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mento non fu per la prima volta posto in campo da'moderni avversari del Cristianesimo, ma egli è in effetto la più antica accusa, che sia stata mossa contr'esso. Perocchè Celso, uno dei più antichi impugnatori della sua verità, de'qnali si sappiano le opposizioni, ci assali specialmente per questa supposta inimicizia alla scienza, quasi noi cristiani temessimo che ella affievolisse la causa nostra. Ma egli trovò un abile e vittorioso competitore nel dotto Origene, il quale ributta trionfantemente la calunnia, e ne trae una conchiusione che giova qui allegare: << Se la cristiana religione, dic'egli, vedrassi invitare e incoraggiare gli uomini al sapere, forza è che meritino severa riprensione quelli che cercano scusare l'ignoranza propria parlando in guisa da stornare altrui dagli studi »> (1).

Le quali norme costantemente insegnateci dai più insigni nostri Padri e più eminenti ecclesiastici, di chiamare quanto mai ci è dato in sussidio della sacra dottrina ogni maggior corredo di scienze, che mal si dicon profane, se alle sacre posson servire di preambolo, di prova e d'illustrazione, tanto più crederemo di poter insistere a raccomandare, in quanto che ben lungi dall'essere nella Chiesa dimenticate, venivano a questi stessi giorni altamente proclamate dalla somma autorità del grande nostro Pontefice Pio IX, allorchè rivolgendo la parola all'Episcopato cattolico, convenuto in Roma per la solenne canonizzazione dei martiri Giapponesi e del beato Michele De Sanctis, ricordava i danni procacciati alla fede e alla stessa ragione umana dall'empietà e dalla falsa scienza, e dichiarava: essere necessario mantenere quel vincolo di congiunzione, che pose la volontà di Dio per l'uno e l'altro ordine naturale e soprannaturale (2).

<< Ah, ricordiamoci (conchiuderemo però colle autorevoli parole, che dettava già in alcune Considerazioni sulla Religione un nostro illustre e venerato sapiente) ricordiamoci che l'avversione del mondo alla Religione s'appiglia ad ogni pretesto: e quindi bisogna usare la più grande delicatezza, porre il più attento studio a non dare pretesti contro la Religione. Ora uno dei più forti è quello, che quei che la predicano, resistano a verità riconosciute; e vi resistano per motivi di religione. Certo gli uomini sono obbligati a conoscere la legge, a distinguerla dalle aggiunte che vi fauno gli uomini: ma perchè render loro più difficile quest'obbligo? Perchè non portarsi invece sul punto dove si uniscono la ragione e la religione, per mostrare a quelli, che cercano il vero, dove deggion fermarsi? La prevenzione, l'ostinazione, il fanatismo, l'impazienza

(4) Ved. Wiseman, Conferenze sulla connessione delle scienze colla rivelata Religione. (2) Allocut. 9 junii 1862,

dell'esame, sono spesse volte le armi, con cui si combatte la religione. Bisogna che esse non si possano ritrovar mai nelle mani di chi la difende; bisogna rassicurare quelli, che sono affezionati ad una idea generosa, che la Religione non dimanderà lor mai di rinunziarvi. Ah che i sacrifici, che essa esige, non sono mai di questo genere! Ma si dovrà sempre esporsi alla disapprovazione di taluno, di cui converrà combattere gl'interessi ed i pregiudizii? E quando mai simili scuse furono ricevute nella Chiesa? Si dovrà per questo stare al fatto delle opinioni correnti, ingolfarsi in istudi profani, mischiarsi alle discussioni degli uomini, senza prendere parte alle loro opinioni, senza lasciarsi strascinare dal loro entusiasmo? Eh! i Promulgatori della Religione non hanno essi operato di questo modo? non si sono fatti tutti a tutti, per guadagnar tutti a Cristo? Tutto bisogna intraprendere, sottoporsi a tutto, piuttosto che lasciar prevaler l'opinione che la Religione sia contraria ad una verità morale; piuttosto che permettere che i figli del secolo si vantino di essere in nulla più illuminati che gli allievi di Cristo e i ministri della sua Chiesa.

