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GLI ORTI

ESPERIDI.

INTERLOCUTORI

VENERE.

MARTE.
ADONE.

EGLE, una delle Esperidi amante di

PALEMONE Nume marino.

La Scena si finge negli Orti Esperidi sulle sponde del mare Etiopico.

Ven.

PARTE PRIMA.

Venere, e Adone.

FSul fortunato suolo,
Mermate ormai, fermate

Amorose colombe, il vostro volo.
Gia del rosato freno

Seguitando la legge

Dall' odorato oriental soggiorno,

Fin dove cade il giorno,

Tutta l'eterea mole

Abbastanza scorreste emule al Sole.

E tu,

dolce amor mio,

Scendi, e meco ne vieni,

Lungi dall' odio, e dal furor di Marte,
Come del cor, della mia gloria a parte.
Ado. Il tuo desir mi è legge.

Ma dove, o Citerea, dove mi guidi?
Forse son questi i lidi

De' fortunati Elisi? O l'aureo tetto,

Dove, allorchè tramonta,

Forse Febo nasconde i suoi splendori?

O dell' ampio Ocean sono i tesori ! Ven. No, mia vita; son queste

D' Atlante le foreste,

Ove da Cipro alta cagion mi guida.
Qui la famosa pianta,

Premio di mia bellezza,

Tutta d'oro biondeggia, e al ricco peso
Delle lucide frutta incurva i rami.
Vedi, che in guardia del felice loco
Veglia il Drago custode.

Vedi, come geloso

Di quel peso, che a lui fidaro i Numi,
Non lascia un sol momento al sonno i lumi;

E par quasi che voglia

Render quella mercede,

Che può con l'opra, e con l'umile aspetto, Che l'abbia Atlante a tanta cura eletto.

Ado. Mia Dea, quanto ti deggio,

Poichè sol tua mercè tanto mirai!

Ven. Adone, ah tu non sai

Quanto amante son io!

Ado. Il so, bell'idol mio;
E sol talor m' affanno,
Perchè non ha il mio core

Ricompensa, che basti a tanto amore.

Se il morir fosse mia pena,
A colei, che m'incatena,
Offrirei l'alma ferita,

E la vita per mercè ;
Ma se allor, che per te moro
Son felice, o mio tesoro,
Dolce sorte è a me la morte,
Non è prezzo alla tua fe.

Ven. No, no; vivi felice, e per me vivi.
Sai che t' adoro, e t'amo

E più da te, che la tua fe, non bramo.
Ado. Ma chi mai sarà quella

Vezzosetta donzella,

Che ver noi s'incammina? Ven. Egle è colei,
D' Espero amata figlia,
E del loco felice
Leggiadra abitatrice.

Egle, e detti.

iva del terzo Cielo,

Egle. D'Bella madre d' Amor, diletto, e cura

Dei Numi, e de' mortali,

Al cui placido lume

Ebbre d'alto piacere

Aman l'onde, e le piante, ardon le sfere;
Dimmi, se tanto lice,

Qual mai ragion trasporti

Così ricco tesoro

Dagli orti di Amatunta al lido Moro?

Ven. Bella Ninfa gentile,

Non sai, che questo è il giorno,
In cui scendendo Elisa

Dal soggiorno più lucido del Cielo
I suoi raggi raccolse in mortal velo?
Egle. Il so. Ven. Non sai ch' io soglio
Tributaria cortese

Qualche dono offerirle,

Qualor l'anno volubile conduce
Di questo di là fortunata luce?

Egle. Se a sì bell'opra aspiri,

Come mai le tue piante

Calcan dell' Istro in vece il mar d' Atlante?

Ven. Perchè dell' aureo tronco,

Per cui dal dì della gran lite Idea

Di Pallade, e Giunon più bella io sono,

Un ricco germe or vo' recarle in dono.
E s'altre volte è stato

Di ruine, e di sdegni
Ministro a tanti regni,
Or da me vo' che prenda
Qualità, per cui renda

D' Augusta il sen fecondo,

Bella prole all' Impero, e pace al Mondo.

Egle.

Veggio ben io più belle,

Dea figlia del mar,

Le stelle balenar

Degli occhi tuoi.

Teco sorgendo al paro
Febo, che porta il dì,
Men chiaro si partì

Dai lidi Eoi.

Ven. Non più; fia tempo ormai,

Che per l'aurea contrada

Solitaria men vada

Del ricco peso a impoverire i rami. Ado. Deh mio Nume, se m'ami, Lascia che teco venga

Compagno a sì bell' opra il tuo fedele. Ven. Fuorchè a Ciprigna sola,

Anima mia, non lice,

Neppure ai Numi stessi,

Che alla pianta felice altri s' appressi.

Resta, e per fin ch'io torni

Egle teco soggiorni.

Egle. Mi fia dolce ubbidirti. Ado. Ah pensa almeno,

Che se da te diviso

Io resto un sol momento,
La vita è mio tormento.
Ven. E tu pensa, che solo
Per sì bella cagione
Potrebbe Citerea lasciare

Quel rio dal mar si parte
Per le nascoste vene;
Va per ignote arene,
Ma poi ritorna al mar;

Egle. Fo

Adone.

Così mi parto anch'io ;
Ma poi dell'amor mio
Ritornerò fra poco
Il foco a vagheggiar.

Egle, e Adone.

ortunato Garzone,

Che sì nobil ferita accogli in seno,

Non ti lagnare'; anch'io

Ardo, e vivo lontan dall' idol mio.

Ado. Chi può dal suo bel foco

Lunge passar qualche momento in pace,
O che amante è per gioco,

O che non arde all'amorosa face.
Egle. Sebben lieta mi vedi,
Forse, più che non credi,
Sospira per amor l'anima mia.
Ado. E fedele è il tuo bene?
Egle. S'ora su queste arene,
Siccome suoi, ritorna,
Tu stesso mi dirai;

Amante più fedel non vidi mai.
Così non torna fido

Quell' augelletto al nido
La pargoletta prole
Col cibo a ravvivar;

Come ritorna spesso

Fedele il mio bel Sole,

Del cor, che langue oppresso,
La pena a consolar.

Ado. Taci; s' io non m'inganno,

Un Nume a noi s' appressa.

Egle. Alla luce funesta,

Che gli lampeggia in viso,

Al ciglio irato, e fiero,

Adone, io lo ravviso, è il Dio guerriero. Ado. Aime! dove mi ascondo?

Egle. No, t'arresta, e seconda i detti miei. Ado. Citerea, mio bel Nume, ah dove sei!)

Mar.

F

Marte, e detti. Palemone a parte.

elici abitatori

Delle sponde romite,

Deh cortesi mi dite

Se per sorte raccolse

Il volo alle colombe fuggitive

La vezzosa Ciprigna in queste rive. Egle. Come, o gran Dio dell' armi,

Tra l'erbe non ravvisi

La cerulea conchiglia, a cui d'intorno

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