Obrazy na stronie
PDF
ePub

lo

Ma comunque il passo s'intenda, non potrà intendersi mai, nè potrà mai sostenersi che il soggetto delle imitazioni, il quale può essere, ed è per più comune a diverse arti imitative, abbia a servir di distintivo delle arti fra loro, siccome lo è fra i professori d' un'arte medesima. Tutto ciò, che può spiegarsi con parole sottoposte alla legge de' metri, tutto è materia del Poeta: tutto ciò che può rappresentarsi coi colori sul piano, tutto è materia del pittore. Può essere così il Poeta come il pittore, eroico, pastorale, grande, umile, serio, o giocoso; possono entrambi valersi dell' invenzione, e del vero e si studiano entrambi di esprimere gli affetti umani, e di abbellir la natura. Or se non si distinguessero per li differenti mezzi,o siano istromenti de' quali si vagliono per far le loro imitazioni; per qual altra cosa mai sarebbero le arti loro distinte? Che sarà dunque un eccellente Romanziere? ( mi dimanderà Dacier ) Sarà a parer mio un eccellente narratore d'avvenimenti inventati, coi quali imita gl'istorici narratori di avvenimenti veri. Ma non basta la sua imitazione per annoverarlo fra' Poeti poichè se ogni specie di poesia è imitazione; ogni specie d'imitazione non è perciò poesia. Questa, per esser tale convien che si vaglia imitando del suo essenziale distintivo, cioè dell'arte incantatrice, che obbliga le parole ad ubbidire alle leggi del metro, del numero, dell'armonia: e compone così una propria sua lingua, ammirabile per le difficoltà, che convien superar nel formarla: e lusinghiera, e soave per quella specie d'interno canto, che dalle regolari sue proporzioni necessariamente risulta. Ma se si dovesse intendere qui Aristotile come Dacier l'intende, sarebbe ben difficile il ritrovare scrittore, che non fosse Poeta. Dovremmo annoverare fra l'epiche poesie non solo i dialoghi di Platone, ma quelli di Luciano, la Zucca del Ďoni, la Circe del Gelli, il Filocopo, la Fiammetta ed il Decamerone di Gio. Boccaccio, e tutti i nostri No

:

vellatori ed escluder poi dal numero de' poeti Virgilio nelle sue divine Georgiche: bestemmia assai maggiore, che il dire che gli Espositori d'Aristotile, e forse Aristotile istesso abbiano potuto una volta allucinarsi, e massimamente quando parlano per semplice teorica d' un'arte non mai da lor praticata. E pure eruditissimi Critici, degni di rispetto per le infinite loro cognizioni, adottano paradossi così irragionevoli. Tanto è vero che i naturali difetti del nostro giudizio non si correggono dalla dottrina: anzi si rendono per lei sempre più visibili, e grandi. Se fos- se stata men vasta la portentosa supellettile letteraria del celebre Padre Arduino, e di non pochi altri, per gl'istessi motivi, e stimabili al par di lui, e riprensibili Critici, non si sarebbero dilungati a tal segno da' giusti limiti del ragionevole comune discernimento. Ma ogni linea, che solo alcun poco dalla sua paralella declini, tanto sempre più se ne allontana, quanto altri più la produce.

Termina Aristotile questo primo capitolo della sua Poetica facendo nuovamente riflettere che la poesia si vale nelle sue imitazioni del metro, del numero e dell'armonia: talvolta insieme, come avveniva ne' Ditirambi, e ne' Nomi, che cantavansi in onor di Bacco, e d'Apollo: e tal volta or separati, or congiunti, come succedeva nelle tragedie, e nelle commedie: nelle quali nei diverbj (che sono i nostri recitativi) si ubbidiva alla sola legge del metro: e ne' cantici, strofe, antistrofe, ed epodi, o cantati da tutto il Coro, o da un solo istrione, si faceva uso anche del numero, e della melodia: come appunto a' di nostri, e ne' moderni cori, e nelle strofe, che chiamansi ora ariette, per immemorabile, e visibilmente a noi dall'antico teatro tramandato costume universalmente si pratica.

Nè solo armonico, e numeroso convien che sia (a creder mio) il discorso, che impiega il Poeta imitatore, ma puro insieme, nobile, chiaro, eleganbe, e sublime. Non si vale mai l'esperto statuario

per le grandi sue imitazioni del tufo, o d'altri fragili come questo, ed ignobili sassi; ma costantemente sempre de' più eletti marmi, e più duri: ed il savio Poeta egualmente (quando il principale oggetto ch' ei si è proposto, non sia per avventura qualche bassa, giocosa, o scurrile imitazione) elegge, ed adopera sempre ne'suoi lavori cotesta colta, elevata, incantatrice favella, capace di cagionar diletto con le sole sue proprie bellezze, ancor che non fosse imitatrice d'altro che del natural discorso: e prende il difficile impegno di obbligarla a servir sempre alle sue imitazioni: e di non abbandonarla mai, benchè tal volta costretto ad esprimere le cose più umili, e più comuni. Onde se poi per correr dietro al maggior verisimile, ad onta dell' impegno già preso, egli avvilisce lo stile; cade nell' error puerile d' uno sconsigliato scultore che, per dare alle sue statue maggior somiglianza col vero, s' avvisasse di colorirne il marmo, & le fornisse d'occhi di vetro.

