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ziato ed ucciso (an. 524). Simmaco, che avevagli per nozze accordata la figlia, grande per la casata, per la fama, e per l'autorità nel senato; Simmaco è tradotto a Ravenna, e colpevole di aver pianto il genero, è dato al carnefice (an. 525).

VII. Per la diversità della fede, cadeva in tali estremità il buon re Teodorico! Or dicano i politici che la religione è una nenia, o al più una giunta della politica. Ma Teodorico aveva una fede, o qual fede era l'arianesimo al tempo di Teodorico? Nebulosa per lo più è l'eresia, ed i barbari che dall' Oriente avevano recato quel semiarianesimo, nulla intendevano alla divinità di Gesù Cristo, non puro uomo, superiore agli uomini, quasi un' altissima emanazione di Dio. Il Barbaro non era capace di quel gnostico filosofismo: niun simbolo di fede ariana troviamo di quel tempo in Italia; e non altro che stragi cattoliche ci presenta l' Africa. L' arianesimo era dunque nei condottieri barbari una politica; ma essa falliva a Teodorico, il quale cedeva a Clodoveo il germe della futura civiltà cristiana, e alienava da sè l' Italia, mentre imperatori cattolici per alcuni istanti la riconquistavano.

VIII. Più d'ogni militare conquista valse a Giustino l'andata di Giovanni. Non mai papa era uscito di Roma, fuorchè al martirio. Or tutta Costantinopoli si riversa incontro al pontefice, con cerei e croci brandite, sino a dodici miglia. E Giustino, scrive l' Anonimo, ne loda Iddio, e si prostra a lui come a Pietro: Cui Iustinus imp. venienti ita occurrit, ac si beato Petro. Riferisce Gregorio Magno, che Giovanni alla porta Aurea rendesse ad un cieco la vista (Dialog. III, 2). Celebrava la pasqua del 526, narra Marcellino, in rito e lingua latina: Dexter dexterum ecclesiae insedit solium, diemque Domini nostri resurrectionis plena voce romanis precibus celebravit. Giustino, quantunque già dal vescovo incoronato, riceve dalle mani di lui come di Pietro la corona imperiale; e la città applaude. E quei plausi ferivano il Goto in Ravenna; ed in Roma e nell' Italia echeggiavano le accoglienze devote; e ritornava il pontefice ricco

di doni e di gloria. Onde rinfocandosi vie più l'animo del sospettoso Teodorico, nè soddisfatto al terzo punto della domanda, lo incarcera a Ravenna: dove Giovanni, dopo il trionfo, compie fra le privazioni e le onte il suo martirio (maggio 526). Roma ed il Senato ne domandano il cadavere; ed un infermo risanando sul passaggio, nota l' Anonimo, che popolo e senatori ne tagliavano le vesti e l'acclamavano santo: Quod videntes populi et senatores, coeperunt reliquias de veste eius tollere. Lo sepellivano in quella terra dei prodi che è il Vaticano.

IX. Forse per la vita che gli fuggiva, e per l'entusiasmo che dall' Oriente e dall' Occidente, nella persona di Giovanni, si era spiegato verso la sedia Pontificale, si riteneva, ma non tanto si rimutava la mente del tiranno, che non eleggesse egli stesso un Pontefice alla Chiesa. Egregio l'eletto, Felice IV, Sannite. Ma per oltre a cinquanta giorni ripugnando il clero ed il senato, si accordano infine di eleggere lo stesso Felice, liberi nell' avvenire, ma con tributo, e coll' approvazione del principe. Goti e poi Greci e Galli e Tedeschi imperatori pretenderanno a si orgogliosa dominazione, che era la vendetta di un Barbaro nelle sue ultime ore. Tre mesi dopo, nell' agosto del 526, un flusso immedicabile rapiva Teodorico in breve ora.

X. Turbavano orribilmente le Gallie i semipelagiani, e quei vescovi ricorrendo a Felice lo scongiurano che mandi loro i capitoli della vera fede, e di più poderosa autorità colpisca l'errore e sedi la procella. Così i padri del concllio Arausicano secondo. Felice, senza ritardo, investe della pontificia autorità Cesario vescovo di Arelate; a lui trasmette, come proprie, le più nette sentenze di Agostino intorno alla grazia ed al libero arbitrio; e le conferma il concilio, celeberrimo nelle dottrine della grazia, nota il Baronio all'anno 529: Quot igitur Arausicani canones, tot sunt catholicae Ecclesiae stabilitae sententiae. E Incmaro di Reims riassumeva il domma fondamentale e la storia del concilio in que

ste parole: Nam ideo dicuntur electi, quia de massa perditionis sunt gratia electi, nullum habentes meritum antequam eligantur, quorum electio ipsa est Dei misericordia, sicut in Arausicana synodo, cui beatus Caesarius ex delegatione Sedis Apostolicae praesedit, et capitula ab Apostolica Sede directa, subscribenda et tenenda omnibus protulit (de praedest. c. 12). Alla gloria di qualunque pontificato basterebbe il successo di quel concilio.

