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latino abbia letto motoμigetv, che è chiudere la bocca a chi parla; ma il greco ha añosтoμaτigetv, che vale provocare a parlare“, il che si accorda molto bene con quello, che si aggiunge; cioè, avere così essi fatto « insidiandolo, e cercando di carpire dalla << sua bocca qualche cosa per accusarlo. »

SECONDA PARTE

VII. Vi promisi che prima di finire, sarei tornato, per nostro comune profitto, sopra quella dottrina dell' occhio, il quale è lucerna del corpo, per significarci che l'intenzione, o vogliamo piuttosto dire la conoscenza della verità, chiara, sicura, retta, quale non può aversi, che per la fede, è la lucerna che illumina non solamente tutto l'uomo, ma eziandio tutte le cose che lo circondano, ed in qualsiasi modo gli si attengono. E se avessi dimenticata la mia promessa, bene me la farebbero, per la ragione dei contrarii, ricordare questi protervi oppugnatori di Cristo, dei quali colpa immensa e sventura uguale fu appunto, che il lume della ragione e della rivelazione, posto in essi divenne tenebre, come Gesù ne li avea ammoniti: Vide.... ne lumen quod in te est, tenebrae sint. Compiuto quell' orribile pervertimento, non vi fu più rimedio: tutto fu tenebre in loro ed attorno a loro. Ahimè! ora è tuttavia tenebre, e sarà sempre!

Il Crisostomo $5 osserva, che siccome, avendo perduta la vista, tutti gli ornati della persona e tutte le bellezze esteriori sono pel povero cieco perdute, sic corrupta semel mente, innumeris vita malis replebitur. Nè è una figura rettorica questa dei mali innumerevoli, che infestano e riempiono la vita per effetto di quel corrompimento della mente: è una verità rigorosa; ed io vi potrei dimostrare a punta di logica, che tutte le grandi calamità e le vergogne, onde la presente società è afflitta, nel pubblico e nel privato, e le maggiori che le sovrastano, tutte hanno la loro prima radice nel guasto orribile recato nelle menti dalla guerra bandita alla verità cristiana. Posto il disordine nel giro dei pensieri, è follia promettersi ordine nel giro dei fatti, se pure questi debbano essere l'espressione, la riproduzione esteriore e quasi il riverbero reale di quelli. Ma io più che i mali di chi sta nelle tenebre, vi vorrei far sentire qualche cosa dei beni inestimabili di chi, per somma grazia, si trova nella luce;

quantunque degli uni e degli altri la ragione sia la stessa, non essendo finalmente altro il male, che privazione del bene, come le tenebre sono della luce.

Ora, acceso nell' uomo quel lume della fede, è incredibile quanto ne resti purificato, rischiarato, ringagliardito il lume. medesimo della ragione; il quale benchè di ordine inferiore, si accorda mirabilmente coll'altro, perchè entrambi sono raggi dello stesso sole, entrambi rigagnoli della stessa fonte. Con questa luce non passaggiera, ma immanente nell'uomo, tutto si fa chiaro in lui: corpus totum lucidum erit: il suo essere, la sua origine, i suoi destini, e noi a quello splendore per poco non intendiamo ogni cosa in questa nostra vita; la quale pure pei tenebrosi è mistero così chiuso, così sconsolato, massime pel suo ultimo risolvimento. Noi per contrario ne intendiamo, torno a dire, poco meno che ogni cosa: le debolezze ed il vigore, le cadute ed i rialzamenti, i molti dolori e le rare gioie, i grandi delitti dei colpevoli, ed i più grandi sacrifizii dei buoni, la ferocia dei manigoldi, e l'eroismo delle vittime; e tutto si scorge intanto ordinato ad un termine fisso, chiaramente conosciuto, che sarà senza fallo raggiunto, se sia lealmente e costantemente cercato. Ma quello, che in questo fatto più ci deve consolare, è che, divenuto il nostro essere, la nostra persona (corpus tuum dice il testo) tutto lucido pel lume della fede inabitante in noi, senza che siavi parte alcuna di tenebre, non habens aliquam partem tenebrarum, si comincia a riflettere da noi medesimi quasi una nuova luce ad illuminare il mondo attorno a noi; talmente che per noi sarà lucente ogni cosa; erit lucidum totum. Sarebbe agevole e bello, ma troppo lungo il mostrarvi per singolo, come pel sincero Cristiano nulla è buio in questa medesima caligine della sua vita terrena. Ma dovendo finire, conchiuderò ricordando il soggetto forse più di tutti tenebroso, che si scontri nel mondo: intendo dire i suoi vasti e ruinosi scandali. E bene, al lume di quella luce, tutti gli scandali del mondo trovano nella divina legge la loro ragione di misericordia o di giustizia; di che avviene, che chi conosce ed ama quella legge, fruirà pace molta, senza soggiacere ad alcuno scandalo: Pax multa diligentibus legem tuam, et non est illis scandalum". Supplichiamo, miei dilettissimi, la bontà divina, che così debba essere di tutti noi!

