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pe' suoi costanti incoraggiamenti, egli ha propagato il beneficio della istruzione fin nella capanna dell' indigente. Noi non sapremmo numerare gl' istituti di zelo, di carità, di beneficenza che sonosi formati sotto la sua paterna amministrazione. Essi trovansi, per così dire, a ciascun passo nella sua diocesi. E che non avrebb' egli voluto ancor fare, se avesse avuto i mezzi de' suoi predecessori? Non parleremo neppure di quelle sì abbondanti elemosine ch' erano da lui nascoste nel seno de' poveri, e che divenivano la sorgente di quel tesoro inesauribile ond'è stato preceduto nel cielo. Le lagrime e le benedizioni della indigenza e dell'infortunio sono state unanimi sopra tutti i punti di quella diocesi, e sono attestati più eloquenti delle nostre parole. La misura delle sue larghezze era quella de' suoi redditi. Come Sant' Agostino, tutto quello che non era assolutamente necessario all' esigenza del suo posto, ei lo riputava patrimonio de' poveri. Ma ciò che formava il carattere distintivo di questo benamato e degno Pontefice, si era quella tenera ed affettuosa pietà che ispirava la divozione a' più indifferenti, quella grazia, quella nobiltà nelle auguste cerimonie della Religione, quella positura rispettosa ed abissata in Dio nell' orazione: sarebbesi detto un Angelo prosteso davanti alla maestà dell' Altissimo.

Tante virtù, tante qualità eminenti sembravano dover essere (non ostante la sua grande età) conservate ancora per del tempo alla diocesi ch'egli avea sì dirittamente e amorosamente governata ventisett' anni. Ma sintomi d'una prossima fine s'erano annunziati per modo sì grave che non potevano rimanere inavvertiti. Qual non fu allora la desolazion generale? Quante ferventi preghiere nelle chiese, nelle famiglie! Qual calma frattanto nel venerando vecchio! Che slanci di pietà da quel cuore! Era l'umiltà e la confidenza dell' anima fedele. Così ne' fervori di sua tenera divozione verso Gesù e Maria, vid' egli giungere l'ultim'ora e addormentossi placidamente del sonno de' giusti, a' 16 dicembre 1848. Onore e rispetto alle ceneri del Pastore, dell' Apostolo, del Benefattore de' suoi fratelli! Diletto a Dio ed agli uomini, egli ha terminato santamente la sua carriera.

II.

FRANCESCO DE VICO

Fra le perdite di persone insigni, delle quali abbiam dato cenno nella Cronica religiosa del precedente volume, è fatta menzione di quella del cel. P. Francesco de Vico, della Compagnia di Gesù. (1) Ne giova qui raccogliere alcune altre brevi notizie di tant' uomo, quali ci sono recate dal Giornale istorico e letterario di Liegi.

Il P. De Vico nacque nel 1805 a Civitanova, nella Marca d'Ancona. La sua famiglia era, a quel tempo, nobile e ricchissima. Nel 1817, fu inviato al collegio de' Gesuiti ad Urbino, e lo stesso anno vi cominciò lo studio della rettorica. Egli tanto segnalossi per la sua condotta e pel suo ingegno, che non gli si potè comparare quasi niuno de' suoi condiscepoli. Ma suo padre, avendo appreso ch' ei divisava di entrare nella Compagnía, lo ritirò da quel collegio, e lo fece passare ad un altro de' Padri delle Scuole pie a Siena, detto di Tolomeo. Quivi diè compimento al suo corso filosofico, e brillò sopratutto nelle matematiche e nell' astronomía. Fu suo maestro il P. Inghirami, celebre astronomo di Firenze. Egli si applicò parimente alla musica, e tanto vi riuscì che nella stessa Roma acquistossi nominanza in quest' arte. Avvenne che l'ecclesiastico, incaricato della direzione spirituale di quegli alunni, non che impugnasse la vocazione del giovine e lo dissuadesse dall'ingresso nella Compagnía, si fece anzi ad approvarne e favorirne il disegno. Così Francesco, raffermato nella sua risoluzione, la mise ad effetto, alla fine dell'anno 1823. Egli avea perduto suo padre, due anni avanti; e come egli era il primo di sua famiglia, e si vedeva padrone del suo patrimonio, girò da prima per tutta l'Italia; ed al termine di questo viaggio, entrò nel noviziato de' Gesuiti a Roma. Chiamato al Collegio Romano, ne' primi mesi del 1825, e prima ancora ch'

(1) Nel breve tratto che ad esso riguarda (facc. 480, lin. 5), ov' è replicato: per la scienza, volevasi leggere: per la fede.

egli avesse compito il suo tempo di prova, fuvvi incaricato della classe di grammatica. Egli occupossi in tale ammaestramento sino al termine dell'anno scolastico 1832 o 1833; e nel mese di novembre s' introdusse al corso teologico. Poichè l'ebbe compito, fu nominato direttore dell' osservatorio, in luogo del defunto P. Dumouchet, col quale divideva da più anni i lavori. Egli tenne questo posto fino al momento che i Gesuiti furono costretti a partirsi di Roma. Oltre tale incarico, egli insegnò parecchi anni l'astronomía e la geometría trascendente; e si può dire che quante persone a Roma non sono straniere agli studj astronomici, debbono questo vantaggio al savio direttore dell'osservatorio.