Ma a più stringente e solenne conferma di quanto abbiamo fin qui recato, onde persuadere agli ecclesiastici la necessità e l'obbligo che loro corre di animarsi a studi sempre più vigorosi e addatti ai bisogni de'tempi che ci stanno dinnanzi, ci cadono opportune le gravi e memorabili parole, che il Sommo Pontefice coglieva occasione di ripetere ed inculcare, rispondendo il giugno del passato anno agli auguri che dal sacro Collegio dei Cardinali gli venivano fatti, pel principio che Egli dava in quel giorno al venticinquesimo anno del suo Pontificato. Accolte con grato animo le felicitazioni degli Eminentissimi, il Supremo Gerarca elevavasi tosto alla considerazione dei mali che più travagliano a' nostri giorni la società cristiana, da lui indicati nello spirito predominante dell' emancipazione politica e religiosa, e per prima cagione di tali traviamenti segnalava l'ignoranza. Perchè (insisteva il Santo Padre): onde tutti questi errori se non dall' ignoranza? E a chi spetta illuminare queste genti che non di rado appartengono anche alle classi più elevate? A chi? se non a Me ed a Voi »? Super muros tuos posui custodes, tota die et tota nocte non tacebunt. » A Noi tocca togliere gli errori anche da alcune anime buone, le quali non conoscono la portata di certi principii e di certe false dottrine. Voi siete le Sentinelle costituite da Dio a vegliare per la salute del suo popolo »: Super muros tuos posui costodes, tota die et tota nocte non tacebunt. »

Rivista Univ. an. IX. vol. XVI.

Can. GIOVANNI FINAZZI.

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DELLA

SOCIETÀ POLITICA E RELIGIOSA

NEL SECOLO DECIMONONO

(Continuazione; V. vol. XV, pag. 325 e segg.)

CAPITOLO XXIX.

Separazione della Chiesa dallo Stato, e suoi sensi
onesti o dissolventi.

Sono ritardo di concordia parole efficaci, sonanti, ma equivoche e non definite, come diritti dell'uomo, eguaglianza, libertà, e ora separazione della Chiesa dallo Stato. Tali parole signoreggiano le menti per quella parte di vero che esse comprendono, ma perchè nate da un eccesso precedente, trasmodano all'eccesso opposto, e confondono col falso il vero, recando non la luce e la quiete, ma nuove discordie e nuove tenebre.

Che la separazione della Chiesa dallo Stato ritenga una simile natura, è provato dalla varietà di coloro che la invocano e la condannano. La invocano le anime più elevate e religiose per sottrarre la religione e il culto dalla secolare dominazione; e la invocano gli statisti politici per ridonare agli Stati la peculiare autonomia. Ma la invocano pure i razionalisti e gli irreligiosi d'ogni forma, per emancipare società e governi da ogni autorità e pensiero religioso. Onde sorgono altri a condannarla quale nemica del gran fondamento educativo, legislativo e sociale, che è il sovrano Imperativo enunciato dalla religione.

Sentenze così diverse arguiscono diversità di sensi e di fini; e sarà pregio dell'opera il cercarli e definirli.

Separazione può significare un divorzio, e questo a diversi gradi: divorzio di convivenza, d'interessi, e sino di riguardi e di affetti.

Divorzio di convivenza non può essere tra Chiesa e Stato, tra

credenti e non credenti, perchè tutti hanno comune la patria terrena, la cittadinanza e le sue leggi. Non può essere divorzio d'interessi, perchè la società è una, e la sua felicità è nella somma di tutti i suoi interessi soddisfatti e quieti. Nè infine può ammettersi fra Stato e Chiesa un divorzio di affetti, senza rassomigliarli a due viaggiatori villani, i quali di duro cuore e costretti alla stessa via, non mai si scambiassero una gentilezza, nè un soccorso, nè un consiglio.

Divorzio non può dunque ritrarre l'idea onesta di separazione fra la Chiesa e lo Stato. Ma vi ha di più, perchè il divorzio non esclude una legalità, e un patteggiare e un convenire delle parti; ed un equo provvedimento alla prole innocente. Laddove nella separazione alcuni ravvisano un fendente che si vibri senza riguardo alla moltitudine che è la famiglia comune della Chiesa e dello Stato. In questo senso la separazione riesce alla simulata sentenza che divideva il fanciullo tra le madri contendenti.

