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signor Cicuto che la Chiesa o mancandole per morte il suo Primate, o caduto questo in sospetto d'eresia, o essendo incerto come in tempo di scisma può esercitare un'azione efficace, proferire sentenze infallibili, mi rimproverate d' avere dato in un orribile ciampicone (pag. 54). La ragione è questa, che in qualunque caso la Chiesa si trovi senza il suo capo, senza il Romano Pontefice il solo Episcopato non potrà altro per sè solo che togliere lo scisma, provvedere di capo certo e indubitato la Chiesa, ma solo senza di questo Capo non potrà mai pronunziare in cose di domma e di morale sentenze infallibili (ibid).

Monsignore, abbiatevi a grado che io citi il passo d'un libro Il giovane studente istruito nella dottrina Cristiana di Mons. Bonomelli Vescovo di Cremona. « In questi casi (quelli enunciati sopra) il Corpo Episcopale può e deve provvedere; e le sue decisioni saranno infallibili in materia di fede e di costume, e a tempo conveniente saranno confermate dal Pontefice eletto ». Potreste opporre, che salvo la riverenza al Vescovo di Cremona credete erronea la sua opinione, ed io vi replicherei che il vostro non potrà è troppo assoluto, nè vuolsi considerare dettato comune dei Teologi cattolici, quale voi pretendete. Il P. Gazzaniga è uno scrittore rinomato di cose teologiche; al tempo dei miei studi valeva quanto ora il P. Perrone, nè credo abbia ancora ai nostri giorni perduto del suo intriseco valore. Nella parte II, dissert. III, capo VI de infallib. Concil. n° 207, recati su tale questione gli avvisi degli uni e degli altri, egli non la risolve stabilendo solamente con tutti i Cattolici, che i Concilii generali confermati dal Pontefice sono infallibili « quid quid sit de ea quæstione quæ inter Catholicos salva fidei unitate agitatur, illud omnibus ratum fixumque est Concilia generalia a Pontifice confirmata esse infallibilia, » aggiunge due ottime ragioni, per cui i Gallicani debbono riconoscere, e riconoscono di fatto la necessità della conferma Pontificia ai decreti Conciliari, «< ipsi Galli fatentur Pontificis confirmationem saltem tamquam solemnem supremi Capitis accessionem maius robur iis Conciliis addere..... insuper futari debent deficiente Rom. Pont. confirmatione saltem dubitari merito posse, an Concilium sit œcumenicum, seu universam Ecclesiam repræsentans » (1). Non tacerò che Melchiorre Cano premesso che i dogmi sanciti da un Concilio non sono fermi se non convalidati dal Papa, nega che un Concilio monco, senza il capo possa nei decreti di fede avere un'autorità certa, ma questa sentenza il dotto Vescovo delle Canarie non espone con quella

(4) Non sarebbe strano che voi mutaste il Gazzaniga in una stretto Gallicano. Udii or sono pochi anni uno della vostra scuola dirmi sul serio che le sue Istituzioni Teologiche si sarebbero dovute porre tra le opere divietate.

formale solennità conveniente soltanto a chi possiede il fondo del Sentimento Cattolico, quale siete voi, Mons. Revmo; la emette perchè corroborata da molti argomenti del Gaetano, e del Torrecremada, e perchè egli stimando assai la massima, non sovrabbondare Iddio nelle cose superflue non iscorge niuna causa di attribuire al Concilio imperfetto, un potere più ampio che quello di deporre un Papa eretico o scismatico, ed eleggerne uno Cattolico e certo; il rimanente potersi espedire dal Concilio integro, creato il novello Pontefice (lib. 5, cap. V). Questi uomini grandi manifestano nelle controversie le proprie convinzioni cercando di affidarle a ragioni plausibili, voi più sciolto decidete subito coll' invocare il sentimento cattolico senza prendervi il fastidio di dimostrare che questo unanime condanna la opinione contraria. Ebbene, non stupitevi, se anche contro la ragione buona del Cano furono Teologi che hanno opposto, nel caso che la Sedia Apostolica vacasse per lungo spazio di tempo, e la Chiesa fosse premuta da forti cause a profligare errori perniciosissimi, sarebbe cosa superflua e non piuttosto necessaria conferire alla Chiesa questa magistrale autorità di sancire decreti certissimi, infallibili di fede? È forse indubitato, e positivo che tali non fossero quelli di Costanza contro gli eretici? Ma io mi accorgo di andar troppo per le lunghe.

