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nè mai ristette, finchè non rinvenne il nascosto Autore, il quale rinvenuto volle conoscere, e conosciutolo colle sue attrattive di tal maniera lo adescò, che gli fece abbandonare il Maestro della Legge, e la sua scienza, ed allo studio della poesia lo richiamò. Al quale studio egli consacrò di bel nuovo tutto se stesso, e varj drammi compose, che gli recarono gloria grandissima non senza qualche emolumento. Onde egli scrisse allora la Didone abbandonata e il Ciro riconosciuto, e poi tornato in patria colla Bulgarini, il Catone in Utica, l' Ezio, la Semiramide, l' Artaserse, l'Alessandro nell'Indie. I quali drammi levarono tosto altissimo grido, e il nome suo portarono per tutte le principali contrade, non solo dell' Italia, ma di tutta l' Europa. Viveva allora in Vienna alla corte dell' Imperadore Carlo VI. il famoso Apostolo Zeno onorato del titolo di Poeta, e di Storico Cesareo, coll' obbligo di somministrare al teatro della corte quei drammi, che dal medesimo Imperadore gli venivano imposti. Ma egli sentendosi già dagli anni, e dalle frequenti, e lunghe infermità domato, e ad altri più gravi studj, che quelli della poesia non sono, essendo da lunga stagione inclinato, procurò di avere il Metastasio a suo compagno in quel faticoso incarico, il che da lui agevolmente si ottenne. Nel 1729, fu il Metastasio chiamato a Vienna, eletto Poeta Cesareo coll' annuo stipendio di 3000 Fiorini, dove, posto ordine a' suoi affari, ed alla Bulgarini raccomandatili, andò l'anno seguente. Pervenuto in quella città fu con somma clemenza accolto da quell'Augusto Monarca, al quale rimase sempre caro non meno, che alla gloriosissima sua figlia Maria Teresa erede del suo amore per gli uomini dotti, come de' suoi stati, e della sua gloria. Alla quale clemenza di quelli augusti suoi Mecenati verso di lui si mostrò egli gratissimo rimanendo ad essi avvinto finchè visse con fortissimi vincoli, non dirò solo di riconoscenza, ma ancor di amore. Per la qual cosa non v'ebbe impeto d' avver

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sa fortuna, che quella Imperiale famiglia affliggesse, al quale non si sentisse anch'egli oppresso da profonda melanconia, e da acerbissimo dolore. Laonde quando l'Imperadore Carlo VI. fu da immatura morte tolto dal mondo, quando l'Imperadrice Maria Teresa assalita da un mortale vajuolo pose per alcun tempo tutti i suoi sudditi in grave timore della sua vita, quando le armate nemiche, secondo le varie vicende delle battaglie, sconfissero le Austriache nelle diverse guerre, che hanno tormentata la Germania, e in altre simili calamitose circostanze fu il povero Metastasio da tale afflizione colpito, che ne sofferse gravissime malattie, le quali debilitarono grandemente la sua salute. I quali tristi effetti del suo dolore furono così grandi, e così veementi, che non poterono mai esser vinti, e superati neppure dalla consolazione, che gli recavano i lieti avvenimenti e i favori, con che la fortuna seconda frequentemente sollevava, e rallegrava la medesima famiglia Imperiale. Conobbe presto il Metastasio, che la sua debole, e vacillante salute richiedeva da lui una cura grandissima, e siccome le sue malattie erano provenute da un soverchio irritamento de' nervi, credè di non poter ritrovare altro miglior rimedio che condurre una vita quieta, e tranquilla, la quale calmando le sue troppo tumultuose passioni ne impedisse, o almeno diminuisse gli effetti. Quindi egli si diede a fuggire il clamore, e lo strepito di quello, che volgarmente si chiama gran mondo, e cominciò a seguire una novella foggia di vivere sempre uniforme senza mai dipartirsene, o cambiarla. Tutti i giorni andava in casa della Contessa d' Althan, dove si tratteneva dalle undici ore della mattina fino alle due dopo mezzo dì, e la sera dalle otto fino alle dieci e dopo la morte di lei impiegò questo tempo col Conte Perlas Canonico di Breslavia. Dalle 6. ore fino alle otto della sera stava nella propria sua casa, dove col Barone de Hagen Presidente del Con❤ siglio Aulico dell' Impero, e col Conte Canale In

viato di S. M. il Re di Sardegna leggeva continua-mente gli Autori classici Greci, e Latini, i quali sino dalla sua tenera età egli amò sempre moltissimo e perchè neppure a questa lettura mancasse un certo metodo, li leggeva sempre per ordine cronologico, e quando li aveva tutti forniti col medesimo ordine li ricominciava. Che più? Fino nelle più picciole azioni, e nelle più indifferenti egli seguì questa medesima uniformità. Quindi fu osservato che tutti i dì di festa ascoltava la messa sempre alla medesima ora, nella medesima chiesa, e nel medesimo luogo. Si levava del letto, studiava, desinava, e si coricava sempre all' ora medesima; e cosi va dicendo di tutte le altre sue azioni. Tanto diventò egli amico dell'ordine, e del metodo in ogni cosa. Quindi talora scherzando soleva dire, che temeva l' Inferno, perchè è un luogo, ubi nullus ordo, sed sempiternus horror inhabitat.

