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artificioso, determinato dall'imitazione della scuola provenzale e dalle dottrine filosofiche e mistiche del tempo. Di qui lo sforzo, che il cantor di Laura fece delle antitesi esagerate, delle allegorie frequenti ed inopportune, di qui l'insistenza noiosa nel giuoco di parole di spirito; di qui i concettini leziosi e le audacie delle metafore; di qui le personificazioni di Amore e la cosidetta cobla nascosta dell'uso provenzale. Egli porta con sé direi, come un bagaglio, nel quale si racchiude quanto di artifizioso potè spigolare nel campo della lirica di Provenza, in cui passó una parte della sua vita. Che il Petrarca abbia imitato i poeti provenzali non è da mettersi più in dubbio. (1)

In quanto alle numerose personificazioni del Canzoniere, che il Bartoli (2) farebbe derivare dalla conoscenza, che il Petrarca potè avere del ricordato Romanzo della Rosa, opino, che potrebbero anche essere un effetto della scuola, allora dominante, della poesia didattico-allegorica. Cosi Brunetti Latini si era abbandonato ad una svenevole e scialba personificazione della Natura. Della quale dopo aver detto che il cielo parea farle velo al capo e che al suo comando movea il firmamento, descrive, con una minuzia, che fa ricordare le prolisse descrizioni del Marino, le labbra ver

(1) Confr. G. Cappellani: La poesia provenzale nella lirica del Petrarca Marsala 1906.

(2) Bartoli

Petrarca e i Trovadori in « Nei primi due

secoli della lett. ital. » p. 547.

miglie, il naso affilato, la gola biancicante, il dente argentato, etc, etc.

Cosi non mancano allegorie di maniera nell'opera Del Reggimento e dei Costumi delle Donne » di Francesco Barberino. Nell'« Intelligenza » dello stesso, si dice che questa ha il suo palazzo e le due camere di està e di inverno; che questo palazzo è il corpo, che fondo Iddio maestro grazioso, nel quale la Intelligenza sta in sollazzo. Il cenacolo di quest'Intelligenza è lo gusto con l'assaggio vaporoso. Il fegato e la milza sono le due stanze di inverno e di està. Le sculture e le pitture di questo palazzo, ove abita l'Intelligenza, sono le reminiscenze; la cappella è la fede religiosa; i sensi sono la porta principale; l' udito e il tatto sono i portinai; le ossa costituiscono i muri; i nervi, le pareti.

Ecco quanto potea la Scolastica nel gusto della poesia del sentimento! Era, evidentemente, il rifiesso delle condizioni storiche del pensiero.

Non ci recheranno meraviglia, quindi, le personificazioni del Petrarca; come non ci sorprendono le allegorie continue e i simboli del cantor di Beatrice.

Se non che nell'ingegno equilibrato dell' Alighieri questi mezzi retorici non sono di inciampo alla percezione obbiettiva dell'ambiente esterno, all'espressione dei sentimenti individuali, e alla rappresentazione di un mondo reale ed umano; perchè in lui l'arte non è fine a sè stessa, ma diventa un mezzo così diafano e trasparente da far dimenticare ai posteri, che egli,

psicologo, fiorisse nel periodo più acuto delle dottrine metafisiche. Così il poema di Dante, come ci suggerisce un valente scrittore, sembra una di quelle cattedrali medievali, dall'architettura sottile ed eterea, dai frastagli, dalle spezzature e dal sesto acuto; ma che possiede nelle sue pareti mirabili affreschi di figure, nella cui espressione palpita un sentimento reale, che appartiene a tutti i tempi e a tutti i luogi, perchè è

umano.

Laddove nel Petrarca, carattere indeciso, ondeggiante tra le pastoie del misticismo, al quale era, direi cosi, per costituzione, inclinato, e il sentimento profano dell'amore che sventuratamente ebbe profondo e disperato; nel Petrarca, dico, la cui mente oscillava confusamente tra le reminiscenze classiche di un umanesimo incipiente e le attrattive del mondo cavalleresco dei trovadori, tutto pieno di artifizi, doveva mancare quel potere inibitorio che è tanto necessario all'armonia organica tra la forma e il concetto tra l'arte e il sentimento, tra il suo io e il mondo che lo circondava.

Questa malattia, che i moderni direbbero nevrastenia, era nel Poeta determinato dal pensiero, che «l'amore come dice il Trezza, (1) era per lui un peccato, che distraevalo da Dio, una demenza della carne, che gli ecclissava lo spirito. » << E quel peccato, segue lo stesso, lo soggiogò tutta la vita, quella demenza gli entrò per le vene inebbriandole. Ei non sa ribellarsi nè a Dio nè a Laura, attirato del pari ora verso l'uno

(1) G. Trezza - Studii critici - Verona

1878 p. 291.

ora verso l'altro ». Queste contraddizioni psicologiche accompagnano tutto il Canzoniere, e al poeta fecero perdere, secondo noi, quella misura, che occorre nell'adozione dei mezzi retorici.

le al-

Nei « Trionfi », in fatti, dove il suo cuore e la sua Laura erano estranei, le visioni, i simboli legorie non riescono grottesche e barocche.

Nella canzone « Standomi un giorno solo alla fenestra », il Poeta ci fa assistere ad un vero acrobatismo retorico. Egli vede in Laura una fiera, con fronte umana da far arder Giove, cacciata da due veltri, un nero, un bianco, che l'un e l'altro fianco de la fera gentile mordean si forte, che 'n poco tempo la menaro al passo, ove chiusa in un sasso vinse molta bellezza acerba morte ». Indi nella sua donna vede, come abbiamo testė osservato,

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Con le sarte di seta e d'or la vela
Tutta d'avorio e d'ebano contesta:
El mar tranquillo e l'aura era soave,
El cielo qual'è se nulla nube il vela;
Ella carca di ricca merce onesta

Poi repente tempesta

Oriental turbò si l'aere e l'onde,

Che la nave percosse ad uno scoglio.

O che grave cordoglio!

Breve ora oppresse e poco spazio asconde

L'alte ricchezze a null'altre seconde.

E così di questo tenore il Poeta segue nel suo linguaggio simbolico, nascondendo la sua Laura ora in un lauro, ora in una fonte, ora in una fenice, ora in Euridice. Fa dispetto poi la fine, che ci conferma, d'altra parte, la storicità e la sincerità psicologica dell'amore, che l'infelice poeta sentiva per la moglie di De Sade:

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Han fatto un dolce di morir desio

Nei quali versi spira un certo alito di modernità; si sente un'eco lontana della disperazione leopardiana: poiché qui finisce l'artista e comincia l'uomo.

Il simbolo del lauro fu uno degli elementi occasionali più nocivi allo stile del Petrarca. Tipico è l'esempio della canzone « A la dolce ombra de le belle frondi »; dove dice, che il mondo non vide si leggiadri rami, nè il vento mosse mai si verdi frondi; intendendo alludere, sotto il velo allegorico dei rami, alle membra, e, sotto quello delle frondi, ai capelli di Laura. Indi prosegue, dicendo, che un lauro lo difese dal Cielo, onde più volte cago dei bei rami se ne è ito per selve e per poggi, e, non trovando mai tronco nè frondi tanto onorate dal superno lume, se ne ritornò sempre devoto ai primi rami. E così di questo passo segue fino alla fine, dove, per effetto del suo misticismo, che lo rende sempre instabile nell'amore terreno, dice

Altr'amor, altre frondi et altro lume,

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