Voi Monsignore vi lusingate d'avere portato un po' di luce su questa questione. Godetene nell'intimo del cuore. A me invece deve dolere del tedio che avranno sostenuto i lettori per questa mia diceria provocata che ella fu dalle vostre lettere. Epperò ho l'onore di significarvi che io mi obbligo su queste materie ad un rigoroso silenzio, quand' anche vi piacesse nuovamente maneggiare con pie e benevole cure la piaga affine di saldarla, parole colle quali alludendo alla mia scrittura avete graziosamente conchiuso. Della S. V. Revma

Umilissimo servo
Teol. BENEDETTO NEGRI.

IL MATERIALISMO PLEBEO

E IL

MATERIALISMO ARISTOCRATICO.

(Continuaz. e fine; V. pag. 296 e segg. del vol. 16)

IV.

<< Il materialismo, scrive il Prof. Spaventa, che nega l'anima e non ammette altro che il corpo, non si accorge che questo è un fenomeno, una rappresentazione (direbbe l'idealismo), anzi un sistema di rappresentazioni, che si connette intimamente coll' Io. E tale è anche il mondo in generale, e tutto ciò che possiamo ammettere per spiegare il mondo come fenomeno, cioè un nostro pensiero e perciò qualcosa che è nell' Io soltanto. Chi ci assicura che l'unico reale non sia appunto il nostro Io, e che questo non produca i fenomeni conforme a certe leggi sue? »

Fermiamoci qui un istante. Voi, signor Professore, apponete qui a'materialisti che, col negare l'anima e non ammettere altro che il corpo, ei versano in una grossa illusione, non accorgendosi che il corpo e il mondo in generale non sono che un fenomeno, una mera rappresentazione, insomma una fantasmagoria, prodotta dall'intima attività dell' Io, ch'è l'unico reale. Qual è pertanto il divario che passa tra voi e i materialisti? Non altro, parmi, che questo: voi dite che l'unico reale è l'Io, e che il corpo è un fenomeno, una rappresentazione psichica e nient'altro; essi, al contrario, dicono reale il solo corpo, e l'Io una mera illusione. A primo aspetto, parrebhe ch'essi s' appongono un po' meglio di voi; perchè, per essi, il reale è ciò che si vede e palpa, ed è illusione l'invisibile e l'impalpabile; per voi, è reale il solo invisibile e l'impalpabile, e ciò che si vede e palpa è illusione: cosa che urta un po' i sensi. Ma, chi guardi a fondo, parmi che possiate darvi un abbraccio; perchè, salvo un innocente scambietto di nomi, in sostanza, voi dite la stessa cosa. Essi chiamano corpo quel che voi

chiamate l'Io, e voi all'inverso: ecco tutto. Eccetto questa piccola differenza di nomi, nel resto siete in pienissimo accordo. Disciolto il corpo, essi dicono, l'uomo individuo va a confondersi colla materia universale: svanito il fenomeno corporeo, dite voi, l'uomo cioè l'Io individuale, va a confondersi coll'Io universale. Mutato nomine, la loro dottrina è la vostra, ed è questa: « l'uomo individuo è un fenomeno effimero, che dopo il sogno breve e angoscioso della vita, perduta la coscienza di sè, rientra, come spuma nelle acque dell' Oceano, nel gran mare dell' essere universale. » La quale medesimezza sostanziale delle due dottrine produce poi, s'intende, le medesime conseguenze morali, sociali, religiose, cioè le medesime conseguenze in tutto ciò che più importa all' umanità. Ma di ciò a suo luogo, e passiamo oltre.

