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disse il Boccaccio. Però il poco di lume, che pur trapela dal suo racconto a spiare in che stato gli autografi fossero lasciati da Dante, fu trascurato da tutti. La questione parendo poscia insolubile, non fu toccata; perchè dove il vero è creduto impossibile a ritrovarsi, molti saviamente, da' Teologi in fuori, stimano che non sia cosa necessaria nè utile l' indagarlo. Tuttavia nè il sogno, nè il racconto del sogno, nè gli abbellimenti del narratore, sono cose fuor di natura; e lasciano anche discernere Quali cagioni contribuissero a nascondere e ricovrare que' manoscritti Se l'autore avesse finito o intendesse di ritoccare il poema Come e quando fosse conosciuto dal mondo. Questi dubbj, a chi non gli esamina, indurranno e devo e dovrò mio malgrado ridirlo — all' assurda credulità in codici venerandi, congetture dottissime, nuove date; e disfare e rifare quanto altri avrà fatto, e ricominciare a ogni poco a non mai vederne la fine. Adunque, poichè le nozioni storiche senza le quali regola alcuna di critica emendazione non può mai stabilirsi, sono taciute da tutti, e non cominciano a traspirare se non se da quella visione poco credibile, giovi quanto può la visione;

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Quand' anche il sogno a noi viene dall'alto.

Il dare e il negare fede a ogni cosa, induce gli occhi a chiudersi ostinatissimi a non discernere quel tanto di falso, di che la fantasia umana vuol a ogni modo vestire il vero; o a perdere quel vero, il quale è pur sempre occulta radice d'ogni finzione. Dalla favola sotto appa

renza di storia, e dalla storia vestita da favola, emerge egualmente la realtà nuda di que' fatti che sono certi e perpetui, perchè si stanno nella natura invariabile delle cose. Gli storici mentono spesso, non per disegno premeditato; bensi perchè il genere umano non può mai vedere cosa veruna se non a traverso di mille illusioni; e quando pure assai circostanze d'un fatto non sieno vere, le guise di narrarlo rivelano come l'immaginazione esercita diversamente in tempi diversi la mente degli uomini. Di quante e quali illusioni la posterità dovrà spogliare gli scrittori de' nostri giorni a conoscere il vero negli avvenimenti, non so parmi di presentire, che la nostra filosofica credulità intorno a' progressi illimitati dell' umano intelletto sarà allora smentita dalla tarda esperienza, e compianta più ch' oggi non deridiamo la credulità religiosa degli antichi a' lor sogni, e alle apparizioni de' morti.

XXVIII. Che se il Boccaccio, e il discepolo, e i figliuoli di Dante congiurarono ad ingannare i posteri, per che privilegio avrebbero essi potuto mentire impudentemente a' loro coetanei? A che pro le circostanze mirabili intorno a un fatto conosciuto falso da tutti? Se la divina commedia fosse stata pubblicata dall' autore, la apparizione sarebbe stata impostura patentissima ad uomini interessati a non perdonarla. Nè i persecutori di Dante, nè i Fiorentini, piagati da lui nella fama, erano tutti morti; i figliuoli di lui si speravano di riavere parte non foss' altro del loro patrimonio; nè la Repubblica inco

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minciò a dare segni di compassione per la famiglia raminga, degli Alighieri, se non venti e più anni dopo che era già orfana ed impotente. Al Boccaccio non mancavano emuli e riprensori accaniti'. Andando a Ravenna, ottenne dal comune forse in via d' elemosina, che si soccorresse la figlia del poeta, monaca in quella città '; e dove non è da credere che niuno de' suoi concittadini vi fosse mai stato, o ch' ei non temesse di essere smentito da essi quando affermava di narrare cose udite da quanti erano stati intorno al letto dell' esule morente 3. Forse Piero Giardino e Piero di Dante furono illusi da Jacopo o Jacopo s' illudeva da sè: o forse, come talvolta incontra, sogno e il caso si sono combaciati alla cieca. L'esame de' fatti nel processo di questo discorso farà trasparire per avventura le origini vere del sogno; nè a' discepoli, nè a' figliuoli, nè allo storico rincresceva che l' opera acquistasse più fama dall' ombra dell' autore apparsa a preservarla intera, e far fede ch' ei non era morto dannato: e questo potrebbe fors' anche attribuirsi a pia frode, a proteggere la sua memoria da coloro che gli negavano di giacere fra cadaveri in luogo sacro. Comunque si