[ocr errors]

La favella sempre grande, sempre ornata, e sempre sonora di Virgilio, e di Torquato han riportata finora, e riporteranno eternamente la maggior parte de' voti, mercè quel difficile, e perciò mirabile uso che hanno essi saputo farne nell'imitar la natura. E che che dicano, o abbian saputo dire molti de'nostri, per altro eruditissimi, Critici, per farci venerare come squisiti tratti di maestra imitazione le frequenti bassezze, le negligenze, le ineguaglianze, le mancanze d'eleganza, e d'armonia, e la fastidiosa copia delle licenze, che s'incontrano in alcuni, eccellenti nel resto, così moderni, come antichi Poeti; non giungera mai a costringere il buon senso universale a compiacersi degli errori, nè a contar fra i pregj i difetti.

CAPITOLO II.

Dei diversi oggetti delle imitazioni. Difficoltà di decidere che abbia voluto intendere Aristotile dividendo i caratteri imitabili in migliori, peggiori,

e mezzani.

Aristotile in questo secondo capitolo la seSpiega a, que la quale le imitazioni si distinguono fra loro. E questa vuol che nasca dalla differenza delle cose, che prendonsi ad imitare. Volendo (dic' egli) imitar uomini, conviene imitarne le azioni, per le quali appariscono le virtù, ed i vizj loro: quindi gli oggetti dell' imitazione sono o i migliori, o i peggiori di noi, cioè del comune degli uomini, o quelli che a noi rassomigliano. Asserisce che questi tre diversi gradi di migliore, peggiore, o simile, cioè mezzano, possono darsi in ogni specie d'imitazione. E non solo ne' componimenti ne' quali si vagliono i Poeti di tutti gli ornamenti della poesia, come ne' Ditirambi, e ne' Nomi; ed in quelli ne' quali non s'impiegano se non se le parole sottoposte al solo metro, come sempre avviene nell' Epopèa, e di tratto in tratto ne' drammi ; ma nel ballo ancora, ed in tutte le arie della tibia, della lira, e di qualunque altro istromento sonoro. Poichè ne' racconti, che s'introducevano ne' Ditirambi e ne' Nʊmi, potevano esser visibili le tre proposte differenze. Omero, ed i tragici secondo Aristotile imitano i migliori i Comici, e gli scrittori di parodie imitano i peggiori e v' era chi imitava gli uomini quali essi sono, come asserisce che faceva un Poeta Ateniese, detto Cleofonte, non so se Epico, o Tragico: ed ogni ballo finalmente, ed ogni aria di qualunque stromento ha il suo proprio, o nobile, o mezzano, o basso carattere. Or, dalla maniera con la quale Aristotile si esprime, pare indubitato che coteste differenze di migliori, peggiori, o simili debbano secondo Tomo IV.

17

lui esser considerate a proporzione delle virtù, de' vizj delle persone rappresentate. Per la malvagità, e per la virtù differiscono tutti i costumi fra loro (14); ma gli esempj ch' ei ne propone non lo confermano. Ei dice che i Tragici, ed Omero imitano i migliori: ma ne' Tragici antichi per lo più non si trovano che scellerati: ed Omero medesimo non solo in Tersite, in Dolone, ed in Iro imita uomini viziosi; ma ne' principali Eroi de' suoi poemi, Achille, ed Ulisse, non esalta altre virtù, che la portentosa forza nel primo, e la somma destrezza, specialmente nell' ingannare, nel secondo. Onde potrebbe credersi che le differenze proposte dal nostro Filosofo non debbano regolarsi dalle virtù, o da'vizj; ma dalle condizioni, o sian gradi elevati, mediocri, o umili delle persone imitate: spiegazione, che si accorda perfettamente con tutto quello, che ci rimane ancora degli Epici, e de' Drammatici greci: poichè i personaggi principali de poemi Eroici, e delle tragedie loro sono sempre grandi, e reali: ed umili o mezzani quelli delle loro commedie. E chi volesse ostinarsi a conciliare con gli esempj, che adduce Aristotile, la graduazione delle tre proposte differenze a tenore delle virtù, e de' vizj, e non dello stato delle persone, converrebbe che sapesse prima esattamente qual relazione si trovi fra l'idea, che abbiam noi presentemente della virtù, e quella che forse se n' eran formata i Greci, rispetto agli Eroi loro da poema, o da teatro, ne' quali pare che l'enorme forza del corpo sia l'unica virtù, che supplisce in essi il difetto di tutte le altre. Errore che non permette Aristotile medesimo, quando c'insegna morale, e non poesia; poichè allora ei ci dice : noi chiamiamo virtù umana, non quella del corpo, ma quella dell'animo. (15) Ma questo ragguaglio sarebbe assai malagevole poichè le virtù de loro Ercoli, e deʼloro Tesei, violenti per ordinario, ingiusti, licenziosi, temerari, sanguinarj e crudeli, non sono punto analoghe a quelli abiti ragionevoli dell' animo, che noi reputiamo ora unica

« PoprzedniaDalej »