XI. A Teodorico succedeva Amalasunta, nel nome di Atalarico non pur decenne suo figlio. Richiamava Cassiodoro agli alti uffici, riponeva nelle confiscate sostanze i figli di Boezio e di Simmaco, bell'esempio ai principi, che l' erario non s'impingua colle rapine. Superando il genitore, ne emendava i torti, ridonava le immunità a' chierici, li giudicasse il romano pontefice; con Amalarico visigoto, imperante nelle Spagne, poneva il Rodano per confine; frenava i longobardi, spinti alle correrie da Giustino; e con lui e con Giustiniano che pel titolo gli succedeva nel 527, ma nel fatto già imperava, conservò l'alleanza politica, impossibile l'amicizia.

Felice preclaro per la mansuetudine, pel culto de' martiri e la carità ai poveri, riceveva nel 14 settembre del 530 la corona de' giusti; avendo pontificato quattro anni, due mesi e sei giorni.

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I. Un antipapa e un aspirante. II. L'Illirico appella a Bonifacio. III. Simonie e servitù. IV. I Goti strappano alla madre il giovane Atalarico. V. Amalasunta provvede all'insegnamento, alle armi e

I.

ai costumi. VI. Essa trae la sapienza da Cassiodoro, e Cassiodoro da Giovanni papa. VII. Giustiniano manda a Giovanni il codice delle leggi; virtù e ragioni di quell' atto. VIII. Amalasunta lusinga Giustiniano, e sposa il tristo Teodato dal quale è sacrificata. IX. Finisce il regno africano dei Vandali; i vescovi a Giovanni.

Ambizioni, malizie e simonie, contristarono i pontificati

di Bonifacio e di Giovanni, ambidue romani. Bonifacio sacravasi il 23 settembre 530.

Già dall' età di s. Gerolamo, potentissimi raggiratori e soperchiatori del clero romano erano certi diaconi, presidenti al governo dei beni ecclesiastici. La morte prestamente liberava Bonifacio da Dioscoro diacono, già legato di Ormisda a Giustino, ed ora antipapa. Ma non così fu libero dalla fazione del diacono Vigilio. Il quale (dicesi), col pretesto di impedire l'usurpata ingerenza dei re goti nelle elezioni papali, otteneva da Bonifacio un sinodale constituto, per cui il papa si eleggeva in Vigilio stesso il suo successore; e con giuramento davagli pegno di fedeltà il clero presente nella Vaticana Basilica. Senonchè il vecchio Bonifacio, scorto il suo errore e le altrui malizie, in altra sinodo rompeva e dava alle fiamme il constituto.

II. Non però svenne sotto Bonifacio lo splendore e l'autorità della Sede romana. Perocchè da Epifanio vescovo costantinopolitano, coll' esautorazione di Stefano metropolitano della Tessalia, offendendosi l'autorità del Vicariato Apostolico sopra l'Illirico, dai papi contrapposto alle arti Bisantine; Bonifacio accolse i legati e discusse il giudizio in una terza sinodo del 531, per le cure di Luca Olstenio rivocata alla pubblica luce. In quella Teodosio Echiniense, nel nome di Stefano e di altri vescovi dell' Illirico, appella alla duplice autorità pontificia, di reggere il mondo in generale, e l'Illirico in particolare: Nam constat, venerandos Sedis vestrae Pontifices, quamvis in loto mundo Sedes Apostolica ecclesiarum sibi iure vindicet principatum, et solam ecclesia

sticis causis undique appellare necesse sit, specialiter tamen gubernationi suae Illirici ecclesias vindicasse. Ed esperti alle greche usurpazioni, que' vescovi piangono a Gesù, e stendono l'afflitta canizie al pontefice: Salvatori Iesu Christo Deo nostro lachrymas fundimus, et miseram nostram praetendimus canitiem, supplicantes, ne nos in manibus eorum tradi patiamini. Mentre poi a Bonifacio supplicava l' Illirico dall'Oriente, le Gallie dall' Occidente mandavangli a confermare il concilio II Arausicano; ed egli colla pontificale autorità comprimeva le turbe semipelagiane che da un secolo le infestavano. Cominciato con debolezza e pentimento, terminavasi in questi atti insigni l'operare di Bonifacio (26 ottobre 532).

III. Più fiere tornano in campo le simonie, già l'oro corrompe i senatori, ma il fior del Senato le fulmina con un senatoconsulto, e sospende le elezioni. Non intrusione questa del potere laicale, ma giusto soccorso e supplemento al potere ecclesiastico. Giovanni Mercurio, romano, uscito papa della libertà dei comizi (31 decembre), lo invoca egli stesso dalla corte di Ravenna, affinchè la mano regia freni i simoniaci, spregiatori dei canoni e di Dio. Trista necessità, e tristo clero, costringenti il pontefice a que' soccorsi che daranno la schiavitù alla Chiesa! Amalasunta, in nome di Atalarico, conferma il senatoconsulto contra le simonie, e stabilisce che la regia approvazione degli eletti non eccederà la spesa di tremila monete d'oro, s' egli è pel fat to d'un papa; se dei patriarchi duemila; nè costoro spenderanno in distribuzioni al popolo, il giorno dell'entrata solenne, oltre le cinquecento.» La Corte decretava, e il clero scontava la pena della sua colpa. Ma Amalasunta non era lieta nè sicura.

IV. Coltissima la regina, voleva educato alle lettere e alle scienze Atalariço. Discolo o negligente, lo percoteva d'uno schiaffo; e le lagrime del fanciullo levando a rumore la reggia, davano ai Goti il pretesto di sfogare i rancori.

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