NOTE

alla Lezione sessantesimaottava

1 Lezione XXXV.

2 Matth. VI, 22, 23.

3 Luc. VIII, 19-25.

Lezione XLV.

parlato) non potuit anteferre. Ergo hic non (ut quidam haeretici tendiculas aucupantur) mater negatur, quae de cruce etiam agnoscitur, sed necessitudini corpo

5 Il doversi qui trasportare il tratto di rali praescriptorum coelestium forma praeS. Matteo al Capo XXIII, come altresì il fertur.

doversi ai versi 46-50 di questo, accoppiare 10 Quanto alla difficoltà sopra i fraMarco III, 31-35, è dimostrato con grande telli e ad altre, che potessero sorgere in chiarezza dal Patrizi (De Evang. Lib. II, quel fatto, si vegga il dettone nella LeAdn. CIV, CV). Il quale, quanto a que-zione XLV.

st' ultimo punto, conchiude così: Series 11 La differenza di quelle due voci vero illa narrationum Matthaei et Marci, apiorši, pranzare, e deлveiv, cenare si può de qua superius (N. CIV) diximus, suadet vedere presso il Grimm (Lex. Gr. Lat. in credere, Marcum de iis loqui (la venuta Lib. N. T. ad h. v). E si potrebbe condei parenti) de quibus Matthaeus, non au- fermare da questo, che dove è veramente tem de quibus Lucas loquutus est. coena (Ioan. XIII, 2, 4) si legge nel greco

6 CHRYSOSTOMUS, In Matth. Homil. XX, la seconda, non la prima di queste voci. al. XXI. Quod enim oculus est corpori, 12 "swv éxúμzev, videns miratus est. hoc mens est animae. Questo mi pare modo Questa è la lezione dei codici più autodi dire più preciso, che non è il vedere revoli col Vaticano; quantunque in altri nell'occhio adombrata l'intenzione. Mi sono si legga il greco rispondente colla Vulgata. nondimeno attenuto a questa nella Lezio- 13 Come dagli scrittori rabbinici afferne, perchè è la maniera comune degli In- ma il Rosenmüller (Schol. in Luc. XI, 38), terpreti. Nel resto, nelle cose morali, di tutti i cibi erano dagli Ebrei riputati imcui qui si parla, l'intenzione è il primo mondi, chi ne avesse mangiato senza priatto della mente, e da quello gli atti po- ma lavarsi le mani. steriori, interni od esterni che siano, prendono la specie.

14 Il Wilk (Clav. N. T. Philolog. ad h. v.) dà al napotis valore di deschetto o 7 MALDONATUS, Comm. in Luc. XI, 36, piattello da porvi cibi più dilicati, e cita dove confessa di non aver trovato autore Senofonte (Cyrop. I, 3, 4); quantunque grave per quella ipotesi. da Plutarco (De vitan. aere al. cap. 2)

* Se si sostituisce oculus a corpus, si sembri adoperato in senso più ampio. toglierà la tautologia in questo verso 35, 15 Gl' Interpreti si travagliano molto ma se ne introdurrà un'altra tra questo intorno a quel verso 40; ma finchè dànno ed il 34. alla interrogazione valore affermativo, non

9 AMBROSIUS, Expos. Evang. sec. Luc. ne avranno mai senso che valga; stanteLib. VI, 38. Et ideo parentes corpori pro- chè il dire, che il lavare di fuori purifica prio (cioè alla Chiesa di cui innanzi avea anche il di dentro, contraddice a tutto il

