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monumento: altri raggi ne riverbera il monumento sopra la storia. » La illustrazione e conciliazione di quelle testimonianze, datane dal ch. Autore, è degna d'essere letta e considerata.

Nelle ultime due Tavole dell'Architettura della Roma sotterranea Cristiana il ch. Autore ne pone sott'occhio l'icnografia e l'ortografia della Cripta, nella quale furono per la prima volta sepolti i due santi Fratelli Martiri Proto e Giacinto nel Cimitero della via Salaria vecchia, ad essi intitolato. Il sepolcro primitivo di S. Giacinto Martire, che solo si rimaneva ignoto e tuttora intatto in quella Cripta, si venne a discoprire nel Venerdì Santo dell' anno 1845, addì 21 di Marzo, per opera di Giovanni Zinobili, caporale de' cavatori addetti alla custodia delle Reliquie del Palazzo Apostolico, e fu riconosciuto dall' Autore, insieme con altri nel Lunedì susseguente (p. 238-239), lasciandolo intatto. Ottenne egli poscia dall' Illmo e Revmo Mons. Giuseppe Maria Castellani, Vescovo di Porfirio e Sagrista della Santità di Gregorio XVI, ch' ei si recasse in sul luogo col suo pubblico notaio ad assicurarsi co' propri occhi sì della condizione della Cripta e del Sepolcro, come dell'apertura di questo e della estrazione delle Reliquie che dentro si sarebber potute trovare (p. 362). (7) La ricognizione

(7) « Fu per me, dice l'Autore (p. 240) una dolce sodisfazione, dagli ultimi giorni di Marzo fin dopo la metà di Aprile, l'accompagnare tra quegli orrori (del luogo sotterraneo) e Cardinali e Vescovi e Prelati di santa Chiesa, e personaggi d'altissima nobiltà, così Romani e Italiani come oltramontani e stranieri, e credenti ferventissimi di condizione meno elevata >>).

solenne si fece in giorno di Sabato, addì 19 di Aprile, con istromento rogato dal Notaro Angelo Monti, che dice quanto segue. « Entrati in detto corridore (del Cimitero de' Santi Martiri Ermete, Proto e Giacinto, e Basilla), dopo alcuni passi entrammo in una stanza della lunghezza di circa dieci passi, nella quale si è rinvenuto un arco, nel quale sopra la calce dell'arricciatura si scorgono impresse, all'altezza di un uomo, quando tal muro era fresco, con la punta di un chiodo o altro istromento incidente, le seguenti parole.

ACATIO SVBD

PECCATORI

MISERERE DS

Quindi sulla destra, circa un passo distante da detta iscrizione, si è rinvenuto tra le rovine del luogo un pezzo di marmo bianco lavorato, con iscrizione incisa in caratteri di forma singolare, che dice così

SEPVLCRVM PROTI M

Continuando le osservazioni si è rinvenuta una tavola di marmo incassata verticalmente nel tufo del Cemeterio, e murata all'intorno, con la seguente iscrizione

DP III IDVS SEPTEBR
YACINTHVS
MARTYR

Furono quindi veduti anche alcuni grandi pezzi di cemento antichissimo, sui quali leggevasi in rilievo una parte di questa medesima iscrizione intagliata in cavo sopra la pietra; e fu osservato che questo cemento era stato dal cavatore distaccato dalla la

pide quando la scoprì; motivo per cui, essendo prima la lapide coperta di cemento, non potevasi vedere nè leggere la sua iscrizione. Sulla destra di questa tavola vi si rinvenne all'esterno un vasetto rotto di vetro, incrostato internamente di una materia rossa, il quale fu tolto dal luogo e riposto dentro una scatola. Quindi, volendo togliere la detta lapide da dove era, non bastò smurarla di sopra e nei fianchi, perchè era incassata sotto il pavimento. Il cavatore con la garavina distaccò alcuni pezzi del marmo che formava il pavimento, tolse via il cemento su cui era il marmo, e solamente allora fu potuta levare la lapide, rotta nella sua lunghezza in due pezzi. Tolta la pietra fu veduto il sepolcro, che non arrivava alla lunghezza di palmi cinque romani, ed era per metà pieno di terra portata dentro dalle acque cadute da una tromba, che mi fu detto chiamarsi lucernaro, ed aver servito in antico per dare aria al luogo sotterraneo. Incominciata a smovere questa terra con due pezzi di canna, incominciarono a vedersi tramezzo una certa quantità di ossa umane, le quali separate dalla terra, che avevano intorno, furono riposte nella scatola istessa, in cui era stato prima collocato il mentovato vasetto di vetro. Fu di poi chiusa la detta scatola e sigillata con fettuccia di capicciuola rossa con tre sigilli, con lo stemma del lodato Mons. Sagrista. La scatola così chiusa e sigillata fu consegnata al lodato Mons. Sagrista, per essere custodita nella Cappella della sua custodia delle sante Reliquie, finchè si prendano nuove disposizioni; e colla scatola delle ossa umane il lodato Mons. Sa

