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nessuno di fare ricerca, e ne tampoco di dichiararle col mezzo della storia ai curiosi, e agli intelligenti. Erano questi i monumenti di belle arti, che tanto in architettura, scultura, e pittura dal medio evo a noi essa contiene, e le memorie dei molti Artisti, che in essa ebbero culla, e che alla gloria delle arti picene, e dell'Italia tutta contribuirono. Poco vi voleva per sentirsi nascere un fervido desiderio d'intraprendere siffatto genere di ricerche, ina nello stesso tempo era facile, ch' io mi sgomentassi in sulle prime per la gran copia di materiali, che mi sarebbero occorsi a dar compimento al mio lavoro. Nondimeno come avviene di colui, che fortemente bramoso d'una cosa, non sa nutrire la speranza di conseguirla, che col solo cominciarla, io mi detti con ogni diligenza, e direi anzi con entusiasmo a raccogliere dapprima nella mia patria, e quindi a grado a grado nei più riposti, e obliati luoghi della provincia quanto più potei intorno alle memorie, che vi si contenevono di belle arti, e di artisti, e se dopo non molto mi vidi innanzi una copia sufficiente di notizie e di documenti per tesserne la storia, che ora produco, ne debbo l'intento ottenuto alla mia fermezza nelle fatiche a quest' unico scopo per molti anni dirette, non meno che alla generosità di molti dotti amici, che me ne coadjuvarono col loro consiglio, e col loro sapere l'impresa,

Ma nell' assegnare un' origine cronologica a queste memorie istoriche, io sono stato alquanto perplesso, se le facea cominciare dall' ероса dei Romani, ovvero da quella, che segna il risorgimento delle arti in Italia. Considerando però che degli antichi avanzi della romana architettura esistenti nelle nostre contrade volle già farne raccolta il Colncci, e che ciascuna Città più cospicua della provincia ha i suoi illustratori di tempj, d'archi trionfali, di ponti, di terme, di statue, che in esso ricordano i secoli anteriori alla decadenza del romano Impero, ho lasciato questo campo, come già a sufficienza da altri mietuto, Restava pertanto ch' io m'appigliassi al consiglio di dare cominciamento a queste memorie dal Secolo XIV. Ma quantunque oscurissimi per la storia delle arti italiane, i sccoli della dominazione Longobarda dovevano essi essere perciò dimenticati? Un solo monumento, che fosse

esistito nella nostra provincia eretto in quella notte, che precedette l'aurora del trecento, non sarebbe interessantissimo? Nel bujo dei misterj d'Eleusi non si piacciono i dotti di pascere le origini remote dei culti di alcuni popoli, che oggi più risplendono per cultura, e incivilimento? Oltrecchè, se si eccettui l'Italia occidentale, dove le principali Corti esistettero delle longobarde dinastie, il nostro Piceno non è da meno delle altre provincie per le fabbriche, che si costrussero in que' barbari tempi, e volesse il cielo che fossero oggi, quali furono allora. Mi credetti pertanto in obbligo di riempire questa lacuna con quel tutto, che alla indicata epoca appartiene, e di dare principio alla mia storia dalla venuta d'Alboino in Italia, seguendola per l'ordine dei tempi, fino a oltre la metà del secolo XVIII.

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STATO DEL PICENO

E DELLE ARTI IVI COLTIVATE DALLA VENUTA D'ALBOINO FINO AL FINE

DEL SECOLO IX.

CAPITOLO I.