Nel mese di marzo 1848, l'infelicità dei tempi avendo forzato il P. De Vico a spatriare, egli pensò da prima di trasferirsi a Brusselles. Ma il moto rivoluzionario sopravvenne ad arrestarlo tutto ad un tratto in Bologna ; e poichè l'alta Italia era per ogni dove sotto le armi, ei rivolse cammino, ed imbarcossi a Livorno per Francia. Quest'ultimo paese non lo trattenne a lungo; egli passò in Inghilterra, d'onde si ridusse agli Stati Uniti. Bramosamente accolto, e ricolmo d'onori dagli Americani, tornossi in Europa a farvi costruire degli strumenti astronomici ch' egli si proponeva d' inviare agli Stati Uniti, insieme con un drappello di suoi compagni. E mentre era egli stesso occupato ne' preparativi del suo ritorno, attaccato dalla febbre tifoide in Londra, vi soccombeva, a' 22 dell' ultimo scorso novembre, in età di 43 anni.

Quanto alla sua riputazione, è noto come fosse grande, non solo in Italia, ma per tutta Europa. Perciò, nel tempo ch' ei trovavasi a Roma, e dopo ch' ei dovè lasciare quella città, non ha mai cessato di riportare testimonianze di stima e di rispetto da parte degli astronomi più ragguardevoli, ed altresì delle Accademie di Parigi e di Londra.(3) Ei ricevette presenti dal Re

(2) Tanti istituti scientifici doveano troppo naturalmente onorarsi del nome di quest'uomo insigne. Per conseguenza, egli era anche uno de' quaranta scienziati onde si compone la Società Italiana delle Scienze, residente in Modena. Il posto vacante è stato da lor coperto colla nomina del ch. sig. Giovanni Brignoli di Brunnhoff, professore di Botanica e di Agraria nella medesima capitale.

di Danimarca e dall' Imperatore di Russia; ed ultimamente un decreto della novella Repubblica francese gli accordava il passaggio gratis sopra tutti i bastimenti dello Stato. Questa celebrità era la giusta ricompensa di un merito straordinario. Debbesi a lui una quantità di esattissime osservazioni: le orbite di certe comete meglio determinate, la scoperta d'alcune altre comete e di una nuova sezione nell'anello di Saturno, il perfezionamento di molti istrumenti, tali furono i suoi titoli, senza contare le memorie da lui pubblicate.

. Ma ciò che aggiungeva molto alla sua riputazione di dotto, si era l'estrema sua dolcezza, la sua affabilità, la sua modestia, la sua prudenza, la sua perspicacia, la sua sperienza e la sua abilità negli affari; erano sopratutto quelle virtù che lo raccomandavano come Religioso.

DOCUMENTI ISTORICI RELIGIOSI

I.

SCOMUNICA DE' RIBELLI ROMANI

PIUS PP. IX.

AI NOSTRI AMATISSIMI SUDDITI.

Da questa pacifica stazione, ove piacque alla Divina Prov

videnza di condurci, onde potessimo liberamente manifestare i nostri sentimenti, ed i nostri voleri, stavamo attendendo che si facesse palese il rimorso dei nostri figli traviati, per i sacrilegj, ed i misfatti commessi contro le persone a Noi addette, fra le quali alcune uccise, altre oltraggiate nei modi più barbari, non che per quelli consummati nella nostra Residenza, e contro la stessa nostra Persona. Noi però non vedemmo che uno sterile invito di ritorno alla nostra Capitale, senza che si facesse parola di condanna dei suddetti attentatí, e senza la minima garanzia che ci assicurasse dalle frodi, e dalle violenze di quella stessa schiera di forsennati, che ancora tiranneggia con un barbaro dispotismo Roma e lo Stato della Chiesa. Stavamo pure aspettando che le proteste e ordinazioni da Noi emesse richiamassero a doveri di fedeltà e di sudditanza coloro che l'una e l'altra disprezzano e conculcano nella Capitale stessa dei nostri Stati.

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Ma invece di ciò un nuovo e più mostruoso atto di smascherata fellonia e di vera ribellione, da essi audacemente commesso, colmò la misura della nostra afflizione, ed eccitò insieme la giusta nostra indignazione, siccome sarà per contristare la Chiesa Universale. Vogliam parlare di quell'atto per ogni riguardo detestabile, col quale si pretese intimare la convocazione di una sedicente Assemblea generale nazionale dello Stato Romano, con un decreto dei 29 dicembre prossimo passato, per istabilire nuove forme politiche da darsi agli Stati Pontificj. Aggiungendo così iniquità ad iniquità, gli autori e

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