grista prese anche in consegna il pezzo di marmo bianco coll'iscrizione riportata

SEPVLCRVM PROTI M

e l'altra lapide della iscrizione

DP III IDVS SEPTEBR
YACINTHVS

MARTYR (8)

ed inoltre i pezzi di cemento sui quali è rilevata una parte di quest'ultima iscrizione » (p. 262-263, in nota).

Addì 29 d'Aprile, riaperta la cassetta suggellata, si fece la ricognizione delle ossa con perizia del Prof. Dott. fisico Andrea Belli. Egli riconobbe, che le Reliquie erano di persona d'età non minore di anni 25; e che il fuoco, il quale aveva lasciati di sè indizi assai chiari sopra que'pochi avanzi d'ossa, dovea riconoscersi per cagione, se non unica, almeno principale della mancanza delle altre che nel sepolcro non si erano rinvenute. « Questa medesima, dice l'Autore (p. 267), era la causa della picciolezza di quel loculo, proprio anzi di un fanciullo che d'un adulto: perchè sarebbesi perduta l'opera nell' aprire un grande sepolcro per riporre i pochi avanzi del corpo di un Martire, ch'era stato più

(8) La scrittura DP, per DePositus, ha il suo riscontro in simili compendii che ricorrono in lapidi antiche sì profane come Cristiane; quale si è p. e. TECVPC; che Mons. Marini (Arv. p. 575, 634) spiega TE CVm PaCe. L'omissione dell'H in principio del nome YACINTHVS ha pur essa il suo riscontro in quel verso di S. Damaso, che scriveva un secolo dopo, o poco più (Gruter. p. 1172, 9): SANGVINE PVRPVREO SEQVERIS YACINTHE PROBATVS.

che per metà incenerato dal fuoco. Non è egualmente chiara la causa dell'abbruciamento. Mancano gli Atti sinceri di quel Martirio; non si potrà quindi mai stabilire, se il fuoco sia stato adoperato come strumento di morte, o se invece il persecutore facesse abbruciare il corpo già ucciso, per togliere a' Cristiani di poterlo onorare nel sepellirlo e dopo sepoltolo. Di questa spietatezza non sono scarsi gli esempi nelle storie delle persecuzioni. >>

Il due di Maggio il R. P. Giambatista Pianciani, fece, come perito minerologico, la ricognizione de' filamenti d'oro trovatisi nella terra che investiva le Reliquie di S. Giacinto. «Non avea qui l'oro, avverte l'Autore (p. 268), la forma molecolare o cri

(9) L'Autore poco dopo (p. 269) scrive, che « al sepolcro di Giacinto non vi poteva essere il solito Vaso, perchè da corpo arso delle fiamme non potevasi raccoglier sangue da porvi dentro. » Ma in ciò dire egli commise una grave disattenzione; poichè da prima (p. 263) ebbe ricordata l'Ampolla frammentata avente nell' interno la crosta del sangue disseccato; e questo Vasetto di vetro murato esternamente presso la lapide di S. Giacinto è memorato altresì nell' istromento surriferito del notaro Monti. Nella Lezione, che del martirio de' due santi fratelli Proto e Giacinto ricorre nel Breviario Romano addì 11 di Settembre, è detto di loro, che acerbis verberibus caesi, securi feriuntur tertio idus Septembris. Quindi può ritenersi per certo, che il Sangue dell'Ampolla murata presso il sepolcro di S. Giacinto venisse raccolto allor ch'egli fu flagellato e decapitato, e che il suo corpo morto fosse dal persecutore dato alle fiamme. Anzi, che S. Giacinto versasse nella sua passione il proprio Sangue, ne lo attesta il verso quarto del primo dei due epigrammi di S. Damaso (ap. Bolland. die x1 Sept. T. 111, p. 748), che dice: Sanguine purpureo sequeris, Hyacinthe, probatus.

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