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A te vicino

D'amor mi moro.

Non ho mai bene

Lontan da te.

In amor chi mai finora

Chi provò destin più fiero, Più tiranna crudeltà? La beltà, che m'innamora, Mi disprezza prigioniero, Nè mi soffre in libertà. Nel mirarvi, o boschi amici, Sento il cor languirmi in sen; Mi rammento i dì felici, Mi ricordo del mio ben. Al bosco, cacciatori ;

Già il Sol dall' onda uscì: Ritorneremo a Clori Sul tramontar del dì. Ti lascio, Irene, addio ; Non ti scordar di me: Conserva in te, ben mio, Chi sai che vive in te. S'io t' amo, o Dio, mi chiedi, Nice, mio dolce amor! Per te morir mi vedi E mel dimandi ancor? Fra le belle Irene è quella,

Che in bellezza egual non ha,
Ma che val che sia si bella
Se non sa che sia pietà ?
Sei tradito, e pur, mio core,
Nel tuo caso ancor che fiero,
Non sei degno di pietà.
Non di Nice, è tuo l'errore,
Che da un sesso menzognero
Pretendesti fedeltà.

Belle Ninfe, è nato Aprile,
Non è tempo di rigor :
Già ripiglia il suo fucile,
La sua face accende Amor.

Tu sei gelosa, è vero,
Ma ti conosco, Irene:
È gelosia d'impero,
Non gelosia d' amor.
Non ami il prigioniero,
Ami le sue catene ;
Spiace al tuo genio altero
Che a te s'involi un cor.
Voi sole, o luci belle,
Amor per me formò
Voi sempre, amate stelle,
Voi sole adorerò.

Benchè offeso, ingrata Nice,
Non ti voglio abbandonar:
Tu mi scacci, e Amor mi dice,
Ch'io non lasci di sperar.

Se tu mi sprezzi, Nice, s'io t' amo,
Rei diventiamo d' eguale error.
Ne Tirsi è degno di tanto sdegno:
Nè degna è Nice di tanto amor.
Sempre sarò costante,

Sempre t'adorerò.

Benchè spietata,

Mio ben ti chiamerò;

E sfortunato ancor, ma fido amante,

Sempre sarò costante

Sempre t'adorerò.

Perchè, se mia tu sei,
Perchè, se tuo son io,
Perchè temer, ben mio,
Ch'io manchi mai di fe?
Per chi cangiar potrei,
Per chi cangiar desio,
Mio ben, se tuo son io,
Se il cor più mio non è ?
Perchè, vezzosi rai,

Tanto rigor, perchè?
Non troverete mai

Chi v' ami al par di me.

Non mi sprezzar, Licori,
Non mi sprezzar così:
Forse de' tuoi rigori
Dovrai pentirti un dì.

A chi v❜ ama

o Pastorelle,

Voi rendete crudeltà!

Ma qual pregio è l'esser belle, Se negletta è la beltà? Quel cor, che mi prometti Se tutto mio non è, Donalo ad altri affetti, Non lo serbar per me. Va' dove Amor ti guida, Che l'alma mia fedel, Pria che trovarti infida, Ti soffrirà crudel.

FINE.

OGGETTO

DELL' ESTRATTO

DELL' ARTE POETICA D'ARISTOTILE,

E DELLE CONSIDERAZIONI SULLA MEDESIMA.

credito di Aristotile stabilito, e difeso dalla concorde, e costante venerazione di quasi ormai ventidue secoli; quando ancor non fosse dovuto alla mirabile estensione de' suoi sublimi talenti, ed alla sua,

in ogni sorta di scienza, portentosa vastità di dottrina; basterebbe, perchè dovesse esigersi dalla universale gratitudine di tutti i posteri, la sola considerazione d'esser egli stato il primo di tulti gli antichi fin qui da noi conosciuti Filosofi, che abbia saputo fare una chiara, minuta, ed incontrastabile analisi del raziocinio umano: e che, armandola di distinzioni, e divisioni, come di sicuri, e ad esso necessarj istromenti, gli abbia scoperto il cammino, pel quale procedendo ci non possa traviare, e smarrirsi nelle ricerche del vero: onde il ricorrere in checchesia ad un tale oracolo, per tutti è cura lodevole, ma è dovere in‹lispensabile specialmcate per i Poeti, ai quali ha egli particolarmente somministrate le principali norme dell' arte loro.

Persuaso dunque fin dagli anni più floridi dell'età mia di questo inevitabile nostro dovere, proposi d'instruirmi fondamentalmente de' dogmi poetici d'un tanto Maestro: e mi parve allora sanissimo consiglio l'attignerli puri ed illibati dalla prima loro sorgente originale, a costo di qualunque fatica: ma inciampando poi ogni momento nel corso del mio lavoro, quà nella dubbiezza d'una regola capace di doppio senso, là nell'oscurità d'una per me misteriosa espressione, ora in un precetto apparente»

mente ad un altro contradittorio, ora in una nuova definizione dello stesso soggetto da quella che l'avea preceduta totalmente diversa, ed in cento ad ogni passo per la mia limitata facoltà indissolubili nodi; m' avvidi alfine con somma mia mortificazione essere stato inconsiderato trascorso di temerità giovanile l' inoltrarmi in così disastroso, ed intricato cammino senza scorte, e compagni. Ricorsi dunque ai più dotti, ed accreditati Espositori dell' Aristotelica Arte Poetica e sarei ad essi ingrato se candidamente non confessassi d' esser loro debitore dell' intelligenza del senso letterale in più d'un oscuro passo del testo: ma sarei altresì ben poco sincero, se non asserissi nel tempo istesso, che, rispetto al mio principal bisogno di provvedermi di chiare massime, e di regole sicure per non errar nella pratica, mi ritrovai dopo così laboriose ricerche, con sensibile mio rincrescimento, assai meno illuminato: anzi infinitamente più che per l' innanzi indeterminato, e confuso.

Ed in fatti chi potrebbe mai non confondersi fra i continui dispareri d' uomini, tutti per altro degnissimi di rispetto per la profonda loro dottrina ? Chi non perderebbe per istanchezza, e fastidio tutto il fervore d'instruirsi fra gl' inutili, e prolissi d' alcuni Metafisici, e Scolastici trattati, co' quali suffocano quell' arte che promettono d'illustrare? Chi saprebbe difendersi da una giusta indignazione, quando, ricercando ne' Greci Drammatici, ed in Aristobile medesimo i passi citati da alcuni de' più rinomati Critici come fondamenti delle sovrane loro decisioni, li ritrova ( come a me bene spesso è avvenuto) opposti per lo più per diametro alle asserite opinioni? Ed oltre a tutto ciò come mai nella pratica prudentemente fidarsi ai pareri d' uomini tanto forniti di merce letteraria, quanto poveri, e nudi affatto d'ogni esperienza teatrale, e ben persuasi ciò nonostante della loro magistrale infallibilità? Lo stesso Dacier, il più esat

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