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Che impugnar ne' miei tetti un nudo acciaro
E ribelle attentato? E che impunito

Lasciar non deggio... Mar. Ah Cesare, un disprezzo
Quel trasporto non è. T'è fido il Prence,
Ti rispetta; t'adora,

Nè d' oltraggiar la maestà pretende.

Atenaide l'accende. Ognuno è reo,

Signor, se questa è colpa: e merta ogni almá
Titolo di rubella,

Se non trova perdon colpa sì bella.

Ast. Eccola appunto. Il suo voler palesi
Ella stessa una volta.

SCENA ULTIMA. Tutti.

Che si lenta,

Pul. Atenaide, mi segui? Ad un ti guido

Sposo degno di te. Quel fosco ciglio,
Quel mesto volto e basso

Rasserena, e solleva, Aten. (Oh duro passo!)
Pulc. L'oggetto de' tuoi voti, (1)

De' merti tuoi la ricompensa, o Duce,

Eccoti in Atenaide: ecco il momento

Che possessor ne sei. Teod. ( Questo è tormento!) Marz. Tanto i consigli miei,

Principessa, disprezzi? Pulc. I tuoi consigli
Se son degni di lode, io defraudarne

L'autor non deggio. Un meritato acquisto

Atenaide è per te : l'arbitro or sei

Tu degli acquisti tuoi. Mar. Come! E poss' io (2)
Dispor della sua destra?

Pulc. Si, Duce il limitar le tue ragioni

:

Torto sarebbe, e violenza ingiusta.

Marz. Adorabile Augusta, ah sia permesso (3)

Al più fedel de' tuoi vassalli il grande

Onor del primo omaggio.

Aste. Stelle! Aten. Che udii! Teod. Germana,

Qual enigma è mai questo?

(1) A Marziano. (2) Con premura. (3) Ad Atenaide

con trasporto.

Come Augusta è Atenaide ? Pulc. Ella t'adora,

Tu l'ami, il Duce amico

La cede a te: dell'idol tuo diletto

Ricevi in lieto volto

La man, ch' io t'offro: ed ogni enigma è sciolto. Teod. Dunque... Aten. Ove son!

Teod. Dunque è Marzian capace

Di si gran sagrificio? Marz. Ah tu lo fosti
Signor, prima di me. Teod. Ma qual sarai
Privo d'un tal tesoro ? Marz. Il più felice
Sarò d'ogni vivente. Il suo riposo
Godrà tranquillo il mio

Benefico Sovran: vedrassi in trono
La virtù, la bellezza; astro si puro
Illustrerà la terra

Con la ridente sua luce natia :

E dir potrò, così bell' opra è mia. Aten. Oh eccelso! Teod. Oh grande! Pulc. Oh Eroe sublime! Aster. Io sono Vinto, o Marzian. Nelle tue scuole i suoi Impeti a regolar quest' alma impara ; E or teco alle bell' opre anela a gara. Teod.Atenaide? Ate. Teodosio? Teo. Il dolce istante È giunto alfin... Pulc. Sospendansi per poco Le tenerezze, Augusti Sposi. Andiamo

Del suddito Oriente

Col lieto annunzio a consolar la fede:
E sia del vostro affetto

Il pubblico contento il primo oggetto.

CORO.

Non è Amor che rei ci rende :
Non è amor, che l'alma offende,
E che a barbara condanna

Vergognosa servitù :

Agli affetti, o giusti, o rei,

Che ritrova in ogni petto,
Si conforma, e prende aspetto
O di colpa, o di virtù.

TRADUZIONE

DELLA SATIRA III.

DI GIOVENALE

Scritta dall' Autore in Vienna l' Anno 1739.

Benchè afflitto al partir d'un vecchio amico

e lodo

Del mio diletto Umbricio, approvo,
Che ad abitar la desolata Cuma,
Che a far sen vada alla Sibilla il dono
D'un nuovo cittadin. Cuma è la porta,
Che guida a Baja: amena spiaggia è Cuma
Atta a un grato ritiro: ed io prepongo
Anche Procida a Roma. E in ver che mai
Tanto infelice, abbandonato tanto
Veder si può, che peggior mal non sia
Temer gl' incendj, impallidir de' tetti
All' assidue ruine, a tanti rischj
Della Città trovarsi esposto, e al folle
Cicalar de' Poeti a' giorni estivi ?
Or sopra un carro sol la casa intera
Componean dell' amico ed egli intanto

