Obrazy na stronie
PDF
ePub

tato il grande Sant'Agostino riguardo a questo medesimo argomento. Accintosi ancor giovane, cioè a quanto pare poco tempo dopo la sua conversione, a scrivere un'interpretazione letterale della Cosmogonia Mosaica, non andò guari che tantæ sarcina mole succubuit, come dice egli stesso nelle Ritrattazioni (1), e lasciò l'opera in tronco (2). Assai più tardi si rimise al lavoro; ma del vecchio non riprese che il titolo - De Genesi ad litteram, — e scrisse un'opera (una certamente delle più rimarchevoli del grande Dottore), tanto diversa dalla prima, con tanto maggiore elevatezza d'idee, maggiore acume d'interpretazione, larghezza di vedute e libertà di giudizî, che basterebbe da sola a dimostrare quanto valga lo studio amoroso e continuato delle Sacre Carte, secondato dalla preghiera e dalle opere sante, ad aprire sempre nuovi orizzonti; quanto valga ad accostare il credente sempre più a quel vero, che, nei dettati dello Spirito Santo, all'occhio profano sotto la lettera si nasconde, con sì maravigliosa potenzialità, che a null'altro si converrebbe meglio il paragone di una sorgente inesauribile, a cui hanno potuto e potranno venire ad attingere sempre nuove acque tutte le credenti generazioni, fino alla fine del mondo.

Ora, se un genio, com'era quello si acuto e sconfinato di Agostino, da tanta grazia di santità illustrato e sorretto, trovò necessario di rivenire, non una, ma molte volte, con sì vario indirizzo, sullo stesso tema (3), non solo per completare, ma per modificare e correggere le

(1) Libro I, Cap. XVIII.

(2) De Genesi ad Litteram imperfectus liber.

(3) Sant'Agostino ritorna ad ogni istante sulla storia della creazione, non solo nelle due opere, l' una incompleta, l' altra completa De Genesi ad litteram, in cui l'argomento è trattato ex professo, ma in molte altre, ed anche diffusamente, principalmente nei libri De Civitate Dei e De Doctrina Christiana.

proprie opinioni e i propri giudizî; si pensi che cosa dovesse accadere ad un uomo di piccolissimo ingegno, quanto a virtù non consapevole d'altro che della propria debolezza, che ritentava, dopo più di quattordici secoli, di fronte alle formidabili e sempre progressive esigenze della nuova scienza, di fronte alla critica moderna incontentabile e scettica, di fronte ad un tradizionalismo tanto radicato nelle coscienze, l'argomento spinosissimo di una letterale interpretazione della Cosmogonia mosaica. Che cosa gli dovesse accadere, lo intenderebbe soltanto chi si fosse anche lui per molti anni ingolfato in questo genere di studî, o almeno avesse preso una discreta cognizione di quella serie di Exemeron, o Commentari trattati sulla Cosmogonia mosaica, che si numerano, per dir poco, a centinaja, cominciando dai primi Padri della Chiesa, fino ai più moderni scrittori o commentatori di cose sacre.

Ho accennato in genere alle difficoltà che s'incontrano nell'interpretazione letterale delle Scritture, e massimamente di quel primo capitolo della Genesi, che contiene la storia rivelata della creazione. Quanto siano grandi quelle difficoltà, lo mostra appunto già per sè la moltitudine degli scritti in argomento, antichi e moderni, da cui risulta che non c'è forse Padre, o Dottore, o Apologista, o Esegeta, che non abbia sentito il bisogno di rifarsi sull'arduo tema, e tutti, e sempre, bene o male, con nuove vedute, con nuovi tentativi di letterale o di allegorica interpretazione. Lo mostra sopratutto il fatto, doloroso ma innegabile, che nessuna delle proposte interpretazioni venne fino ad oggi o sancita dalla Chiesa, o per lo meno accettata dalla maggioranza dei fedeli. Non c'è forse altro argomento in cui regni tanta incertezza e tanto bujo.

La difficoltà massima tuttavia, per chi avesse voluto

ritentare la prova ai nostri giorni, doveva essere, in questo genere di argomenti che riflettono o la storia fisica del globo, o la storia, o alcuna insomma delle scienze positive moderne, doveva essere, dico, il tanto e forse troppo proclamato bisogno di accordarsi appunto colla scienza moderna, e nel caso concreto della storia della creazione, con quel concetto moderno, infinitamente complesso del Cosmos, che è la sintesi, elaborata da tanti genî famosi nelle scienze sperimentali; doveva essere principalmente l'accordare, nel suo inesorabile laconismo e nella sua rude semplicità, la storia cosmogenica scritta da Mosè con quell'astronomia e quella geologia che, con tanto lusso di scoperte e tanta esuberanza di prove, hanno dischiuso agli umani intelletti gli abissi incommensurabili dello spazio e del tempo. Come, confrontando la breve e semplice lettera della Bibbia, colla vasta elaborata congerie dei trattati scientifici, non ne sarebbe nata, per quanto solo apparente, una visibile contraddizione, quindi un urto ai credenti stessi formidabile?

