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co' Fiorentini fu egli írremovibile. Deciso nel suo progetto, non pensò che ad accelerare i già cominciati preparativi guerrieri, e perciò si trattenne in Tivoli nello inverno nella primavera, e nella estate di detto anno con incomodo sommo di tutti i Cittadini per la insolenza delle sue soldatesche (1). Durante il suo soggiorno in questa Città accaddero degli aneddoti degni di special menzione. Insinuò ai Tiburtini di render più forte la loro Patria, non si sa se per zelo di maggior difesa, o per garantire le sue numerose trup. pe da qualche nemica sorpresa. Si principiarono pertanto a risarcire le fortificazioni esteriori dalla parte del Monastero di S. Clemente, e sugli argini della porta de' Prati, ora S. Giovanni, fino alla porta Avenzia, situata in quel luogo, ove s' inalzano attualmente le quattro Torri fabbricate, come si vedrà, da Pio II. Furono riattate le mura, ed in parte costrutte di nuovo, sulle quali furono eretti di tratto in tratto de' piccoli Fortini per ferire lateralmente gli aggressori. Asserisce il Gobellino (2) che tutti questi lavori furono eseguiti a spese del Re. Accorrevano quindi dal Regno di Napoli, e dall' alta Italia Soggetti qualificati per fare la corte ad Alfonso, o per trattare con esso degli interessi politici del giorno. Fra gli altri ono

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(1) Nicod. loc. cit. cap. 30.
(2) Comment. Pii II.

rò Tivoli in questa circostanza S. Giovanni da Capistrano dell' Ordine de' Minori. Viaggiò egli più volte dall' Abruzzo in Roma, e da questa Capitale allo Abruzzo per promuovere la canonizzazione di S. Bernardino da Siena. Per questo, e per altri oggetti ancora si portò in Tivoli presso quel Re, recando rimarchevoli vantaggi al benessere spirituale de' Tiburtini, e segnatamente di quelle famiglie potenti divise in fazioni (1). Siccome poi il Re Alfonso era benefico protettore de' Letterati, così molti di questi trovavansi in Tivo❤ li nella sua Corte. Oltre Antonio Beccadelli detto il Panormita suo Segretario, Bartolomeo Fazio suo intimo confidente, furono ad ossequiarlo ancora Flavio Biondo, e Lorenzo Valla (2). Finalmente, seguita la morte di Francesco Maria Visconti, il Re Alfonso, dopo avergli fatto in Tivoli le lugubri esequie con pompa reale, sul finire del mese di Agosto sloggiò da questa Città con tutto lo esercito, e prese la rotta verso le frontiere To

scane.

34. Non é facile a decidersi sulla testimonianza de' patrj Scrittori, se i Tiburtini sentissero con piacere la partenza di quel Re di Napoli. Il Nicodemi ci dice, come già si è

(1) Cataneo Vit. di S.Gio. da Capistrano lib. 2, e 3. Nicod. loc. cit.

(2) Tiraboschi Lett. Ital. Tom. 6. part. 2. Valla Laurent. Oper. pag. 354

accennato, che le sue truppe gravissimi dan. ni recarono tanto nella Città, che nella campagna (1). Il Del Re al contrario suppone, che la generosità Spagnola non si lasciò vincere di cortesia, che si vendettero le derrate a prezzi altissimi, e che gli abitanti erano pieni di monete di oro chiamate Alfonsine (2). Comunque sia sembra certo, che tutti i buoni cittadini, amanti della pubblica tranquillita, ebbero a caro, che quel Principe se ne andasse con Dio, e che la Città restasse libera da tante truppe straniere, la società delle quali è sempre pregiudizievole al buon ordine, ed al costume.

35. Allontanatasi da queste contrade, e da Roma l'armata Aragonese, il Papa Niccolò rivolse tutte le sue cure paterne al benessere de' suoi sudditi, ed i Tiburtini ancora furono partecipi delle sovrane beneficenze. Il più importante prodotto delle rendite pubbliche di Tivoli consisteva già da gran tempo nel Dazio del Pedaggio. In seguela delle guerre, e di tanti altri malanni di sopra descritti, da quali quella Città era quasi giornalmente molestata, le ordinanze a quello relative erano oltremodo neglette, e pochi rispettavano la loro osservanza. Per poter ridonare alle medesime il vigore primiero, implorarono i Tiburtini l'autorità del Sovrano, ed ottennero lo intento.

(1) Nicod. loc.cit.

(2) Ant. del Re cap. 8.

Imperciocchè con Breve Pontificio, che ci è stato conservato dal Nicodemi, colla data dei 26. Novembre 1447. fu confermato a favor loro il diritto inveterato di esigere il Dazio predetto da tutti quelli, che con merci, e derrate transitavano pel territorio Tiburtino (1). Per profittare con ogni effetto del beneficio ricevuto, furono prese dalla Città altre opportune misure. Essendosi riconosciuto, che la posizione della succennata Porta Avenzia porgeva comodo ai malintenzionati di defraudar la Gabella, si stabili di chiuderla conforme fu fatto. Quindi dilatando le mura castellane, fu allora costrutta, ed aperta la odierna Porta di S. Croce (2). Ciò non ostante si fatte precauzioni non giovarono pienamente all'oggetto bramato, giacché i Conti di Tagliacozzo, di Vicovaro, ed altri Baroni confinanti ricusavano con prepotenza di uniformarsi alle leggi, e di pagare quel Dazio. Ricorsero nuovamente i Tiburtini a Sua Santità, implorando di nuovo la sua giustizia; ed egli colla solita bontà emanò altro Breve in data dei 17. Ottobre 1448. confermando specialmente tutte le Giurisdizioni, tutte le Leggi, e tutti gli Statuti della Città (3). Ma ad onta di tuttociò i predetti Baroni ricalcitra

(1) Nicod. loc. cit.

(2) Idem loc. cit.'

(3) Statut. Tib. lib. 5. cap. 31.

vano tuttavia, per cui i Tiburtini deliberarono di far valere le loro ragioni colla forza delle armi, divenuto però mediatore l'ottimo Sovrano, troppo amante della pace de' suoi sudditi, fece si, che le ostilità o non cominciarono, o cessarono all'istante (1).

36. Nello anno 1449. susseguente a queste contese, grandi calamità afflissero la nostra Patria. Il terremoto subissò molte abitazioni, e la peste distrusse molte famiglie (2). Pur tuttavia i Tiburtini nello anno appresso 1450. furono in istato di soccorrere la penuria, e la fame di Roma, a cui mandarono duecento rubbia di farina ridotta con singolar sollecitudine in fresco, e bianchissimo pane (3). In questo medesimo anno 1450, dopo 22. anni di governo della Chiesa Tiburtina, cessò di vivere il Vescovo Niccolò de' Cesari.

37. Il Papa avendo ricevuti dei disgusti da Romani, benchè da esso sommamente beneficati, ed essendo noto ai Tiburtini, che la dimora di Roma gli era molesta, fu invitato da essi a portarsi nella prossima estate a respirare le aure più fresche delle loro Colline. Accettò quegli lo invito, e nell'anno 1454. trovavasi in Tivoli. Per escludere ogni timo

(1) Nicod. loc. cit.

(2) Idem cap. 30. In eadem tempestate ob terraemotus plures corruerunt aedes, ob pestilentiam plures desierunt familiae.

(3) Idem loc. cit.

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