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voce sorgere da queste ruine per rinfacciarvi la vostra viltà, onde meritamente perdeste l'impero universale del mondo? Ma sperse andarono le voci di quell' animoso. Usciti i Romani dalla schiavitù, ove è tutto silenzio, diffidenza, terrore ; ove si impara ogni giorno a tacere, ed anco a dimenticare; comprender poteano la muta loquela dei simulacri solamente da nobilissimi spiriti intesa ? Tanta è la gloria dell' arti vostre che avrebbero potuto, non che dividere colle lettere il vanto di promuovere e di ricompensar la virtù, emendare ancora le colpe degli uomini e della fortuna.

ELOGIO

DI

ANDREA ORGAGNA

LETTO

NELL' ACCADEMIA DELLE BELLE ARTI

IL GIORNO DEL SOLENNE TRIENNALE CONCORSO

DEL 1816.

Il sublime, quell'arcano sentimento che gli animi nostri percuote, signoreggia ed esalta, per cui tanto si disputò dai filosofi e s' insegnò dai retori, io mi penso, Accademici ornatissimi, che nelle vostre discipline possa più dall' architettura destarsi che dall' altre due arti che sono a questa sorelle. Essa più splendidamente attesta colle sue opere la maestà della religione, la fortuna dei popoli, la possanza dei e sollevandosi nell'imitazione al di sopra degli oggetti creati, non dà luogo a quel paragone che nella pittura e nella scultura facciamo tra la finzione ed il vero. Qual vi ha così timido intelletto che, cessato l' istante dell' ammirazione, non vada nei dipinti e nelle statue ogni parte confrontando colla natura? Ma troppo dal modello che

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questa gli offre l'opere dell' architetto s'allontanano perchè soggiacciano a questo paragone, che se accresce il diletto, scema pur la sorpresa giudicare della utilità e della durata d'un edifizio, se il luogo ne sia ben scelto, se le parti abbiano proporzione fra loro, se negli ornamenti varietà e parsimonia ad un tempo si trovi, a pochi e addottrinati ingegni è concesso. Sembra allora che l'architettura sottoponendosi a rigido esame si rimanga bell' arte, dall' esser e assuma tutta la severità delle scienze. Ma lasciando di svolgere maggior mente questo mio pensamento, qual animo è così basso che dinanzi alla loggia 1 che si architettò dall' Orgagna non si sublimi, e non ammiri la magnanima audacia della mente che la ideò e del secolo in cui fu inalzata? E il nostro giudicio esser non può ingannato dall' ammirazione: n' assicura per tutti il suffragio del Buonarroti 2. Quindi mi cadde nell' animo d'offrire alla memoria d'Andrea Orgagna 3 un omaggio di riconoscenza e di lode; nè mi sgomentò la censura degl' ingrati disprezzatori delle patrie antichità, che con dotta nausea tutto riprendono, dimenticando che i progressi dell'arti risultano dal movimento ch' esse ricevettero nei loro principj, come quelli della mente umana dalle prime idee che l'educazione o il caso v'impresse. E l'esempio di tanto uomo non accenderà, o giovani valorosi, quelli soltanto fra voi che attendono all' architettura: ad ornarlo concorsero le tre arti, ed io nelle lodi di esso seguirò quell' ordine che la loro antica divisione m'addita. Ma prima è prezzo dell'opera il narrarvi quali fossero ai tempi dell' Orgagna i costumi, i governi 4, che così

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potentemente influiscono sul destino delle lettere e dell' arti, innanzi che l'une e l'altre ridotte a certe regole, partano più da queste che dal sentimento e la natura al metodo e non il metodo alla natura s' adatti. E certo niun secolo più di quello che a descrivere io prendo, ricco sembrerebbe di colpe e di sventure, se le querele dei contemporanei, ripetute ognora dai posteri, sovente non fossero più libere che giuste. Ma nei mali veramente grandi e inevitabili per l' uman genere una voce appena trovasi pel dolore, e mille per la lode.

Dopo la pace di Costanza non posò la misera Italia, ma i piccioli stati nei quali era divisa, o schiavi o discordi, soffrirono l'onte della servitù o i furori della licenza. Non pietà dell'offesa giustizia ma gara d' uffici e furore di parti regnava negli accesi animi dei cittadini di quelle repubbliche lacerate dall'incomportabile orgoglio di grandi corrotti e superbi, e dall' arrogante viltà di plebei timidi e loquaci. Le fazioni non ancor vincitrici erano già discordi: rimedio si chiamavano i delitti, e l'esiglio o la morte puniva coloro che da' brevi ed infausti amori del popolo traevano infelice baldanza. Quindi fra ludibri e pericoli incerta fortuna, affannosa potenza, e uguale necessità pe' buoni e pei rei d' uccidere o di perire. A quei feroci sembrava sventura il vincere senza sangue nelle guerre civili, e stanchi d' esser crudeli divenivano avari. Ogni città racchiudeva famiglie alla quiete del popolo fatali, e dalle loro inimicizie nasceano nuovi ordini, nuove sette, nuove colpe e nuovi nomi. In quello spazio di tempo in cui visse l' Orgagna i Fiorentini sottrattisi appena alla soggezio

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