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Restori (1), disprezzavano come strumenti di barbarie e di immoralità. Dalla taverna e dalla strada questa poesia democratica passa, coll'avvento dell'istituto del feudalesimo, nelle sale e nelle corti, e si svolge, assumendo una veste aristocratica, collo sviluppo della cavalleria. Di qui la lirica provenzale che vive per la società feudale, da cui non si può separare senza correre il pericolo della propria morte. E vero che Amore, come dice il Carducci, fu allora l'espressione formale del più alto ideale civile, il principio supremo di ogni virtù, di ogni merito morale, di ogni gloria; ma questo amore non era sentito, era una vera ostentazione retorica, e, come si direbbe ora, una posa. Qual' era infatti, il carattere lirico di quest'amore? Come veniva concepito e considerato l'amore in quell' ambiente plasmato dalle nuove condizioni storiche, politiche ed economiche della vita feudale? Era un amore di indole catulliana e ovidiana? Possedeva quella soggettività psicologica, che contradistingue la lirica profonda, personale dei poeti moderni? Ebbe la poesia provenzale un Rousseau, un Chateaubriand, un Burns e un Byron, un De Musset un Heine e un Leopardi ? Nulla di tutto ciò.

Non possiamo portare la nostra analisi sul carattere della lirica italiana, che precedette quella del cantor di Laura, senza indagare le orme, sulle quali essa fece i suoi primi passi. È interessante ricordare

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che i documenti in volgare che ci danno, come osserva il Novati, (1) testimonianza dell'attività artistica degli italiani nell'alto medio-evo, sono scarsissimi. E quando all'ingrata sterilità, che sembra caratterizzare, segue lo stesso Novati, i tempi remoti, subentra una fecondità relativamente ragguardevole, i frutti che maturano sull'italico suolo hanno pressochè tutti estraneo sapore ed esotico aspetto. Erano i frutti, che ci venivano dalla Francia.

Ragioni politiche avevano fatto ritardare lo sviluppo della nostra letteratura, in confronto della francese, la quale aveva ricevuto con Clodoveo, che fece della Gallia una stabile conquista, l'impronta della nazionalità; e l'unità monarchica, che non avevano potuto avere gli Italiani a causa, come si sa, dell'azione dissolvente esercitata dalle invasioni barbariche. Il centro più importante di questa nuova e precoce nazione fu la Provenza. Qui si svolgeva, mentre da noi si rimaneggiavano in latino le antiche leggende, il germe della lirica amorosa dei trovadori; la quale doveva, nel periodo della sua decadenza, esercitare tanta influenza sui destini della nostra poesia lirica, sia per ciò che si riferisce alle forme tecniche, sia ancora pei difetti di stile e di gusto.

Ma noi dobbiamo analizzare, come si è detto, il modo, ond'era considerato l'amore, questo sentimento, che imprime movimento e calore alla lirica, nella poe

(1) Confr. Francesco Novati. Le Origini - p. 2. Ed. Vallardi.

sia dei trovadori provenzali. Alle cause politiche, storiche e religiose, che agirono sul carattere della letteratura medievale e sulla lirica, in ispecie, sono da aggiungersi altre cause specifiche di efficacia diretta: l'ambiente feudale, la vita delle corti, la natura dei rapporti del poeta trovadore colla sua dama, la parte, che la donna medievale rappresentava nella costituzione della famiglia feudale, il concetto morale, in cui era tenuta la donna nel mondo cavalleresco.

Non è inutile ricordare il fenomeno che ci offre la letteratura provenzale: il dualismo della lirica popolare, che procede quasi latentemente e parallela allo svolgersi della lirica di riflessione delle classi elevate e colte. È un fenomeno, del resto, che apparisce e che permane lungo il corso della letteratura italiana. La lirica popolare si distingue per la spontaneità, la schiettezza e l'efficacia nell' espressione dei sentimenti, scevra di tutti quei difetti di scuola e di maniera, che noi andremo osservando. In essa abbiamo l'equazione, l'armonia, direi, organica, tra il pensiero e la forma, dove consiste il vero segreto dell'arte; la poesia aristocratica si distingue, inveve, per lo sforzo retorico, l'ostentazione, lo studio rivolto alla sola perfezione della forma, che cessa, in tal modo, di essere il mezzo ad un fine per diventare fine a sè stessa, per seguire il noto canone: l'arte per l'arte.

E di questa lirica azzimata, aulica ed elegante, dei trovadori provenzali che noi intendiamo rilevare i rapporti colla poesia colgare italiana dei primi secoli,

Anche sul nobile e onnipotente sentimento dell'amore le strane e stridenti contradizioni, che costituiscono il carattere fondamentale di tutta la vita dell'età di mezzo, portarono il loro stigma, il loro malefico riflesso. Come sappiamo, il sostrato della società medievale è la proprietà del suolo, il regime economico del feudo. Da questa speciale costituzione scaturiva fatalmente la necessità dei matrimonii di puro interesse materiale, per cui non venivano rispettati quei limiti di età, nè gli altri circa il grado di consanguineità, che il buon costume e l'igiene fisiologica hanno fissato nelle moderne disposizioni legislative.

L'amore era, in tal modo, bandito da questi matrimonii violenti, e trovava asilo nell'istituzione della cavalleria. Di qui la genesi dell'amore cavalleresco. Nei bei tempi della cavalleria, nota il Restori, (1) alla fine del secolo XII Maria di Champagne sentenziava seriamente, che amore non può essere tra sposi, perche questi si devono, per legge, quello che tra amanti è grazioso favore.

Sotto altre forme siamo, evidentemente, in pieno regno dell'amore platonico. Ci troviamo in presenza di un cinquecento anticipato. Nella vita feudale è la costituzione speciale della famiglia che ci dà l'amore cavalleresco; nel secolo del Bembo è la filosofia neoplatonica, favorita dalle condizioni pseudo-religiose, che invade la lirica italiana e ci dà un amore senza odore, senza vita, come i fiori di pezza.

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A tutti sono noti gli argomenti dei famosi dialoghi degli Asolani e la teoria, che ivi viene esposta sulla natura dell'amore, che si risolve nell'amore di Dio. « Amore è desiderio della bellezza immutabile; la bellezza terrena non può e non deve essere che scala per salire a riconoscere la bellezza eterna, Dio ». (1).

È caratteristica la conclusione che il Piccolomini fa nella sua Istituzione: « non solo non è necessario che noi dobbiamo tor per moglie l'amata donna; anzi è cosa convenevole che non si tolga; conciosiache ad altro fine et da miglior legge imposto ci sia l'amore, che non si ordinarono le nostre nozze ».

Era il riflesso del dualismo sofistico tra anima e corpo, portato nel campo dell'amore e della lirica, dove si scindeva, con Platone, la parte spirituale dalla parte sensuale. Cosi ci spieghiamo nel 500 il contenuto di certi sonetti, in cui il poeta ris erbava per sè la parte nobile: l'anima della donna cantata; mentre l'altra ignobile: il corpo, era lasciata al marito !!!!

Non è inopportuno rilevare la contradizione di questo modo di concepire e di cantare l'amore, con la realtà della vita pratica, dove l'immoralita e il sens) della lubricità erano al colmo! Era il secolo dell'ipocrisia nella vita e nell'arte!! Il Tasso, dice il Carducci, è il solo cristiano del 500!

Perchè ci possiamo fare una nozione esatta della

(1) Canello Storia della Lett. italiana nel secolo XVI. Ed. Vallardi · 1881 - p. 298 - 9

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