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Formidabili sono le leggi della natura, non vincibili all'uomo nè agli Stati. O si tiene raccolto il fascio di tutti i doveri, di tutte le giustizie (e la giustizia verso Dio è la prima), o si sfasciano le società umane. E il seme dei doveri se non germina prontamente nell'adolescenza, più tardi sarà soffocato dalle spine o cadrà sulla pietra. Messo Dio al vertice della piramide, di là tutti i doveri si diramano e ricevono la loro sanzione. Questo si chiama educare e formare a virtù e giustizia le nazioni. Questo il primo sacerdozio della famiglia, e successivamente dello Stato, aggregato di famiglie. Saranno sufficienti alla prima età buoni Catechismi, per esempio i tre graduati di Bossuet colla sua Esposizione della dottrina cristiana. E nelle Università, perchè fra tante scienze umane, non potrà aver luogo nei dì festivi un corso di conferenze religiose? Ci rimembra che ragionando Frayssinous, il fiore dell' Università parigina correva ad ascoltarlo. E correrebbero dovunque, nè sarebbero indifferenti i liberi pensatori, perchè la religione è nel fondo dei cuori, est Deus in nobis; e i grandi problemi dell'uomo e dell'umanità non si risolvono senza la religione. Ma all'uopo si richiederebbe una condizione, non tanto difficile quanto rara ai nostri giorni cioè che si facesse parlar la religione con lingua propria dei nostri tempi, degna della scienza, degna di Dio e della religione.

In questo proposito non ricusiamo la libertà della scienza e della coscienza. Ma se libera è la scienza della natura, non sarà pur libera la scienza che investiga i doveri e le relazioni dell' uomo coll' Autor della natura? anzi la scienza principe, la scienza dell'uomo, della sua immortalità, della sua felicità avvenire e del modo di raggiungerla? Provatevi a lasciar cader l'uomo nel brutale materialismo, inoculategli la febbre dei materiali godimenti come scopo unico supremo della vita, ditegli che non ha nulla da sperare nè da temere nella vita futura; e poi giudicate se può essere animale più misero dell'uomo, e più indomito e più ribelle ad ogni senso di umanità sulla terra? Dunque sia libera la scienza, ma non libera d'insultare all'uomo, e di pervertirne la natura; e meno libera d'insultare a Dio, dal quale pende la legge costitutrice della sua nobile natura. E sarà anche libera la coscienza quando non si sforzi, ma si convinca e s'illumini. Che se varie confessioni dividano gli uditori, avvertiamo, primo, che Dio, la sua giustizia e l'immortalità degli spiriti, sono comuni a tutte le confessioni; e secondo, che nelle differenze religiose non mancherà l'opera di diversi istitutori. On

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de è salva la libertà di coscienza, e gli animi giovanili non anderanno sciolti da ogni religione.

L'unità più cara e desiderabile alle famiglie e allo Stato, è l'unità della preghiera, degli affetti, del culto. Per essa, tutta la famiglia si prostra al comun Padre, e in vita e in morte gioisce della stessa speranza e dello stesso amore. Sono viaggiatori e amici che camminano per la stessa via, e si riabbracceranno nel seno di Dio. Tutti gli abitanti della stessa patria terrena hanno parimente il maggior vincolo di concordia e di fratellanza nella stessa unità del culto. La quale unità si sublima e s'imprime negli spiriti, se lo Stato la raccoglie e officialmente la consacra a Dio.

Fu uso di tutte le genti elevarsi concordi alla Divinità nelle gioie patrie come nelle sventure. Roma pagana tanto fu lungi dal separare la Repubblica dalla religione, che anzi ogni impresa cominciava e suggellava coll'intervento de' Numi. Ed ora in tanta maggior luce, resterà muta la religione? Nei grandi avvenimenti della patria, non s'invocherà, non si renderà gloria al supremo Datore? Risuonerà del salmo o dell'inno la sinagoga, il tempio protestante e la chiesa cattolica; ma nella separazione assoluta della potestà civile dalla religiosa, dove è il capo della grande famiglia, dove è lo Stato? Si dirà che gli individui, componenti lo Stato, seguiranno privatamente i loro culti. Sia: ma chi non vede l'immenso vuoto che lascia dietro di sè quel difetto di esempio e di onorificenza religiosa? E di riscontro, chi non direbbe più ordinata e grande quella nazione, che di concordia co'suoi duci, e nella solenne maestà del culto, congiunge la sua preghiera, implora e ringrazia il Re del cielo e della terra, e coll'esempio de' suoi legislatori si accende del più sublime affetto e della più nobile emulazione? In quel concerto di magistrati e di popolo vedi armonizzante la famiglia civile e religiosa, la legge umana colla divina, l'autorità che deriva dal fonte della giustizia, il diritto di tutti, la fratellanza e l'eguaglianza, nella guardia di Colui che impera sugli imperanti, che vendica le offese e si fa scudo agli oppressi. Questa sintesi compiuta, dello Stato con Dio, della giustizia umana colla divina, della sudditanza e obbedienza di tutti alla Maestà del Diritto, sola Maestà principe e degna d'imperare sulle menti ragionevoli; tutta insomma la struttura, giuridica, morale, magnifica, di questo sociale edifizio, è sciolta per la separazione dello Stato dalla Religione.