La contraddizione, ch'io ripeto non poter essere che apparente, per ciò che riguarda il racconto di Mosè, si accampa specialmente là dove nasce il confronto tra la lettera che numera i sei giorni impiegati nello svolgimento dell'universo; e, non diremo l'ipotesi ma il fatto indiscutibile, di quella quasi direbbesi infinità del tempo. impiegato nella fabbrica del mondo dalle forze associate di tutti i grandi agenti della natura. La ripugnanza ad ammettere il mondo creato in sei giorni, non nacque però soltanto dalle grandi scoperte, o dopo le grandi scoperte che assicurano al pianeta una tale antichità, che è troppo breve unità di misura per essa un milione di secoli. Questa medesima ripugnanza si provò sempre.... al

meno fin dal principio dell'êra volgare; anzi, a quanto pare, dal momento in cui la scienza greca si trovò faccia a faccia col dogma ebraico nelle scuole dei filosofi Alessandrini. La ripugnanza aveva in allora altre ragioni; ma queste pur troppo assai minori di quelle che potrebbero in oggi accamparsi. La sentì al massimo Sant'Agostino, come senti e vide coll'acume del suo genio, credo pel primo, la necessità di rompere la barriera del tradizionalismo, perchè potesse l'umana ragione, senza rinunciare a' suoi sacrosanti diritti, accostarsi anzi inchinarsi alla fede, onde nè quella ribellandosi a questa, si rendesse rea di pervicacia, nè questa, ostinandosi contro di quella, fosse costretta all' assurdo od esposta inevitabilmente al ridicolo.

Vedremo a suo tempo come le ragioni addotte da Sant'Agostino, dando una profonda scalfittura al tradizionalismo, e presentando, almeno per qualche parte, la soluzione del problema delle sei giornate, avrebbero dovuto avviare più presto gli esegeti ad una soluzione completa del problema stesso. Ma esso rimase, e giunse insoluto fino a noi; e col problema, la ripugnanza ad ammettere il valore storico della Cosmogonia mosaica; ragione perenne di dubbî penosi da parte dei fedeli addottrinati, e di aperta ribellione da parte degli increduli. Quando io, sui miei vent'anni, quasi ignaro fin del nome di geologia, mi diedi, più sulle montagne in natura che sui libri, ad occuparmi di questa scienza, quanto al racconto mosaico si nuotava ancora in pieno tradizionalismo. Le scienze naturali, specie la geologia, erano tenute d'occhio, come si può tener d'occhio dalla polizia la persona di un pregiudicato. Non so se alcuno avrebbe osato allora, non dirò mettere in dubbio, ma nemmeno porre in di

scussione la comune credenza della materiale universalità del diluvio noetico. Quanto ai sei giorni della creazione, si cominciava appena a poter dire impunemente (pur troppo, come vedremo, con sostituzione arbitraria di lettera a lettera) doversi intendere, non di sei giorni, come si chiaramente ed esplicitamente è detto nella Genesi, ma di sei grandi epoche: opinione questa, come vedremo, falsamente attribuita a Sant'Agostino. Si capisce facilmente come, in mezzo a questo, potesse far furore tra i buoni fedeli il libello di Victor de Bonald - Mosè e i geologi moderni, non superato più tardi che dall'altro libello - La geologia e il diluvio, del P. Bosisio (1), prodotti ambedue da ignoranza accoppiata a quel falso zelo, che è fatto apposta per tradire la verità, mentre vuole difenderla.

Educato nella fede più severa e scrupolosa, avviato al sacerdozio, e al tempo stesso trascinato, quasi per istinto, alla ricerca delle ignote ragioni, per cui vedevo sparsi di tante marine conchiglie i miei monti, e tutta intorno a me gravida di misteri l'immensa natura, è naturale che io tenessi di continuo rivolto lo sguardo, non senza tormentosa incertezza, da una parte alla scienza che vedevo avanzarsi gigante, dall' altra alla Bibbia, e specialmente a quella Cosmogonia mosaica, che mi sembrava ogni giorno più impicciolirsi, e divenire insufficiente di fronte al grande ideale della storia dell' universo. Poteva egli il vero contraddire al vero? mai più!... Dunque avanti con coraggio! avanti con quella libertà, che Dio ha concesso, come inviolabile privilegio, all'umana

(1) Vedi la mia opera: Il Dogma e le scienze positive, II Ediz. (Milano, Dumolard, 1886). V. le note a pag. 189 e 201.

« PoprzedniaDalej »