E di vero, supponiamo caduto il fendente che separi le due podestà nel modo accennato. La legge civile non pretenderà più di reggimentare i culti come gli eserciti; bandirà anche la libertà dei culti e delle coscienze. Ma fiera nella sua indipendenza, la legge civile non baderà neppure a rispettare i culti e le coscienze. Le rispetterà in alcuni incontri? Ed allora è chiaro che essa recede dal suo principio. Onde per la separazione, la legge si pone in questo bivio: o di camminare come cavallo sfrenato e senza riguardo, e rovesciare o affliggere le coscienze che essa incontra per la via; o di piegare il passo rispettando le credenze altrui, e disdire nel fatto la separazione, e ritenere il fendente scagliato da principio.

E non siamo alla fine. Perocchè segregando Cesare da Dio, ovvero lo Stato dalla religione, tutte le istituzioni sarebbero segregate da Dio. Regni e popoli, governo e famiglia, morale privata e pubblica, leggi d'imperanti, patti e commerci di cittadini, lettere e scienze, educazione ed insegnamento; tutta insomma la vita intellettiva morale e fisica, i progressi e le colture, rimarrebbero senza una professione esterna della Divinità, e a breve andare, senza la norma e l'impulso o il freno divino. Sarebbero conseguenze necessarie la prevalenza delle forze brutali nei governi o nelle moltitudini, la tirannia dall'alto o dal basso, le decadenze e la cadutà delle nazioni: socialismo, comunismo, internazionale parigina del 1871.

Verrà detto che si prescinde e non si vieta la religione. Sia;

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ma il prescinderne, è già un rimoverla dagli occhi, dalle abitudini, dalla vita; è come farne un abito disusato, una ciarpa che si ripone e svanisce. Prescindere dalla religione, non promoverla, non coltivarla, è un condannarla a perire, è un rompere col pubblico esempio il freno più efficace a domare le selvagge passioni. Consultate le statische delittuose, e diteci perchè tanta civiltà quasi rituale e di forma, si contristi coi più feroci delitti; e là dove si pretendeva spirar l'aura della civiltà, quasi si tocchi il fondo della dissoluzione. Entrate in quell'abisso, e lo vedrete scavato da leggi o insegnamenti e letterature senza una qualunque religione.

Fermiamoci all'insegnamento e alla educazione che ora si vorrebbero segregare dal catechismo e da ogni maniera di religione; conseguenza dell'acclamata separazione.

Leggi e Statuti civili non vanno oltre alla forma esterna e all'organismo materiale o politico delle nazioni. Ma le lettere, la filosofia, la scienza in universale, e le arti che ne sono la viva e sensibile rappresentazione, imprimono agli spiriti, agli intelletti e alle volontà, alle credenze e alle azioni, la loro buona o rea natura. Perciò nell'insegnamento di quelle risiede la potenza più vitale e spiccata delle società umane; e per conseguente le leggi governatrici dell'insegnamento si alzano a virtù quasi creatrice nelle mani dello Stato. Virtù egregia se ordina e promove di concordia tutte le facoltà morali e intellettuali all' acquisto del vero e del buono: forza mortifera all'incontro, se ella segregando Dio dalla scienza, questa abbandoni i criterii fondamentali della morale e della religione. L'esperimento è fatto, e giova ricordarlo.

Quando nel 1833 ad un Governo si domadava l'esclusione di ogni confessione religiosa dall'insegnamento, il Ministro avvertiva: « Guardate, o signori, ad un fatto più che mai visibile e minaccioso ai nostri tempi. Lo sviluppo intellettuale confortato dalla morale e dalla religione, è per verità eccellente: esso diventa un principio d'ordine, di regola, e nel tempo stesso una sorgente di felicità e di grandezza alle genti. Ma lo sviluppo intellettuale, da sè solo, e disgiunto dal morale e religioso, diviene un principio di orgoglio, d'insubordinazione, di egoismo e di sovvertimento alla nazione. » La Francia scherniva questo pietismo di Guizot; l'insegnamento religioso perdeva il campo, la Capitale della Francia che si riputava l'occhio, l'intelligenza, la testa delle nazioni civili, cadeva sotto le stragi, gl'incendi e lo sfacelo del 1871.

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