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BIOGRAFIA

I.

CLAUDIO DE LA BRUNIÈRE

Se la memoria degli uomini evangelici che mandarono luce dal candelabro, è degna di rimanere fra' posteri in onore e benedizione, hanno merito speciale per simile tributo di riconoscenza i Confessori della Fede che mantennero la gloria del tempio, e giovarono di edificazione e conforto i loro fratelli, in tempi di traversíe e di persecuzioni contro alla Chiesa. Si vanno estinguendo gli ultimi lumi del Clero che sopravvisse in Francia all'epoca atroce di quell' empia e sanguinaria repubblica; e la Chiesa francese, rimessa oggi in tanto splendore, non manca di serbarne debitamente ne' suoi fasti l'onorevole ricordanza. Ma, per la Chiesa Cattolica, le celebrità di un paese tornano a comune decoro e vantaggio della grande famiglia che riconosce nelle sue partizioni un sol Padre; e quindi abbiamo anche noi titoli plausibili a trar copie de' medesimi originali, per fregiarne le nostre carte e diffonderne la notizia fra' zelatori della Religione e della vera comunanza civile. Tanto al presente facciamo per riguardo alla memoria del Vescovo di Mende, non ha guari defunto, valendoci delle parole stesse dell'Amico della Religione, periodico degno più che mai di portare un tal nome.

Claudio Giovanni Giuseppe Brulley de la Brunière, nato il primo di febbrajo 1760 a Sézanne, nella diocesi di Troyes, ebbe la ventura di sugger col latte i principj di lealtà, di saviezza e di religione. Egli apparteneva ad una di quelle antiche famiglie, riputate nella magistratura, le quali studiavansi di conservare intatta a' lor figli l'onorevole eredità de' lor sentimenti. Nel corso di grammatica e di belle lettere, presso gli Oratoriani, che dirigevano il collegio di Troyes, egli si fece distinguere per la sua regolarità, per la sua appli

cazione e per le prove del suo profitto. La pietà, la virtù, le inclinazioni costanti della sua fanciullezza lo attiravano verso lo stato ecclesiastico. Appena in età d'anni 18, entrò nel seminario di S. Sulpizio, santuario dove i giovani leviti si formavano alla scienza ed alle virtù sacerdotali. Ammesso al corso di filosofía e di teología, segnalossi nello studio e negli sperimenti del merito. La giustezza del suo spirito, la lucidezza de' suoi ragionamenti lo collocarono a' primi gradi fra tanti ragguardevoli alunni. Perciò fu costantemente maestro di conferenze, ed ebbe l'onore di contare fra' suoi discepoli l'illustre abate Frayssinous, la cui eloquenza ha sì potentemente contribuito a risvegliare il sentimento religioso, assopito dalle dottrine. funeste dello scetticismo, e la cui alta saggezza, chiamata in tempi difficili a' consigli dei Re, ha reso importanti servigi alla causa della religione e dell' ordine.

Il giovine Claudio era già Sacerdote, quando venne ammesso a' corsi della Sorbona.

Il Clero teneva allora regolarmente delle assemblee dove le grandi questioni che importavano alla Chiesa, massime nelle sue relazioni collo Stato, erano discusse con dottrina e saviezza, per modo che la causa pubblica ne ritraeva immensi vantaggi. Addetto, per due anni, all'agenzia generale, l'ab. de la Brunière s' iniziò alla conoscenza degli affari. Il suo spirito diritto e giusto ne comprese presto la condotta; e si potè fin d' allora prevedere ch' ei sarebbe divenuto un eccellente amministratore. Il suo merito non poteva rimanere sconosciuto, e doveva in breve assicurargli un posto onorevole. Egli era in età di 29 anni, quando il pio Vescovo di Uzès, (1) Monsig. de Béthisy gli propose il titolo di Vicario generale. Correva l'anno 1789. Non gli fu difficile acquistare la confidenza del suo Vescovo, già pieno di stima per lui. Esso la giustificò tutti i giorni pel suo zelo e per la saviezza delle sue disposizioni, quando il turbine rivoluzionario fece sentire

(1) Antico vescovato, soppresso l'anno 1802, nell'antico Linguadocco (Gard). L'ultimo Vescovo, Monsig. de Béthisy, di cui qui si parla, morì nel 1816.

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il suo furore fin anche nelle province meridionali del regno. Il Vescovo fu costretto di cedere alla tempesta, e di cercare un asilo sopra una terra ospitale. Il Vicario potè rimanere al suo posto fino al 1792, protetto dalla pubblica estimazione e dalla sua prudenza. Finalmente sonò per esso l'ora della persecuzione. Il vescovo costituzionale di Nimes (Dumouchel) querelavasi dell' ostacolo ch' ei trovava, per l'esercizio di sue funzioni, nell'attività e nell'influenza del Vicario generale di Uzès. Ciò diveniva un delitto agli occhi dei demolitori, eretti in organizzatori della Religione, ch'essi volevano raffazzonare a loro immagine. Ei fu pertanto arrestato, condotto alla cittadella di Nimes, giudicato dal tribunale rivoluzionario, come un malfattore, e condannato a perpetua prigionía. Gli amici suoi riuscirono ad ottenere che la causa fosse portata, per appello, ad un altro tribunale, quello della Drôme.

