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pedanti. Non di rado l'osservanza divien superstizione, e le menti codarde chieggono il premio dovuto ai generosi intelletti; quasi fosse gran vanto il non cadere in colui che vilmente sull' orme altrui pone mai sempre il piede. Certamente fu solenne errore quello dei nostri padri che s' avvisarono doversi por mente alle cose e non alle parole, e disgiungere il vero da ogni pregio d' eloquenza. Ma i nostri posteri, che voglio sperar più saggi di noi, chiederanno quale utile abbia tratto l'Italia dalle nostre misere gare; se poche pagine del Verri, del Beccheria, del Filangieri non onorino la nostra nazione più di tanti libri simili alle battaglie del Muzio, quantunque negli scritti di quei valenti filosofi si desideri la purità della lingua. Ma i loro libri invogliarono gli stranieri a tradurgli, e mercè di essi viva si mantenne e si accrebbe presso tutte le colte nazioni la fama della sapienza politica degl' Italiani; e, quel che più vale, molti errori furon distrutti, molte lacrime furono asciugate; mentre adesso le nostre dispute fanno pianger la ragio. ne, e sorridere i nostri nemici. Deh vergogniamoci della nostra fama! deh per dio non si rimetta in fasce il senno italiano; quasichè la malignità della fortuna sia tanta di vietarci studj migliori !

1) Io non presumo d'aver detto nulla di nuovo in questo discorso che per compiacere al desiderio d' un amico faccio di pubblica ragione: ma mi giovi il rammentare, che senza risalire ai principi ideologici, tutte le dispute intorno alle verità più importanti in fatto di lingua si prolungano all'infinito; perchè i fatti medesimi, qualor non sieno discussi ed ordinati dalla ragione, non fanno scienza.

2) Plin. Hist. nat.

3) Sono parole del chiarissimo sig. Grassi, il cui egregio lavoro intorno ai sinonimi ogni generoso italiano dee bramar di vedere continuato.

4) Vedi Gibbon.

SUI RUDIMENTI DI FILOSOFIA MORALE

PER USO DEGLI STUDENTI

DELL'UNIVERSITÀ D'EDIMBURGO

DI DUGALD STEWART.

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on può essere nostro intendimento il dare un estratto di questa operetta, perchè essa non contiene che pochi fondamentali principj distribuiti in quell'ordine che il celebre A., seguendo il corso delle proprie idee, giudicò il più conveniente. Noi ci proponiamo soltanto di manifestare candidamente la nostra opinione intorno a quelle cose che in questo libretto ci sono sembrate lontane dal vero. A chi ne richiegga di qual misura abbiamo fatto uso nei nostri giudicj, francamente risponderemo di esserci attenuti ai pensamenti del Locke, del Condillac, e del più illustre fra i loro seguaci perchè noi siamo colle debite restrizioni persuasi ch' essi, meglio d'ogni altro filosofo, conobbero i fatti relativi all' umano intelletto. Non altrimenti

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adoprò il professore di Edimburgo li cui asserti ci siamo prefissi di esaminare. Egli nel dar sentenza di quei famosi che dopo il risorgimento delle lettere illustrarono le scienze morali, non si diparti dalle norme della sua scuola, e parve che tenesse un occhio fisso sui loro libri, e l'altro su quelli del Read e dell' Hutceson, per non commettere la colpa più leggiera sia nel biasimo sia nella lode 2.

Or come la fiducia in quelle sue decisioni fu in noi proporzionata a quel grado di vero, che ci parve di scorgere nei principj filosofici della scuola scozzese, così non dubitiamo che le opposizioni che anderemo di mano in mano facendo al sig. Dugald Stewart prenderanno nell'animo dei nostri lettori qualità dal concetto che riguardo alle dottrine per noi seguite fermarono nella mente. In ogni caso l'istituire un confronto della maniera nella quale le facoltà dell' animo nostro vengono considerate dai filosofi di due emule nazioni 3 non può essere riputato inutile che da coloro i quali, tratti dalla dolcezza d'altri studj, vituperano questi più gravi, e da quei molti che dal pensare s' astengono come dalla maggiore delle fatiche.

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cc Osserva il N. A. che come la cognizione degli oggetti del mondo materiale posa sui fatti ac« certati dall' osservazione, così la scienza relativa « allo spirito umano s' appoggia ai fatti dei quali « è testimone la nostra coscienza. Quindi sol riguardando ai subietti di questa, conviene stu« diare l'animo nostro : nelle scienze naturali poi pongasi mente agli oggetti delle nostre perce<< zioni >> A noi sembra certo che prima d'aver sentito qualche cosa, non possiamo avere idea alcu

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na delle nostre potenze intellettuali. Questa espe. rienza non ha luogo senza l'impressione degli oggetti e quantunque vi abbiano due cause generali delle nostre cognizioni, la mente nostra da un lato e dall' altro i corpi che ella non conosce se non per le sensazioni ch'essi producono in lei, non pensiamo per questo che vi sieno due scienze, una figlia delle pure facoltà della mente nostra, e l'altra originata dall' applicazione delle facoltà medesime agli oggetti. Ma forse per iscienza dell'anima il N. A. non intese che quella che nasce dall' esaminare quello ch'essa fa: ma lo studio delle sue proprietà, delle sue leggi, dei suoi limiti non può, neppure nell' ipotesi del Kant, separarsi da quello degli oggetti esterni. E convien sempre togliere quello che vi ha di moltiplice e di vario nelle nostre cognizioni, per conoscere quello che appartiene alla materia, e quello ch'è proprio soltanto della forma.

Non intendiamo negare i fatti dei quali la nostra coscienza è il mallevadore: ma conviene che questi sieno primitivi e inesplicabili. Notò saviamente un solenne filosofo a quanti pericoli soggiacerebbe l' umano intelletto se ogni volta che in se ritrova un'idea estremamente complicata, se ne rimanesse col dire : io ne ho la coscienza, io ne ho il sentimento. Rintracciamo, per quanto è in noi, l'origine di quanto ci cade nel pensiero; affatichiamoci nel separare il falso dal vero: se no altri impostori ed altri imbecilli erigeranno sulla nebbia che la stupidità converte in diamante, nuove moli di errore, e si riapriranno quelli abissi nei quali la nostra ragione fu per tanto tempo inghiottita.

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