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natura dell'amore trovadorico e della psicologia della lirica amorosa della Provenza, fa d'uopo che ci soffermiamo sui rapporti del cavaliere colla donna del suo

cuore.

Il poeta era sempre un cavaliere Dal concetto, che la donna era la fonte di ogni perfezione, l'impulso di ogni atto generoso e nobile, ne derivò la necessità che il supremo tra i doveri più sacri ed imprescindibili, che incombevano ad un cavaliere ideale, era il culto di una dama. Era questo il motivo dominante della vita cavalleresca: la donna era l'ispirazione diretta degli atti più nobili; come. in seguito per mutate condizioni di vita e per nuove forme del pensiero tendente al misticismo, essa doveva diventare, con Dante e Petrarca, la scala per salire a Dio.

Questo culto per la donna dell'alto medio-evo aveva le sue frontiere, i suoi limiti, che si estendevano sino al lecito. L'effetto di questo amore, osserva lo stesso Restori (1) era la letizia spirituale (joi d'amor), che scaturisce da una certa esaltazione generosa, un desiderio d'imprese belle e degne dell'oggetto amato. L'amore, adunque, era sviato cosi dalla sua sede naturale: il cuore; e veniva ricondotto alle regioni speculative della mente. Era un amore non sentito, ma pensato; l'uomo, in tal modo, cedeva il posto all'artista. Donde un frasario lirico convenuto, un codice di motti convenzionali che allettano la fantasia e che lasciano freddo il

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cuore: una poesia di riflessione, partorita dal cervello del poeta come Pallade da quello di Giove. Di qui, in fine, uno studio assiduo rivolto alla limatura della forma; donde un linguaggio tecnico e falso e quei difetti retorici, che dovevano inquinare la letteratura nostra del periodo delle origini e la lirica del Petrarca.

Prima di venire a questo grande Poeta, che, secondo noi, è la fonte diretta di quel rigagnolo, che attraverso il 400 e il 500, traendo con sè quanto di marcio esisteva nella lirica di questi secoli, dilaga nel secolo XVII, bisogna che facciamo una rivista, direi così, dei lirici, che precede:tero il Petrarca stesso.

È notevole, pur troppo, che la nostra letteratura non ebbe mai un carattere di originalità: o rivolse il suo studio nel glorioso passato del classicismo grecoromano, come avvenne nel periodo del Rinascimento; ovvero si specchiò sui modelli della cultura straniera, come avvenne nel periodo delle origini, nei rapporti colla lirica provenzale. Nell'uno e nell'altro caso é l'imitazione troppo servile, che ha tarpato le ali al genio italiano e che gli ha impedito, fatte le dovute eccezioni, di svolgersi e di dare al mondo intellettuale quelle creazioni artistiche, che ammiriamo presso le nazioni straniere. Ed è doloroso assistere a questo fenomeno, che dai nostri campi sono usciti quei germi che ci sono stati poi restituiti fecondati e perfezionati. Cosi avvenne anche del nostro teatro del cinquecento, tanto povero di originalità, il quale per effetto della

pecorile imitazione, che era spesso una traduzione letterale delle produzioni classiche rimane da noi soffocato, mentre altrove diede al mondo dell'arte un Lope de Vega, un Calderon, un Morlowe, un Shakespeare, un Corneille, un Racine, un Molière. Si doveva attendere l'infiuenza ispiratrice di questi per avere più tardi, in Italia, un Alfieri e un Goldoni!

L'imitazione troppo servile delle fonti provenzali ha spento nei nostri artisti del periodo delle origini l'ispirazione libera della realtà naturale e dei sentimenti interiori. Il volgare provenzale per il suo syiluppo precoce, dovuto, come si è detto, a cause storiche e politiche, era ritenuto come il linguaggio naturale dell'amore.

In fatto di vita cortigiana, nessuna differenza distingueva le nazioni neolatine, e, in genere, le nazioni dell'Europa occidentale, cui il regime feudale aveva saputo imprimere, una fisionomia uniforme, eguale. Ricordiamoci che la lingua provenzale, come più tardi, la lingua francesca, era allora la lingua universale, il veicolo comune del pensiero europeo.

Anche nelle corti di Inghilterra si parlava in francese; l'inglese, afferma il Levi (1), era così poco capito, che un re inglese ebbe bisogno dell'interpretazione dello scudiero quando un suddito gli fece un complimento in inglese. Riccardo Cuor di leone non comprendeva l'inglese; conosceva le due lingue ro

(1) A. R. Levi Storia della Letteratura inglese Palermo, Reber, 1878 p. 87 e segg.

manze: quella del nord o lingua d'oil e quella del mezzogiorno o lingua d'oc; scrisse un canzoniere in lingua provenzale. Nel 13° secolo, segue il Levi, il francese era divenuto una specie di lingua letteraria universale. Da noi, per citare un esempio, Brunetto Latini scrive l'opera sua più importante in lingua francese. La lingua di moda delle nostre corti era la francese. La fortuna, che gode in tutta l'Europa il francese romanzo della Rosa è una prova luminosa.

Non ci meraviglieremo se, dopo che la strage degli Albigesi ebbe spenta la vita elegante e liberale della nobiltà di Provenza, vediamo sullo scorcio del secolo XII e nei primi decenni del XIII tutte le corti italiane popolarsi di trovadori, esulati dal patrio suolo non più adatto alla loro poesia essenzialmente cavalleresca. Era la lirica amorosa dei trovadori, che andava in cerca della sua sede naturale: la corte e il castello; dove i nostri signori, osserva il Restori (1), si sentono in grado di tenzonare poeticamente con i poeti provenzali.

Usciremmo fuori i limiti segnati dal nostro assunto, se volessimo fermarci sull'influenza della poesia provenzale in Sicilia e nel Continente (2),

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(2) Cfr. A. Bartoli Storia della Lett. italiana V. II

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Scuola poetica siciliana del secolo

XHI Livorno 1882 p. 34 sgg.

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A noi interessa per ora sapere, che nelle corti italiane, alimentate dall'elemento provenzale, come nelle corti spagnuole, dove l'influenza dell'arte araba, che aveva punti di contatto relativamente al modo di concepire il sentimento dell'amore cavalleresco con quella di Provenza (2), e in genere nelle nazioni, dove si manifestò la lue letteraria, che noi chiamiamo secentismo, il contenuto della lirica amorosa era falso, perchè ispirato più dalla convenienza e dalla devozione, che dal vero sentimento dell'amore, che anima e riscalda il petto del peta. E quando nel processo di questo lavoro, avremo osservato che la forma storica della vita delle corti permane anche nel periodo più luminoso dell'evo moderno e costituisce il focolaio della poesia lirica delle nazioni europee, potremo affermare, con qualche fondamento, che una delle sorgenti della corruzione della lirica italiana è l'assenza del sentimento dell'amore; e che l'effetto del morbo letterario delle altre nazioni, più che nelle cause esterne e sporadiche, devonsi ricercare nell'ambiente delle corti nazionali, che erano come la palestra accademica di tutti i poeti senza cuore, senza cervello ed adulatori.

Da noi abbiamo avuto la malattia del Petrarchismo, il quale aveva esagerato tutti i difetti della lirica del capo-scuola, senza averne i pregi numerosi, tra cui essenziale quello del sentimento profondo e psicologico di un amore reale. L'ambiente della corte favoriva lo sviluppo di questi poeti anemici e verniciati, che facevano consistere la funzione nobile dell' arte nello

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