contesto. Però vi è stato chi volle rimuo-|(Gen. XXVIII, 22; Deut. XIV, 21); e da vere dalla frase il segno della interroga- essi ha dovuto quella voce passare nel N. T. zione; e forse non vi sarebbe altra via da 29 Quella decimazione degli erbaggi fu uscire d'impaccio, se non si ammette la aggiunta dai Rabbini: Babyl. Toma fol. 83. maniera da me seguíta di dare alla in- 30 Quest'erba, che noi chiamiamo coterrogazione stessa un senso negativo, ren-mino o cumino, è il cuminum sativum dendo il nonne, l'ou per forsechè? forse? dei botanici, il cui seme viene di Levante. 16 Forse il fecit si potrebbe prendere La voce nostra è la medesima che l'ebraica per lavit, con qualche appoggio, II. Reg. (camon) s'intende per le consonanti, XIX, 24; ma a me par vedervi l'uso ge- che nelle lingue aramaiche sono ogni cosa. neralissimo che il verbo fare ha in tutte 31 CHRYSOSTOMUS, in Matth. Homil. le lingue, per esprimere qualsiasi azione, LXXIII, al. LXXIV. di cui nel discorso si tratti: qui è il lavare. 17 CHRYSOSTOMUS, In Matth. Homil. ce, mi pare strano che nelle versioni italiane LXXIII, al. LXXIV. di questo luogo s'introduca da alcuni quel

32 Benchè il culex significhi anche pul

18 AMBROSIUS, Expos. Evang. sec. Luc. l' insetto. Or chi udì mai, che nel bere Lib. VII, 101. Il Santo colà comincia l'espo- vino od acqua si temesse d' ingoiare una sizione del Date eleemosynam etc. dicendo: pulce? Per contrario la cosa è naturalisVides quanta remedia? etc.

19 ORIGENES, In Levitic. Homil. II. 20 CRYSOSTOMUS, In Matth. Homil. LI, al. LII.

sima, se pel xwvw s' intenda il culex vi narius, il moscherino, a tutti notissimo, che nasce nel vino e si alimenta di quello; del quale insetto parla Aristotele (Hist.

21 CYPRIANUS, Ad Quirinum, Lib. III, Anim. V, 19). Secondo il Vorstio (De Adacap. 1.

22

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AMBROSIUS, 1. supra cit.

era

güs N. T. p. 771. edit. Fischer) quello scolare il moscherino, e trangugiare il ca23 AUGUSTINUS, Enchiridion, Cap. 76. mello, per significare guardarsi dai lievi 2 Id. De Verbis Domini, Sermo XXX. falli e commetterne dei gravissimi, ALAPIDE, Comm. in Luc. XI, 41. un proverbio degli Ebrei. Si noti pure, che 26 IANSENIUS, Comm. in Conc. Evang. la nostra voce camello è quasi la stessa, Cap. LXXXIV. Ivi quel grave Interprete che la ebraica (gamal). spiega cosi il τὰ ὑπάρχοντα, sostituito da 33 Questo rimprovero coi medesimi terlui al à évovta: id est ea quae adsunt et mini si legge pure altrove (Matth. XXXII, quae habetis, idemque voluit significare in-4) fatto ai Farisei; ma che il caso non terpres per quod superest, ut sit sensus: sia identico col presente, si rileva non Date in eleemosynam quod superest vobis, solo dall'essere qui quelle parole dirette id est adest. Così il quod superest sarebbe ad un legista, ma ancora dall'essere colà bello e trovato nel tȧ ŝvovta. Ma giudichi dette in terza persona ed indirizzate alle il lettore qual peso bisogna dare ad una turbe ed ai discepoli.

interpretazione, che con un id est ci can- 8 L'ornare monumentum alicuius, il gia ciò che abbiamo in ciò che ci avanza. xosμsiv tò pvnμejov tivós, è presso i Greci 27 S. THOMAS, Sum. Theol. p. 2. 2. q. onorare in qualsiasi modo il sepolcro di 32. a. 5. ad 6; q. 66, a. 7. c.; q. 71, a. un estinto; e però non con soli marmi e 1. c.; q. 87, a. 1 ad 4. bronzi, ma con corone, versi, prose etc. 28 Exod. XXII, 29; Levit. XXVII, 30. come si fa a' dì nostri (V. Vitringa, De La voce decimare, nel senso di pagare le Synagoga Vet. Lib. I, P. I, cap. 2). Se decime, non si legge nell'A. T.; e nel dunque l'aedificare sepulchra s'intenda per nuovo, oltre questi due luoghi di Matteo ristaurare, abbellire, come si può molto e Luca, non si legge, che Hebr. VII, 9. bene dal oixodoμɛiv (Ier. XXXI, 38), si posMa i Settanta adoperarono l'άodexzтov sono per l'ornare monumenta intendere

quelle altre maniere di onoranze; e così le, se si considera, che, nelle grandi turbosi rimuove una inutile ripetizione dal testo. lenze ed uccisioni, che seguirono in Ge