La separazione leva dunque alle società umane la loro corona,

e la chiave della volta che ne collega la struttura; alla scienza poi chiude le sorgenti della storia e della filosofia originale dell'umanità e del mondo.

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Le religioni delle genti civili sono: il Mosaismo, cristianesimo incominciato; il Cristianesimo colle sue frazioni; ed il Cattolicismo, e questi hanno per fondamento la Bibbia. Separare la scienza o l'insegnamento dalla religione non si può senza ripudiarne i libri e la storia che ne compongono il Codice divino. Or dunque chiudete la Bibbia; spogliatevi delle dottrine e delle tradizioni attinte dal Cristianesimo; separatevi di tutto punto, se volete esser conseguenti; chiudetevi ermeticamente in quella sfera dove non sia penetrato nè penetri raggio di morale o di storia cristiana. In quella siate lieti e beati. Ma che sapreste allora dell'uomo e di Dio, delle grandi vicende dell'umanità, della sua mondiale e ultramondiale destinazione? La Genesi ed il Vangelo lasciano un campo, quanto ragionevolmente si può desiderare, comodo e vasto alle scienze della natura. Ma senza quei germi e quei lumi, avremmo noi la storia delle origini e dei progressi una sincera filosofia dell'uomo e del mondo, una morale e una civiltà? Fatto innegabile: fuori del Cristianesimo, non vi fu mai altro che schiavitù, tirannia o barbarie.

È una gloria dello spiritualismo cristiano, di essersi elevato dalla filosofia alla ragion di Stato: poichè se l'umanità è materia bruta, non si può rimproverare allo Stato di esser brutale. La legittimità del diritto non è l'utile, non è la forza, ma la verità. Lo Stato come diritto sovrano e sociale, non negherà di avere per principio e per condizione la verità. Ma dove la trova? Nei sistemi troverà frammenti e verità parziali; nel solo Cristianesimo la scienza trova la verità pratica, storica e completa del genere umano. Dalla Creazione alla Redenzione, il Cristisnesimo è il dramma dell' umanità vivente e militante, colle sue grandezze e colle sue miserie, ma sempre alla vista di quel fine altissimo, al quale aspirando, essa si abbellisce e si nobilita, e dal quale ritraendosi, essa si ferma, q va indietro, o rompe agli abissi.

È un vero fondamentale che tutti i progressi scientifici o civili e politici sono frutti dello spiritualismo; e che le soste o i regressi e le decadenze delle nazioni sono frutti dello snervante sensualismo. Ma la mentalità umana, la meravigliosa potenza che rapiva i fulmini al cielo, congiungeva i mari, trapassava i monti, è monca se non ordina sè stessa e le opere sue al gran fine che sovrasta alla mate

ria, ed è il Bene sommo e universale degli spiriti. Questo Bene che illumina tutti gli spiriti, che a tutti è maestro interno di verità, di carità, di giustizia, è intraveduto dalla filosofia spiritualistica, ma ella si ferma alla soglia, non giunge alla sommità; è incerta nelle speculazioni, vacillante nei propositi, ed inefficace sulle moltitudini; ella fa scuole, non farà una religione che sollevi gli spiriti, emancipandoli dalla schiavitù degli uomini e delle passioni. La filosofia dello spirito ci mostra sfere immense, ma di prospettiva ed in lontananza: il solo Cristianesimo le popola di nozioni vere, di esseri reali e viventi, i quali si accostano e si affanno alla parte migliore della natura umana, l'affrancano e la governano senza punto violentarla. E perchè? Perchè il Cristianesimo è opera divina, è rivelazione di Dio all'uomo, è la storia ed il successo delle relazioni dirette e speciali di Dio col genere umano.