Il buon Sacerdote, sottratto a questo pericolo, dovè spatriare. Risoluto di cercare nell' esilio una tranquillità che il suo paese non gli poteva più promettere, in que' tempi di persecuzione che il trono e l'altare sparivano in mezzo all'uragano, egli incamminossi verso la Savoja, con due Ecclesiastici, compagni de' suoi combattimenti. Ajutato dalle liberalità di una nobile Principessa (quella di Carignano), li cui sentimenti erano degni dell' alta sua nascita, egli lasciò Torino per rendersi a Firenze e dipoi a Roma. Quivi, ritirato nella casa di S. Lazzaro, egli ebbe, durante nove anni, occasione di formarsi alla conoscenza degli affari della Corte Pontificia, e di rendere importanti servigi alla diocesi di Uzès ed a parecchie altre, i Vescovi delle quali avevano a lui conferiti i poteri di gran Vicario. Egli ebbe la sorte di ammirar da vicino quanto di grande, di generoso, di magnanimo risplendeva nell'immortal Pio VI, in quel Pontefice sì giusto apprezzatore della condotta, piena di fede, di coraggio e di dignità, dell' Episcopato francese in mezzo alle privazioni, alle persecuzioni, all'esilio. Ei divenne intimo a parecchi soggetti della prelatura romana. Invitato ad esprimere il suo parere intorno alle più rilevanti quistioni, meritò col metodo e colla chiarezza delle sue idee e de' suoi rilievi gli elogi de' primi Teologi

d'Italia. Il Prelato Di Pietro, segretario della congregazione istituita da Pio VI per gli affari di Francia, l'ascoltava volentieri, godeva d'interrogarlo, e spesso aveva occasione di compiacersi dell' avergli accordato la sua confidenza. Così, quando i Vescovi francesi scrissero una regola di condotta pel Clero. rimasto in Francia in tempo della persecuzione, e la sottoposero all' approvazione della Santa Sede, parve al La Brunière che fosse cosa degna della saggezza e della bontà del Papa il dare a que' Confessori della Fede una prova solenne dell' alta sua stima; e il segretario avendone tenuto parola col Santo Padre: Questo Ecclesiastico ha ragione, disse tosto Pio VI; osservate que' Vescovi si degni di lor missione: da lungo tempo camminano sopra la lama di un rasojo; eppure uno solo di loro non è vacillato. Per effetto parimente de' suoi lumi e delle sue relazioni, quand' egli ebbe l'onore di ottenere un' udienza da Pio VII, poco prima del Concordato, ei comprese per quali penose ma necessarie condizioni quel Papa, sì umile come zelante, si fermo come conciliatore, era in sul punto di conchiudere quel solenne trattato, solo mezzo di ricondurre in Francia la religione e la virtù esiliate; e da quel momento ei potè far presentire a' Vescovi radunati in Londra ch' eglino avrebbero avuto l'invito di rinunziare alle loro sedi per cederle ad altri titolari, e che niun ostacolo avrebbe potuto arrestare l'esecuzione di quel grande provvedimento. E tutto si realizzò com' esso avea preveduto. Il Prelato Di Pietro, divenuto Cardinale, l'onorò sempre della sua amicizia. Inspirato dalla medesima confidenza, il Cardinal Caprara, Legato a latere, lo incaricò poscia di stendere le osservazioni che la Corte Romana riputò di suo dovere per protestare contro alla legge, detta organica, de' culti, emanata a' 18 di germinale, anno x (7 aprile 1802); e sopra lo stesso progetto da lui tracciato fu redatta la memoria che venne in luce per simile congiuntura.

Le convenzioni conchiuse tra la Santa Sede e il primo Console annunziavano un avvenire di calma per la Religione. L'Ab. de la Brunière se ne approfittò per rientrare in Francia, e rendersi utile alla santa causa. Monsignor Burlier, di

recente promosso al vescovato di Evreux, era l'amico della famiglia di lui; e giusto apprezzatore del merito, sollecitossi ad averlo seco.

In tempo delle lunghe assenze, alle quali Monsig. Burlier era obbligato fuori della sua diocesi, tutto il peso dell' amministrazione cadeva sopra l'Ab. de la Brunière. Egli governava con rara intelligenza la diocesi, e riuscì per vie dolci e paterne a correggere numerosi abusi, conseguenza inevitabile del perturbamento operato da dodici anni di rivoluzione.

Nominato Vescovo di Pamiers nel 1817, non si potè trasferire a prendere il possesso di quella sede, la quale non fu definitivamente eretta che nel 1822.

In questo intervallo, Monsig. di Mons, traslato alla sede di Avignone, lasciò vacante quella di Mende. Fu nominato per essa Monsig. de la Brunière, verso la fine del 1821. Consecrato a Parigi, li 2 di giugno 1822, fu solennemente ricevuto a Mende, li 22 luglio dell'anno stesso. Qui comincia per lui un'epoca novella di zelo e di sollecitudine. Chiamato a governar quella Chiesa, vi giunge dopo trentatrè anni di sperienza e riuscita nell'amministrazion vescovile. Quantunque sessagenario, egli era tuttavía pieno di vigore e prometteva una lunga carriera. Ei tracciossi una regola di condotta, dalla quale non si è giammai scostato. Riguardavasi come una sentinella vigilante, collocata agli avamposti del campo del Signore per vegliare alla sicurezza della santa milizia, e confortarla a' buoni successi. Insisteva perciò nell'opera sua con un ardore infaticabile. Fu veduto senza intermissione dirigere i pastori, sovvenirli de' suoi lumi e de' suoi consigli, rilevare il loro coraggio, difenderli contro a' lor detrattori, sottrarli a' pericoli della inesperienza e della debolezza, mostrarsi, in una parola, padre saggio, tenero, pieno di vigore contro agli abusi, ma proclive ad accogliere con festa il pentimento, ed a colmare de' soccorsi di sua carità quelli ch'era obbligato a far piegare sotto la verga della sua autorità. Tal era la condotta della sua amministrazione.

Egli era l'anima di tutte le opere, nelle quali avevano interesse la religione e l'umanità. Per la valida sua protezione,

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