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Dante da Maiano con un altro sonetto, ch'è noto per le stampe, nel quale si leggono le frasi seguenti:

ti rispondo brevemente,

Amico meo di poco conoscente, ec. »

Di qui pertanto si fa certissimo, che questi due poeti, cioè il maianese e il fiorentino, si conobbero assai di buon' ora, perciocchè quest'ultimo era allora nel suo diciottesimo anno, siccome dice egli stesso nella Vita Nuova al secondo paragrafo. E come mai Dante Alighieri, che fino dalla sua adolescenza conosceva Dante da Maiano, avrebbe nel presente sonetto, che pur si pretende responsivo ad un altro del maianese, usato l'espressione Qual che voi siate, significando per essa di non conoscerlo? Non credo già che nissuno vorrà oppormi, che Dante potesse averlo dettato innanzi l'età degli anni 18; perciocchè dal passo della Vita Nuova è facile il rilevare, che il fiorentino fu quegli che ricercò in prima l'amicizia del maianese, e non questi di quello, siccome con manifesta contradizione verrebbesi a dire sostenendo una tale opinione, dappoichè il sonetto non è missivo, ma (come ben si deduce) responsivo.

Torneranno forse inutili queste poche parole, quando si getti l'occhio sopra il componimento, perciocchè di per sè stesso si palesa illegittimo: tanta è la sua scipita meschinità; e quando si sappia che nel vol. II, pag. 252 de' Poeti del primo secolo, Firenze 1816, sta col nome di Tommaso Buzzuola da Faenza, di cui per certo debb' essere, ed a cui pur volentieri ne facciamo restituzione.1

1 << Impresso nelle rime antiche » sotto nome di Dante Alighieri leg. » gesi il sonetto Qual che voi siu

»fe, ec., che appartiene a Tommaso » Buzzuola da Faenza. » (Arrivabene, Amori ec., pag. CCLXI.)

SONETTO.

Non conoscendo, amico, vostro nomo,
- Donde che mova, chi con meco parla,
Conosco ben, ch'è scienza di grand' uomo;
Sicchè di quanti saccio nessun parla :
Chè si può ben conoscere d' un uomo,
Ragionando, se ha senno; chè ben parla'
Conven, poi voi laudar sarà for nomo,
E forte a lingua mia di ciò ch' uom parla.

Amico certo son, da ciò ch' amato
Per amor aggio; sacci ben chi ama,
Se non è amato, lo maggior duol porta:
Chè tal dolor tien sotto suo camato

Tutt' altri, e capo di ciascun si chiama :
Da ciò vien quanta pena Amore porta.

Questo laido sonetto, che nell' edizione giuntina fu stampato a c. 138 col nome di Dante Alighieri, e che dicesi responsivo ad un altro del maianese, debbesi assolutamente rigettare per tutte quelle medesime ragioni, che abbiamo or ora portate per provare l'illegittimità dell'antecedente. Infatti dalla Raccolta de' Poeti del primo secolo, vol. II, pag. 386, apprendi amo che appartiene a Mino del Pavesaio d' Arezzo."

1 « sonetto Non conoscendo, ami»o, vostro nomo, che le rime anti» che comprendono fra quei di Dan

» te Alighieri, è di Mino del Pave>> saio d' Arezzo. » (Arrivabene, Amori ec., pag. CCLXI.)

SONETTO.

Ahi lasso! ch' io credea trovar pietate,
Quando si fosse la mia donna accorta
Della gran pena, che lo mio cor porta,
Ed io trovo disdegno e crudeltate,
Ed ira forte in luogo d' umiltate;

Sicch' io m' accuso già persona morta:
Ch'io veggio che mi sfida e disconforta
Ciò, che dar mi dovrebbe sicurtate.
Però parla un pensier che mi rampogna
Com' io più vivo, non sperando mai
Che tra lei e pietà pace si pogna.
Onde morir pur mi conviene omai;
E posso dir che mal vidi Bologna,

Ma più la bella donna ch' io guardai.

Nell' edizione delle poesie di Cino procurata da Faustino Tasso ed in quella fattane dal Ciampi, questo sonetto si vede attribuito a quel poeta. Col nome di Cino si vede pure in qualche codice, siccome nel laurenziano 37 del Plut. XC; ma

col nome di Dante non sta che nell' edizione giuntina a c. 22 retro. Quantunque il sonetto sia ben condotto, e buona siane la forma, pure per essere attribuito al nostro Poeta manca dell' autorità de' codici; mentre i versi:

Onde morir pur mi conviene omai;

E posso dir che mal vidi Bologna,

Ma più la bella donna ch' io guardai; »

significando lo stato angoscioso del poeta, per essersi questo innamorato in Bologna di vaga femmina, lo danno a conoscere per componimento del giureconsulto pistoiese. Infatti sappiamo dalla storia, che Cino fece lunga dimora in Bologna, ove siccome quegli che lasciavasi pigliare ad ogni oncino (vedi più sopra il sonetto XL), provò novella passione amorosa; mentre un fatto consimile non lo troviamo nella biografia di Dante Alighieri. Dunque non di Dante è il sonetto, ma di Cino.1

1 «< D'altra men nota fiamma del» l' Alighieri (dice l' Arrivabene, » Amori e Rime di Dante ec., pa>> gina CLI) sembra porgere indizio

>> il sonetto Ahi lasso! ch' io cre-
» dea ec., che così chiude Onde mo-
» rir
pur ec. » Ma questo è un ar-
gomentare a ritroso.

