Obrazy na stronie
PDF
ePub

le ferite, e tutte le altre cose di tal fatta. (1)

Cornelio spiega le parole, le morti in palese οἱ ἐν τῷ φανερῷ θάνατοι, le morti in ispettacolo: Enzio le morti che si espongono al pubblico (2), ed in circa nella stessa maniera tutti gli altri interpreti. Ma Dacier vuole che Cornelio abbia male inteso il testo: e che le parole d'Aristotile significhino le morti che lo spettatore chiaramente comprende; che altrove succedono o succederanno, ma che egli attualmente non vede. E ciò perchè altrimenti, secondo lui, Aristotile si opporrebbe alla pratica de' Greci di non insanguinar la scena. Cotesta regola di non insanguinar la scena, che si pretende fondata su la pratica de' Greci, ha bisogno per me di molta spiegazione. Io non posso intenderla nel suo senso letterale e positivo: perchè discorderebbe appunto dalla pratica de' Greci, da Dacier citata. Non s'insanguina forse la scena, quando Eschilo fa inchiodar vivo Prometeo alla scitica rupe per co

(1) Πάθος δέ ἐςι πρᾶξις φθαρτικὴ ἢ ὀδυνηρά. οἷα, οἵ τε ἐν τῷ φανερῷ θάνατοι, καὶ αἱ περιωδυνίας, και τρώτ GEIS, ỳ ooα Tolau. Aristot. Poet. Cap. XI p. 13. (2) Mortes quae palam exhibentur.

ra,

mando di Giove? Non s' insanguina forse quando Sofocle espone Edipo in teatro privo degli occhi svelti allor allora dalla sua fronte, ancor grondante di caldo sangue, e tutto immondo della recente carnificina il volto, il petto e le mani? Non s'insanguina forse quando si veggono in iscena e la moglie ed i figliuoli d'Ercole, da lui miseramente trafitti ed ancor palpitanti? Non s'insanguina, dico, quando Ajace s'abbandona col petto su la nuda spada, da lui stabilita con l'else in terra a tal uso? Si dian pure i critici la tortuche vogliono, per sostener che Ajace non s'uccida in palese, non potranno essi assolutamente negare che si fanno immediatamente dopo la ferita lunghissime scene intorno a lui trafitto e visibile: poichè la sua donna Tecmessa, il suo fratello Teucro e tutto il coro gli si affannano intorno, lo cuoprono e scuoprono, e s'affaticano a sollevarlo dal terreno, al quale è quasi inchiodato, onde non può esservi stato trasportato, ed il luogo visibile è sempre lo stesso. Non può dedursi tal regola nè pure da quella d'Orazio, che vieta di esporre in iscena gli orrori ed i portenti incredibili; perchè, come spiegheremo nel Cap. XIV, l'oggetto di questo divieto non è l' effusione

del, sangue, ma l'abuso della credenza del popolo. Nè può intendersi metaforicamente, come se l'uso di morire in iscena fosse condannato dalla pratica de' Greci: poichè Alceste vi muore a suo bell' agio: ed Ippolito vi termina la tragedia con l'ultimo suo spiro. Se si vuol finalmente che per cotesta legge di non insanguinar la scena sia ben permesso il mostrare un personaggio, che va certamente a morire, farne sentir le ultime voci, e farlo anche tornare in iscena ferito a morte; e morirvi, se si vuole; e che la proibizione unicamente cada su l'atto di darsi o di ricevere, a vista del popolo, un colpo mortale, come vuol che l'intendiamo Dacier, oltre gli esempj incontrastabili d' Ajace e di Prometeo, opposti alla sua sentenza; io non saprei indovinar la ragione di tal divieto, e specialmente fra i Greci, che cercano a bello studio le più funeste ed orribili situazioni per farne spettacolo. Se mai per avventura si fossero essi astenuti dall' usar frequentemente cotesta azione, perchè abbia paruto loro difficile il rappresentarla verisimilmente in teatro; la difficoltà a' giorni nostri è svanita; poichè non v'è giocolatore di piaz za, che non sappia oggidì, con evidenza che

gareggi col vero, fingere, in presenza di tut to un popolo, d'immergersi un pugnale nella gola o nel petto, e di ritrarlo macchiato da una visibile e sanguinosa ferita. Ma lode al Cielo a' di nostri non è la difficoltà di eseguirle quella, che rende così rara su i moderni teatri la rappresentazione di somiglianti atrocità. Ma, seuza beccarsi inutilmente il cervello per rintracciare la sorgente di cotesta regola, tanto vantata a'dì nostri, quanto poco spiegata; a me pare che le parole d'Aristotile οἱ ἐν τῷ φανερῷ θάνατοι, le morti in palese possano ottimamente significare la mostra de' cadaveri, della quale hanno gran cura di far uso i tragici greci sul loro teatro: e chiunque ha con esso qualche leggiera familiarità, non può non averlo osservato. All' aprirsi d'una porta il cadavere d'Agamennone si presenta agli spettatori nella tragedia di questo nome scritta da Eschilo: e non per altro che per adornarne lo spettacolo. Cosi quello di Fedra nell' Ippolito d'Euripide: anzi nell' Andromaca dell'autore medesimo si fa trasportare in pochi momenti da Delfo in Ftia quello dell' assassinato Pirro; unicamente per non defraudarne il dramma d'un così allora gradito, e, secondo Aristotile, propriamente tragico condimento.

CAPITOLO XII.

Delle parti di quantità. Loro nomi e spiegazioni. Che la parola discorso és, è qui ed altrove impiegata da Aristotile in senso di discorso in musica. Che dalle parole di Aristotile si argomenta che il coro de' Greci era collocato sul loro teatro, ma in luogo diverso da quello degli attori. Origini, cambiamenti ed abusi del coro. In qual maniera l'uso del coro ne' drammi sia utile e verisimile. Divisioni de' drammi in scene ed atti, tardi inventate da' grammatici latiņi, e con poca felicità assegnate. Spiegazione de' due precetti di Orazio, intorno al numero degli atti e de' personaggi. Che le ariette del moderno teatro conservano il nome e la forma delle strofe delle greche tragedie.

Avend

vendo fin qui esposte Aristotile le parti di qualità: cioè quelle che debbono considerarsi nel tutto insieme d'una tragedia, come la favola, il costume, la sentenza, il

« PoprzedniaDalej »