Sotto

Botto la condotta del Re Alboino i Longobardi precipitarono in Italia nell' anno 568. Nei primi anni del loro Regno invalse l'anarchia, flagello politico peggiore di tutti gli altri. E non fu che in progresso, quando si dilatarono le loro conquiste sopra l'Italia, che venne da essi divisa in tanti Ducati. (1)

Un Duca ebbe Spoleto, ed il primo fu Feroaldo, che si crede dal Fatteschi (2) cominciasse il suo ducato nel 569. Sul principio ogni Città aveva il suo Duca, (3) onde la giurisdizione del Duca di Spoleto era limitata a quella sola Città. Ma i Duchi in appresso favoriti dall' anarchia, o per la legge del più forte, occuparono quanto più poterono per estendere i loro ducati. E questa circostanza si verificò specialmente nella provincia, di cui trattiamo. Ariolfo successore di Feroaldo dopo aver combattuto i Greci riunì Camerino a tutto il Piceno, che venne compreso nel ducato di Spoleto. I primi tempi della dominazione longobarda in questi luoghi furono ripieni d' orrori; e de' loro costumi e de' danni cagionati all' Italia ne fanno aperta testimonianza S. Gregorio, e Paolo Diacono. Nondimeno osserveremo col Denina, che sotto i Longobardi non si può dire veramente, che le arti venissero totalmente estirpate dal suolo italiano "Le meccaniche più usuali, come quelle ,, di fondere metalli, di fare gli strumenti di agricoltura, e quelli ,, da tessere, da alzar masse pesanti, murare, segare, pulire, ed ,, unir tavole, costrurre tetti e solaj, non è punto dubbio, che si ,, mantennero, e si csercitarono: ma quelle che liberali, belle arti, o arti del disegno si chiamano, erano ridotte a un grado del tutto contrario a ciò che chiamasi bello. ( Denina Storia dell' Italia occidentale. lib. 2 Cap. V.)

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In progresso però migliorarono le leggi, le loro costumanze

s' incivilirono, e fu in tal tempo, che poteronsi stabilire i confini giuridici del Ducato di Spoleto nel Piceno, i quali furono posti al fiume Musone; il rimanente di là da questo fiume si chiamò Pentapoli, che apparteneva ai Greci.

Sino dal principio del sesto secolo fra i fiumi Musone, e Tronto, non rimanevano che due sole città Ascoli, e Fermo sfuggite, non si sa per qual prodigio, dal furore di tanti barbari, ma ridotte scheletri, tanto erano state anch'esse malconce. Il resto del Piceno, meno le città principali della Pentapoli, cioè Ancona, Osimo ec. si vedeva seminato da infinito numero di castelli, e borgato dette vici da latini i quali non furono composti che di miseri abituri. E questa è quell'epoca, in che l' Anonimo Ravennate chiamò la nostra provincia - Provincia Castellorum. Nel quale stato ella somigliava alla condizione dell' Atica innanzicchè col sorgere d'Atene gli uomini da infinite ville, o borgate di quella regione si fossero condotti a un vivere unito, e comune d'una città.

Il solo Fermo fu specialmente distinto da Longobardì in questo tempo, e lo fu al punto che nel 770 un Tasbano n'era Duca, come si ha dal Muratori per un'iscrizione da esso pubblicata, e riprodotta dal Colucci, (4) fatto unico, e senza esempio nella storia de' Longobardi, che in un ducato vi fossero due Duchi, ma pure conforme a molte altre stravaganze, che sortirono nel tempo che Desiderio fu Re di questa Nazione. Tale dominio deve pure convincerci che molto esso giovasse a non fare spegnere affatto le arti, per quanto esse sostener si potevano in un'epoca, che riscontriamo infelicissima; giacchè come osserva il Cavalier d'Agèncourt (5); non si ha per quello spazio traccia che del loro decadimento.

La sola, che di queste si esercitasse ancora, fù l'architettura, della quale si servirono specialmente per le fortificazioni e per le rocche necessarie alla loro difesa. Eressero fabbriche civili nelle residenze de' loro governi, vale a dire in Pavia, in Torino, in Milano, e ne' loro ducati. La scultura co' soverchj suoi ornamenti non aveva fatto che peggiorare, e le pitture, delle quali ci narra Paolo Diacono che facesse ornare il suo palazzo di Monza la

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