mattina del 20 prese le mosse

DI LODOVICO ANTONIO MURATORI

dal palazzo Municipale di Modena in tante vetture preparate dal Comune per Vignola. Lungo la via le case erano imbandierate, e i segni di giubilo si riscontravano perfino sul tugurio del colono. A Spilamberto sopra un arco di trionfo a festoni di fiori e di sempreverde leggevasi la iscrizione di quel brillante ingegno che è il Prof. Sbarbaro :

IL POPOLO DI SPILAMBERTO

ALLI

ITALIANI ERUDITI

CHE PASSANO

INVIATI AD ONORARE

IN VIGNOLA

LA CULLA E LA MEMORIA

DI L. A. MURATORI

IL GIORNO 20 DI OTTOBRE 1872

ONORE E SALUTE

Io pure, come uno dei Deputati della Provincia, ebbi l'onore di far parte del nobile corteggio, e vi assicuro che dalle feste Vignolesi rimasi profondamente commosso, perchè vi riscontrai l'armonica cooperazione di ogni ceto di persone, e su tutti i volti lessi la gioja più sincera per il fausto avvenimento.

Ricevuti dal Municipio in mezzo ad una moltitudine di popolo accorso da tutte parti del colle e del piano con bande musicali che rallegravano la giornata alquanto nebulosa, i primi passi furono alla casa del Muratori. Oh! quell' angusta celletta che lo vide nascere e lo raccolse nei primi suoi anni, parve, credetelo, alla mia mente ingrandirsi e diventare un fatidico palagio, pensando che fu culla di un tant'uomo! E trovai bene appropriata e, nella sua concisione, eloquentissima la epigrafe che scritta in marmo si legge sopra una delle quattro pareti. Qui nacque Lodovico Antonio Muratori, e ciò basti.

Poscia ci recammo all' esposizione dei prodotti agricoli, industriali e mineralogici, e degli oggetti d'arte antica e moderna del Mandamento, ragunati per cura di un solerte Comitato e con ordine disposti nell' antico Convento dei Cappuccini. E vi so dire che specialmente in orticoltura, in seta e in vini prelibati quella mostra non la cede ad altra di maggiore importanza per vastità di territorio e di popolazione. Siano queste parole tributo ben meritato di lode a quegli operosi ed intelligenti produttori.

Intanto il Prefetto della Provincia coi notabili del comune di Vignola e degli altri limitrofi Municipii e col distinto Ingegnere Provinciale Masi poneva la prima pietra inaugurale del grandioso ponte sul Panaro, che è il voto secolare del paese per le facili e più sicure comunicazioni del monte e della vicina Bologna.

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