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Francesco Guicciardini commissario del papa all'esercito della lega contro Carlo V. L'amicizia di quel solenne istorico non gli era venuta meno ancora nelle sventure.

Tornato dal campo alla patria fatta libera, vi morì nei 22 giugno del 1527 in età d'anni 58, e secondo il Busini, per dolore di vedersi posposto nell'ufficio di segretario al Giannotti, perito ancor esso dei governi civili, e valente scrittore, ma non tale che debba essere preferito al Machiavelli, seppur non vogliamo per vaghezza di nuove opinioni perdere il bene dell' intelletto. Il Varchi con saldi argomenti combatte la credenza che alla ricordata cagione attribuisce la morte del Machiavelli, ma col Busini s'accorda nel dire che il libro del Principe fece lo scrittore odioso all' universale. Allor fu aborrito dai buoni, perchè disonesto; temuto dai malvagi, perchè più tristo di loro; parve ai ricchi che insegnasse a tor loro gli averi, ai poveri l'onore, a tutti la libertà. Non è qui loco a ribat tere queste accuse e d' esaminare se nel Machiavelli le doti dell'animo andarono del pari con quelle della mente: sol dirò che nei pubblici affari si portò con tale integrità, che ei morendo lasciava in somma povertà i suoi figli. Se nella novella di Belfegor volle ritrarre l'indole della sua moglie Marietta Corsini, convien credere che il matrimonio non fosse piccola parte delle sue gravi fortune. Fra i moderni scrittori nessuno più sapientemente dello Stewart pose in luce i pregi del Machiavelli. Il Roscoe, fautore della potenza Medicea, afferma che esso non era uomo di genio. E a questa affermativa risponderemo con un sorriso

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1) Parlando della necessità di rinnovare i regni e di ridurre le leggi di quelli verso i suoi principj, egli dice riguardo alla Francia queste memorabili parole: » E' si vede quanto buon effetto fa questa parte nel regno di Francia, il qual regno vive sotto le leggi e sotto gli ordini più che alcun altro regno. Delle quali leggi e ordini ne sono mantenitori i parlamenti, e massime quel di Parigi: le quali sono da lui rinnovate qualunque volta e' fa un' esecuzione contro ad un principe di quel regno, e ch' ei condanna il re nelle sue sentenze. E sino a qui si è mantenuto per essere stato un ostinato esecutore contro a quella nobiltà: ma qualunque volta e' ne lasciasse alcuna impunita, e che le venissino a moltiplisenza dubbio ne nascerebbe, o che si arebbero a correggere con disordine grande o che quel regno si risolverebbe ": Discorsi, lib. 3, cap. I.

care,

2) Roscoe, Vita di Leon X.

NOTIZIE

DI

FRANCESCO GUICCIARDINI

Francesco

rancesco Guicciardini nacque in Firenze ai 6 marzo del 1482 di nobilissima stirpe. Fatto esperto nella ragion civile, ottenne la laurea dottorale; e la sua città lo inviò ambasciatore in Ispagna nell'anno 1512 alla corte di quel Ferdinando che fu tra i re suoi contemporanei il più malvagio e il più fortunato. Distrutta dall' armi spagnuole la repubblica fiorentina, il Guicciardini fu adoprato in patria da Leone X, come utile strumento della Medicea potenza. Ma nelle città di Modena, di Reggio e di Parma ei mostrò che valeva nell'arti di guerra come in quelle di pace; e valoroso del pari che accorto, persuadendo i cittadini alla difesa, virilmente respinse gl' impeti dell' insolenza francese. Luogotenente generale del papa Clemente VII nel campo della Lega, resse con ugual senno le cose militari d'Italia. Ma la sapienza politica e guerriera dei suoi consigli tornò vana per le discordi voglie di quell' esercito, per la malvagità ed iner

zia del duca d'Urbino, e perchè fra noi Italiani regnò mai sempre, più che libertà d'arbitrio corso di fortuna. Il Guicciardini vietò che l'armi della lega recassero a Firenze quell'eccidio che poco dopo soffri Roma dal duca di Borbone: beneficio di cui i Medici e la patria gli furono sconoscenti.

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Infatti il cardinal di Cortona non arrossì di rimproverargli d'amar più la salute della città che la grandezza di costoro, perchè poteasi in quel giorno stabilire in perpetuo l'autorità di quella famiglia coll' armi straniere e col sangue dei citta dini. E a questi parve ch'ei gl'inducesse a cedere senza necessità, dimostrando maggiori i pericoli dello stato. Il migliore dei suoi biografi è d'avviso che da questa ingratitudine dei Fiorentini ver so tanto uomo nascesse la ruina della loro repubblica, da cui ei bastava ad allontanare l'imminente fortuna. Certamente il Guicciardini aveva in dispregio il codardo e avaro oppressor della sua pa tria, e scoppiar vedeva, benchè trattenuti, molti indicii di crudeltà in Alessandro giovinetto. Nondimeno potè in lui, più che amor di patria, deside rio di vendetta. Costretto a fuggirsi da Firenze pei modi insolenti dei popolari, vi tornava quando l'armi di Carlo V l'avevano recata in servitù, non pago d' essersi mostrato vilmente crudele in espugnata città, colle proscrizioni e i supplizi dei suoi imponeva alla cervice dei Fiorentini e alla sua il giogo d' un bastardo e d'un matricida 2. E fattone difensore alla corte di Carlo V, vinceva coll'oro le repugnanze dei suoi ministri, la cui avarizia restò delusa, perchè quel Cesare divise con

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essi l'infamia ma non il prezzo del delitto 3. Il più grande degl' istorici moderni diede il nome di lievi colpe private agli stupri, alle violenze di quel mostro; mentre dopo l'iniqua sentenza di Carlo suonava per tutta Italia la magnanima risposta dei fuorusciti, della quale ci giovi qui recare queste generose parole:

« Noi non venimmo a dimandare con che con« dizioni noi dovessimo servire al duca Alessandro, « nè per impetrare per mezzo di Cesare perdono << di quanto abbiamo adoprato a benefizio della pa« tria nostra, nè per ottener da lui di tornar servi «< in quella città onde poco tempo innanzi noi sia«mo usciti liberi ».

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Caduto Alessandro sotto il ferro di Lorenzino il Guicciardini, acciecato dall'ambizione e dall' avarizia, promosse l'elezione di Cosimo giovinetto, sperando che questi, inteso ai diletti, lasciasse a lui la potenza. Ma il Tiberio toscano volle tanto comandare quanto avea saputo dissimulare: e non pago d' essere ingrato ai suoi fautori, vide che il dono d'un regno è tra quei benefizi che non si debbono perdonare dal tiranno.

Spense gli amici col ferro, i nemici col tradimento; e liberato così dal timore e dalla gratitudine, sentì ch'ei cominciava a regnare 4.

Francesco Guicciardini nel dì 22 maggio del 1540 mori nella sua villa d'un veleno preparato forse nell'officina di Cosimo, che non avea bisogno, come Nerone, di ricorrere al ministero d'una locusta, essendone ei medesimo, come sappiamo dall' istoria, esperto distillatore.

Le colpe del cittadino non debbono farci di

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