SONETTO.

Ben dico certo che non fu riparo,
Che ritenesse de' suoi occhi il colpo:
E questo gran valore io non incolpo,
Ma 'l duro cor d'ogni mercede avaro:
Che mi nasconde il suo bel viso chiaro,
Onde la piaga del mio cor rimpolpo ;
Lo qual neente lagrimando scolpo,
Ne muovo punto col lamento amaro.
Così è tuttavia bella e crudele

D'amor selvaggia e di pietà nemica;

Ma più m'incresce, che convien ch' io 'l dica,
Per forza del dolor che m' affatica,

Non perch' io contr' a lei porti alcun fele,

Che vie più che me l'amo, e son fedele.

Col nome del nostro Poeta fu stampato questo sonetto nella raccolta giuntina a c. 19, e col nome di Cino fu man

dato in luce da Faustino Tasso e dal Ciampi. Non solo per lo stile, e per alcuni modi particolari, come il suo bel viso chiaro la piaga del mio cor rimpolpo, si ravvisa essere componimento di Cino, ma altresì per vedervisi artificiosamente nominata Selvaggia, la donna amata da lui:

-

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Savere e cortesia, ingegno ed arte,
Nobilitate, bellezza e riccore,
Fortezza ed umiltate e largo core,
Prodezza ed eccellenza giunte e sparte;
Este grazie e virtuti in ogni parte,
Con lo piacer di lor vincon Amore:
Una più ch'altra bene ha più valore
Inverso lui, ma ciascuna n' ha parte.
Onde se vuoli, amico, che ti vaglia
Virtute naturale od accidente,

Con lealtà 'n piacer d' Amor l'adovra,
E non a contastar sua graziosa ovra,

Chè nulla cosa gli è 'ncontro possente,
Volendo prender uom con lui battaglia.

Come componimento di Dante Alighieri è riportato questo sonetto nell' edizion giuntina a c. 139 retro, ov' è detto essere responsivo a quello di Dante da Maiano, che incomincia Amor mi fa si fedelmente amare. Per lo stile contorto e disarmonico in che è dettato, pel suo fraseggiare languido e rozzo, e più per la sua meschinità, io non so affatto ravvisarlo per componimento di Dante. Ad esso dunque lo tolgo, e lo ascrivo ad autore incerto, perchè nè in codici, nè in stampe m' è avvenuto mai di riscontrarlo.

SONETTO.

Savete giudicar vostra ragione,

O uom, che pregio di saver portate;

Perchè, vitando aver con voi quistione,
Com' so rispondo alle parole ornate.
Disio verace, u' rado fin si pone,
Che mosse di valore o di beltate,
E immagina l'amica openione
Significasse il don che pria narrate.
Lo vestimento aggiate vera spene

Che fia da lei, cui desiate amore;
E 'n ciò provvide vostro spirto bene;
Dico, pensando l'ovra sua d'allore,
La figura che già morta sorvene,

È la fermezza ch'averà nel core.

Anche questo sonetto vedesi nell' edizion giuntina a c. 142 col nome di Dante Alighieri, ove dicesi responsivo a quel del maianese il cui primo verso è Provvedi, saggio, ad esta visione. Pare impossibile che un sì laido e sconcio componimento, così privo di sintassi e di senso, siasi potuto attribuire al grande Alighieri, mentre basta leggerlo solo una volta per riconoscere che non può attribuirsi nemmeno ad un poeta, che fosse alquanto al di sotto della mediocrità. Adunque senza alcuno scrupolo io lo ritengo per apocrifo; e poichè nessuna indicazione ho trovato a cui appartenga, dico che dee collocarsi fra le rime d'autori incerti.

BALLATA.

Io non domando, Amore,

Fuor che potere il tuo piacer gradire:
Così t'amo seguire

In ciascun tempo, o dolce mio signore.
Eo sono in ciascun tempo ugual d'amare
Quella donna gentile,

Che mi mostrasti, Amor, subitamente
Un giorno, che m' entrò sì nella mente
La sua sembianza umile,

Veggendo te ne' suoi begli occhi stare,
Che dilettare il core

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