:

Quamvis digressu veteris confusus amici Laudo tamen vacuis quod sedem figere Cumis Destinet, atque unum civem donare Sibyllae. Janua Bajarum est, et gratum litus amoeni Secessus. Ego vel Prochytam praepono Suburrae Nam quid tam miserum, et tam solum vidimus,ut non Deterius credas horrere incendia, lapsus Tectorum assiduos, ac mille pericula saevae Urbis, et Augusto recitantes mense Poetas ? Sed dum tota domus rheda componitur unay

Fra gli archi antichi, e l' umida Capena
Meco si trattenea. Quei luoghi ( o Dei! )
Ove Numa solea prescriver l'ora

De' lor congressi alla notturna Amica ;
Quei Tempi delle Muse, e di quel sacro
Fonte l'ombrose piante ora in affitto
Dansi a' Giudei, di cui l'aver consiste
In una cesta, e poco fieno. Un tronco
Non sorge là; che al Popolo Romano
Non paghi il suo tributo: onde in esiglio
Le Muse or van dalla mendica selva.
Nella valle d'Egeria, in quelle grotte
Poco simili al ver scendemmo. Oh quanto
Più presente sarla dell'acque il Nume,
Se con un verde margine chiudesse
L'erba quell' onde, e non facesse oltraggio
Al tufo natural marmo straniero !
Già che ormai non rimane all'arti oneste
(La Umbricio incominciò ) più luogo in Roma,
Nè mercede al sudor; che oggi di jeri
Più corto è il patrimonio, e questo poco
Dimani ancor si scemerà; risolvo
Andarmene colà dove le penne

Dedalo si spogliò. Finchè comincio

Substitit ad veteres arcus, madidamque Capenam.
Hic, ubi nocturnae Numa constituebat amicae ;
Nunc sacri fontis nenus, et delubra locantur
Judaeis: quorum cophinus, foenumque supellex
Omnis enim populo mercedem pendere jussa est
Arbor, et ejectis mendicat sylva Camoenis.
In vallem Egeriae descendimus, et speluncas
Dissimiles veris. Quanto praestantius esset
Numen aquae, viridi si margine clauderet undas
Herba, nec ingenuum violarent marmora tophum!
Hic tunc Umbricius ; quando artibus, inquit, honestis
Nullus in urbe locus, nulla emolumenta laborum,
Res hodie minor est, heri quam fuit, ac eadem cras
Deterct exiguis aliquid, proponimus illuc
Ire fatigatas ubi Daedalus exuit alas:

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Appena a incanutir, finchè non giunge
A incurvarmi l' età, finchè del mio
Stame a filar resta alla Parca, e fermo
Sopra i miei piè, senza baston, mi reggo ;
La Patria abbandoniam. Vivano in essa
Catulo, Arturio: vi rimangan quelli,
Che il bianco in nero a trasformar son atti:
Che a tor sopra di se facili sono

Fabbriche ad innalzar, dazj a raccorre
Di porti, e fiumi; a disseccar pantani;
Funerali a condurre ; e al caso estremo
Pronti ad abbandonar, senza ritegno,
Del lor capo venal l'arbitrio all'asta.
Costoro, un dì ne' rustici teatri
Assidui sonatori, e per le ville
Cogniti ceffi, a spese lor ci danno
Or giuochi, e feste: e ad un voltar di mano
Che il volgo faccia, applauditi a morte
T'abbandonan chi vuoi. Di là tornati
(Chi 'l crederia?) di ripurgar cloache
Prendon l'impresa. E perchè no? Se tali
La Fortuna li vuol, quando per giuoco
Alcun dal fango a sommi gradi estolle.

Dum nova canities, dum prima, et recta senectuc, Dum superest Lachesi quod torqueat, et pedibus me Porto meis, nullo dextram subeunte bacillo ; Cedamus patria: vivant Arturius istic

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Et Catulus: maneant qui nigrum in candida vertunt,
Queis facile est aedem conducere, flumina, portus,
Siccandam eluviem, portandum ad busta cadaver,
Et praebere caput domina venale sub hasta,
Quondam hi cornicines, et municipalis arenae
Perpetui comites, notaeque per oppida buccae,
Munera nunc edunt, et verso pollice vulgi
Quemlibet occidunt populariter : inde reversi
Conducunt foricas, et cur non omnia? Cum sint
Quales ex humili magna ad fastigia rerum
Extollit, quoties voluit Fortuna jocari,

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