Dopo le parole surriferite, il nostro Prof. ci espone di passaggio la teorica del Cornelius sull' Anima, che, ridotta a' suoi minimi termini, è questa: l'Anima è un ente reale, semplice, inalterabile, nè più nè meno che l'ente corporeo, ma di natura affatto speciale ed opposta. Ella, per sè ed originalmente, non ha stati di attività o forze; non sente, non rappresenta, non pensa, non vuol nulla: diventa tutto questo, solo in quanto è insieme cogli altri enti di cui consta il corpo. È necessario ammettere questi stati, e l'anima come l'ente speciale a cui appartengono, perchè è impossibile ridurre i fenomeni spirituali a'corporei movimenti, e negare il lorc nesso in una unità semplicissima, attestata dall' esperienza interna, specialmente nel fenomeno della coscienza di sè. Tutti questi stari devono avere il loro soggetto sostanziale in un unico ente reale, ch'è l'Anima. «Questa escogitazione, osserva il Prof. Spaventa, mentre salva l'entità dell'anima, soddisfa alla legittima esigenza del materialismo stesso, il quale non vuol saperne della vita dell'Anima come una sostanza separata dal corpo assolutamente; giacchè per essa l'anima senza il corpo è sì un ente, ma non una sostanza attiva e viva: cioè, in quanto anima, dico io, non è niente > (pag. 372). Nota qui, o lettore, che, pel nostro Prof., il gran pregio della teorica del Cornelius è di salvare l'entità dell' anima, e di soddisfare insieme alla tegittima esigenza del materialismo; la quale è, ch'ei non vuol saperne della vita dell' anima come una sostanza separata dal corpo. Si vede bene che ciò che cuoce ai filosofi idealisti, come a'materialisti, non è altro che la sopravvivenza dell'anima al corpo, cioè la immortalità del nostro spirito. Qualsiasi dottrina sull'Anima non ha pregio, che a questo solo patto di negare la dote più sublime e più divina, ch'è l'immortalità: la legittimità del materialismo, la sua ragione di essere, sta appunto in questa negazione!

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Come s'è veduto, nella teorica del Cornelius, l'Anima, benchè in sè sia un ente reale, solo in quanto è congiunta col corpo diviene sostanza attiva e viva: vale a dire che l'anima, come anima, è essenzialmente atto o processo. Ora il Prof. Spaventa, che non accetta in tutta la sua integrità si fatta teorica, ne accetta questo concetto dell'anima come atto o processo, e v'insiste << Il materialismo, egli scrive, mentre trasferisce le funzioni psichiche nell'organismo (e così crede di poter far senza dell'anima), gli nega ciò che solo può renderlo capace di tali funzioni, vale a dire l'atto e l'energia dell' individualità; la quale, come un tutto indivisibile che si raccoglie e conchiude in sè stesso, non è data da' processi fisici e chimici. Ora questa unità o individualità, attiva sempre e immanente, che investe e governa l'organismo, è in sè già processo psichico: è senso di sè..... Senza il senso di sè (senza la psiche) non vi ha vero individuo. Noi diciamo individuo anche la pianta, anche il cristallo, e persino la pietra. E in verità tutti questi enti si mostrano, si mantengono e valgono, più o meno, come qualcosa d'uno, come se e non un altro, in mezzo agli altri enti: ma questa loro unità non è vita propria, intima: ciascuno è individuo per noi, non per sè. Ora appunto questo esser individuo per sè, è il senso di sè stesso; nel quale solo ha luogo una intimità propria, individuale, distinta da ogni esistenza esterna, e perciò sussiste nella propria forma quella unità e semplicità che costituisce l'individuo. Nel senso di sè l'individuo è soggetto; e tale non è la pietra, il cristallo, e nè meno la pianta......... In questo (cioè nel senso di sè) è contenuta sempre un' intima geminazione dell' essere (il semplice ente reale, in quanto non è questa geminazione, non può esser anima); l'individuo, in quanto sente sè è come il prodotto di sè medesimo. Processo è movimento, attività: ma il processo che è il senso di sè, è un movimento che principia e ritorna in sè; si distingue in sè stesso e in questa distinzione si mantiene sempre uno e medesimo a sè. Perciò il senso di sè non può esser prodotto da fuori, da un altro essere: non è che in quanto produce sè stesso » (p. 372-4).

In tutto questo discorso io non ci ho che ridire: anzi, io vi trovo una efficacissima confutazione del materialismo, e il concetto dell'Anima, che vi si rivela, lo trovo profondamente vero (benchè incompiuto; essendo l'anima umana, non solo senso di sẻ, ma altresì in quanto mente, intuito dell'Ente intelligibile). Ma io domando: qual conseguenza possiamo dedurre da tutto quello che qui si è detto? Affè mia, non altra che questa: è impossibile che l'anima, che informa il nostro organismo corporeo, sia identica al medesimo organismo; al quale tutto ciò che si è detto non si po

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