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'Decam. prologo alla Giorn. Iv-e la sua lettera latina pubblicata dal Tiraboschi Stor. vol. V. pag. 564. Ediz. Pisana.

a

2. Nel 1550, in un libro di Entrata e Uscita dell' Archivio di Or San Michele di questa Patria, sotto il mese di Decembre si pagarono a lui (Boccaccio) da' Capitani di Or San Michele lire dieci di moneta, perchè le desse a Suor Beatrice figliuola di Dante Alighieri, Monaca nel Convento di Santo Stefano di Ravenna, ove per avventura era Giovanni per portarsi. » Presso il Manni, Illustr. del Decamerone, Part 1. cap. 12, ult.

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3 BOCCACCIO, Commento alla Divina Commedia, Canto 2.

4 Vedi dietro sez. XIII.

DANTE. 1.

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fosse, quanto le circostanze del miracolo avevano meno del verosimile, tanto più richiedevano d' essere adonestate dalla occasione che le produsse; e che ogni uomo sapesse, e niuno potesse negare, che il poema fu pubblicato più tempo dopo che l'autore morì. E se fosse stato conosciuto prima, chi mai non l'avrebbe inteso a que' giorni? e perchè mai gli amici e i figliuoli di Dante e il Boccaccio avrebbero provocato, e come scansato il titolo d' impostori? Ma se la commedia fu letta più tardi dagli uomini, la visione di Jacopo, quand' anche non fosse stata creduta da molti, non poteva essere contraddetta. Anche i preti ne predicavano di così fatte; e le scuole, a provare l' incorporea essenza dell' anima, affermavano la dottrina della divinazione per ajuto di sogni'.

XXIX. Bensi i pochi fatti schietti che usciranno dalle meraviglie del racconto del Boccaccio, sono convalidati dal silenzio assoluto di Dante intorno alla sua grande opera. Le ragioni di tanto silenzio concorrono a dimostrare ch' esso nè voleva, nè poteva, nè doveva pubblicarla, se non quando le condizioni d'Italia l'avessero comportato. Ben ei parla talor del poema; ma non altrove che nel poema. Sentiva altamente, e nol dissimulava, di essere stato promotore illustre della poesia Italiana '; e nondimeno ne' suoi trattati in prosa, recita versi dalle sue canzoni, e non uno mai del poema. Allude al libro

Convito, pag. 120.

2 Inf. cant. xv. vers. 55. seg. Purg. cant. xI. 102. seg. xI. 97. seg. XXII. 52. seg.

su l'ELOQUENZA VOLGARE come cosa da farsi '; e ricorda spesso la VITA NUOVA nell' opera sua del CONVITO, diretta anch' essa―« a perpetuale infamia e depressione delli malvagi uomini di Italia, che commendano lo Volgare altrui, e lo proprio dispregiano » — anzi illustra le sue Canzoni per provvedere alla sua fama - « perch' io mi sono fatto più vile forse che il vero non vuole, non solamente a quelli (Italiani) alli quali mia fama era già corsa, ma eziando agli altri, onde le mie cose senza dubbio meco sono alleviate 3; convienmi, che con più alto stilo dea nella presente opera un poco di gravezza, per la quale paja di maggiore autorità 4. « Queste parole scrivevale dopo ch' era trapassata la sua gioventù 5—la quale, al parer suo, « nel quarantacinquesimo anno si compie » e quando egli mai non arrivò alla vecchiaja. Lasciò a mezzo le altre opere, e aveva composta a ogni modo in gran parte, se non terminata del tutto, la sua commedia. Or se fosse stata o intera o in parte conosciuta dagli Italiani, sarebbe egli importato a Dante di ajutarsi a sollevare la sua fama commentando le sue canzoni? Inoltre, nel libretto della Vita Nuova ei de

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■ Di questo si parlerà altrove più compiutamente in un libro, che io intendo di fare, Dio concedente, di Volgare Eloquenzia. Convito pag. 76.

* Convito, pag. 95.

3 Diminuite in peggio; ed è l' unico esempio ch' io sappia d' alleviare in questo significato. Se gli Accademici lo avvertirono e lo rifiutarono sono da lodarsi, caso che l'abbiano fatto per ciò che i troppi sensi diversi assegnati alla stessa parola sono scabbia pessima delle lingue.

4 Convito, pag. 75.

5 Ivi. pag. 67.

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Ivi, pag. 260. e qui, sez. cv.

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