35 A noi parrebbe indegno ornare il rusalemme alla morte di Erode ed all'avvesepolcro degli empi uccisori, e degnissimo nimento del figlio Archelao (Ioseph. Flav. onorare i santi uccisi; e così è. Ma la Antiq. Lib. XVII, cap. 9; De Bello Iud. forza di quel rimprovero consiste tutta in Lib. 1, cap. 3), nulla potè essere più facile, questo, che quei Giudei, colla finta pietà che un santo Sacerdote fosse dai Giudei verso i Profeti martiri, si spianavano la trucidato nell'atrio del tempio. S. Girovia a trucidare il re dei martiri. lamo di questa sentenza scrive (In Matth. Lib. IV): Hoc quia de Scripturis non ha

36 Luc. III, 7.

37 Stefano fu lapidato (Act. VII, 57-59), bet auctoritatem eadem facilitate contemGiacomo il Maggiore fu ucciso di spada nitur, qua probatur. Ma trattandosi qui (Ib. XII, 2); Pietro e Paolo furono flagellati di una semplice congettura, non pare sia (Ib. IV, V.); furono perseguitati di città buona ragione di spregiarla, il non troin città Saulo e Barnaba (Ib. XIV, XV). varsi nella Bibbia. E così si risponderebbe 38 Giacomo il Minore fu precipitato dal al Calmet, il quale (Com. litt. in Matth. pinnacolo del tempio (Eusebii Hist. Eccl. XXIII, 35) esclude questa ipotesi, perchè Lib. II, cap. 23), Simeone, suo successore del padre del Battista tempus, genus, causa nel Vescovado di Gerusalemme, fu croce- mortis ignorentur. Appunto perchè s'ignofisso (Ib. cap. 32.) etc. etc. ra tutto, ci è libero supporre che qui si

39 Notarono Tertulliano (Lib. Contra parli di lui. Iud. cap. 5) e S. Agostino (Contra Fau

**Tengo quasi per certo lo scambio, stum, Lib. XII, cap. 9.), che Abele fu tipo nei testi greci, di quei due verbi così sodei Cristiani, e Caino dei Giudei. miglianti nel suono, e così diversi nel si

40 Questo Zaccaria non fu l'ultimo dei gnificato; sicchè dove si legge os opprimere, Santi dell'antica legge ucciso; ma certo si debba leggere os excitare, incitare o fu l'ultimo, di cui si faccia menzione nelle somigliante: tanto più, che così quel de Scritture. Osserva poi l' Alapide (Comin. multis aggiuntovi vi sta molto bene; ladin Matth. XXIII, 35), quei due essere dove non so intendere che significhi os stati i soli, del cui sangue fu detto espres-opprimere de multis. Ora l'émotopičev letsamente, che si sarebbe presa vendetta. to, come io penso, per isbaglio dall' interDi Abele disse Dio a Caino (Gen. IV, 10.) prete latino di Luca, vale propriamente Vox sanguinis fratris tui clamat ad me; os obturo, compesco, ad silentium redigo e di Zaccaria è scritto (II. Paral. XXIV, (Henr. Steph. Heder. ad h. v.), ed è fre22.): Qui cum moreretur ait: Videat Do- quente in Plutarco e Luciano; si trova minus et requirat. pure Tit. I, 11. Però l'ha voltato os opHIERONYMUS, Comm. in Matth. Lib. primere, lasciandovi l' importuno in multis. IV. Ivi riferisce, che nell' Evangelo usato Per contrario, l'añosτopatišev importa medai Nazarei, in luogo di Barachia, si leg-moriter recito; e quindi solicitare ad regeva Gioiada. spondendum, come qui l'interpreta il Grimm (Lex. Gr. Lat. in Lib. N. T. ad

42 II. Paral. XXIII, 24.

43 Non voglio lasciare di dire, parermi h. v.), citando Temistio, Platone, Plutarco da S. Girolamo rigettata con disinvoltura, etc. Vede poi ognuno come questo signiforse soverchia, la sentenza, che questo Zac-ficato sia il solo, che convenga a quel caria fosse il padre del Battista. Io certa- contesto, e come a quella voce risponda mente non l'affermo; ma si vegga presso opportuno l'in multis.

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l'Alapide (ad h. 1.) di quali e quante au- CHRYSOSTOMUS, In Matth. Homil. XX, torità è confortata quella opinione. La al. XXI.

quale parrà certamente non poco probabi

46 Psal. CXVIII, 165.

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