Questo tenor di vita egli osservò continuamente sino all' anno 1782, nel quale sorpreso da violentissima febbre, ricevuta l'apostolica benedizione, la quale il sommo Pontefice, che allora era in Vienna, gli mandò per mezzo del suo Nunzio Monsignor Garampi, a' 12 di Aprile cessò di vivere carico di anni, e di gloria. Nell'anno 1765. aveva fatto testamento, col quale aveva lasciate al Sig. Giuseppe Martinez (in casa di cui dimorò finchè visse in Vienna) tutte le sue sostanze consistenti in molti mobili, una copiosa, e scelta Libreria, moltissimi doni ricevuti da più, e diversi Principi, e un fondo di cento mila fiorini, coll' obbligo di dare alle due sue sorelle ventimila fiorini per ciascheduna : e a questo testamento nel 1780. aggiunse un codicillo, col quale lasciò due mila fiorini per ciascheduno de' tre fratelli del medesimo Sig. Martinez. Egli era avvenente anzi che no, facondo, e bel parlatore, nemico degli scritti satirici, e circospetto nel parlare d'altri; e perciò nel corso di oltre 50 anni, che visse in Vienna, non ebbe mai alcuna

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inimicizia. Amò la sua patria, quantunque essa da principio non applaudisse alla sua virtù, nè la premiasse. Fu d' animo nobile e generoso, siccome si conobbe in tutto il corso della sua vita; ma principalmente allora che dopo la morte di Marianna Bulgarini sentendo che essa lo aveva fatto erede delle sue sostanze, le quali aggiugnevano a 25000 scudi, lasciato solamente l'usufrutto a Domenico Bulgarini suo marito, egli ricusò questa eredità. Fu, come a tutti è noto, poeta chiarissimo, e scrisse poesie liriche e drammatiche; ma le prime non gli procacciarono gloria uguale alle seconde. Sono i drammi del Metastasio perfette tragedie, alle quali se ben si considera niuna manca di quelle leggi, che ad esse prescrivono gli antichi, e i moderni Legislatori della poesia. Talchè a i precetti, che egli con somma erudizione ha dati nell' estratto della poetica d'Aristotile, si potrebbero porre gli esempj tratti da' suoi drammi medesimi. Sebbene però questo pregio sia certamente grandissimo, pure non è a mio credere in lui il maggiore; nè quello, che più degli altri serve a rendere le sue opere maravigliose e a ciascun ordine di persone accette sopra quelle di ogni altro scrittore. Ma la maniera di trattare gli affetti, e lo stile è in esso tanto singolare, che non saprei qual altro poeta potesse in ciò paragonarglisi: e ciò, siccome io giudico, è quello principalmente che rende i suoi drammi quasi sirene siccome de' versi d' Omero diceva Eustazio, e di tali allettamenti gli riempie, che non può chiunque li legge in alcun modo astenersene e tutto non sentirsi commosso, e tal volta forse ancor piangere, se non è di animo rozzo oltre misura, ed incolto. Il che è opinione tanto radicata nelle menti di tutti, che il Metastasio sia perciò oltremodo maraviglioso, che troppo inutil cosa sarebbe il volerlo qui dimostrare. La qual maniera di trattare gli affetti egli poi l'adorna con un certo suo stile nobile e chiaro, ma nel tempo medesimo, così molle, e tenero, che nulla più.

E quantunque sieno molti altri poeti, i versi de quali sono bellissimi e per nobiltà d'immagini e per eleganza d'espressioni, pure rare volte se ne vedono di così dolci, e così affettuosi, come son quelli dei drammi del Metastasio. Quindi non dee recar maraviglia il plauso grandissimo, che sempre riscossero le opere sue drammatiche: del qual plauso se non ne facessero pubblica, e solenne testimonianza le voci di tutti, ben la farebbono le moltissime edizioni, che se ne sono fatte, le quali tante sono, che troppo lungo sarebbe il volerle qui noverare; le versioni, che ne sono uscite in luce nella lingua Francese, nella Tedesca, nell' Inglese, e per sino nella Greca volgare ; e finalmente i ricchi frequenti regali, che per esse egli ottenne da più, e diversi Principi, dagli Imperatori Carlo VI. e Francesco I, dall' Imperatrice Maria Teresa, da Ferdinando VI. Re di Spagna, e dalla Regina Elisabetta.

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Egli è vero però, che, siccome a Omero, così a Metastasio non sono mancati i suoi Zoili ; i quali hanno tentato co' loro scritti di scemare a lui quella lode che tutti gli concedono. Ma e questi son pochi, e le critiche loro appena dopo esser nate sono tosto cadute in dimenticanza. Resta ora solamente a desiderare, che l'esempio del Metastasio risvegli ne' cuori de' nostri Italiani una lodevole emulazione, e li stimoli a procacciarsi quella gloria, che egli ha ottenuta. Ma temo, che, sebbene questo possa, e debba desiderarsi, non così agevolmente si possa sperare; e dubito forte, che, siccome i Greci ebbero un solo Omero, i Latini un solo Virgilio, così noi Italiani dovremo esser contenti d'un sol Metastasio.

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