Potremmo dimostrare come solo una religione positiva discesa immediatamente da Dio possa metter fine alle religioni volgari o razionalistiche, se l'economia del discorso non c'imponesse di raccogliere il detto e cavarne le conseguenze. E queste sono, che la separazione ha un senso equivoco, e nel senso assoluto, essa è una sofistica dissolvente nella società e nell' umanità quello che la natura vi ha congiunto. Leggi e diritti, giusto e ingiusto, autorità di padre e d'imperante, perdono la loro legittimità o la loro sanzione immortale separandosi dalla religione. Cadono i patti privati e pubblici, i cui vincoli, come Cicerone afferma, contengono la vita delle nazioni. Smarrisce l'uomo i cardini della scienza prima, che sono le sue origini ed il fine. E si dileguerà l'eroismo della virtù, e l'entusiasmo sublime dell'arte, che volgarmente ed in ogni lingua si appella divino, perchè in noi acceso da scintilla divina.

Ricusato pertanto questo senso malefico della separazione fra Chiesa e Stato, cerchiamo l'onesto e giuridico.

Egli ha da esservi questo senso, perchè Stato e Chiesa già furono da noi dimostrate istituzioni sorelle, autonome e prime sotto Dio. Dunque personalmente distinte, e nella propria sfera indipeudenti e libere. Libertà che si fonda nella coscienza dell' uomo, libero di servire a Dio, e di congiungersi in società perfetta e ordinata a questo fine. Il qual fine essendo distinto dal fine dello Stato, emergono due società diverse e distinte: non stato nello stato, ma due personalità giuridiche, con fini e mezzi distinti; e di conseguente con varietà di uffici distinti, e se piaccia di così appellarli, separati.

Questa separazione è tutt'altro che una novità, bensì ella è antica quanto la Chiesa ed il suo Fondatore. La solenne costituzione dell'umanità, in un tempo civile e religiosa, era enunciata in quella formola che faceva rendere a Cesare quel che è di Cesare, e a Dio quel che è di Dio. Formola che emancipava la Chiesa dallo Stato, e lo Stato dalla Chiesa, ma assoggettando l'una e l'altro alla sovrana legge di Dio, che ne partiva i doveri come gli uffici. E perchè l' una e l'altra podestà viene da Dio, argomenta S. Tommaso nel secondo delle Sentenze, perciò nelle cose dell'anima si ha da obbedire alla podestà spirituale, e nel bene civile alla podestà civile: dove è recisa la separazione e franco il criterio che la costituisce. Non ebbero altra voce nè altro rifugio i papi contra gl'imperatori di Bisanzio; e se l'idea della separazione si oscurava nella notte del medio evo, non si smarriva, e Dante la circonda va della sua prima luce. Guelfo, l'Alighieri celebrò il potere spirituale dei papi; Ghibellino, invoco ed esagerò la sovranità degli imperatori; e imperatori e papi fulminò altamente se invasori della potenza altrui: e questa è chiave forse principale per entrare nei sensi della Divina Commedia. Diversi i tempi: nell' esagerare la potenza papale più propensi i decretalisti che i teologi, come osserva il cardinale De Luca nella Relazione della Curia romana (Disc. II, 25); ma la distinzione delle due autorità fu sempre un assioma del giure cattolico, anche allora che i fatti sembravano più avversi. Dottrina che nel secolo XV fu riassunta dal celebre cardinale Nicolò di Cusa, nel terzo libro de Concordia catholica in queste parole: «< Ponga ben mente il romano Pontefice, che chi è supremo ha degli altri una cura ministeriale, non già un impero di dominazione; e che da Dio vengono entrambe le podestà, e che in questa nostra legge di grazia, sono esse veramente distinte, come insegnava papa Nicolò. Questa fu la verace opinione di tutti gli antichi; e se nacquero modernamente dei dubbi, ciò è avvenuto per quella malaugurata voglia che molti hanno di adulare e compiacere altrui: et illa fuit omnium antiquorum opinio vera; si dubia noviter exorta sunt, ob sinistrum multorum complacendi studium.

In tanta libidine di fasto e di dominazione il modesto Cusano chiama la podestà col suo vero titolo di ministeriale, sit minister vester; ministero, e non dominazione della Chiesa, non dominantes in cleris. Viceversa, podestà ministeriale è la sovranità, e barbarie pagana la padronanza: Reges gentium dominantur eis. Nicolò di

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