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tano i migliori: ma ne'tragici antichi per lo più non si trovano ehe scellerati: ed Omero medesimo non solo in Tersite, in Dolone ed in Iro imita uomini viziosi; ma ne' principali eroi de' suoi poemi, Achille ed Ulisse, non esalta altre virtù, che la portentosa forza nel primo, e la somma destrezza, special mente nell'ingannare, nel secondo. Onde po trebbe credersi che le differenze proposte dal nostro Filosofo non debbano regolarsi dalle virtù o da'vizj; ma dalle condizioni, o sian gradi elevati, mediocri, o umili delle persone imitate spiegazione, che si accorda perfettamente con tutto quello, che ci rimane ancora degli epici e de' drammatici greci : poichè i personaggi principali de' poemi eroici e delle tragedie loro sono sempre grandi e reali: ed umili o mezzani quelli delle loro commedie. E chi volesse ostinarsi a conciliare con gli esempi, che adduce Aristotile, la graduazione delle tre proposte differenze a tenore delle virtù e de'vizj, e non dello stato delle persone, converrebbe che sapesse prima esattamente qual relazione si trovi fra l'idea, che abbiam noi presentemente della virtù, e quella che forse se n'eran formata i Greci, rispetto agli eroi loro da poema, o

da teatro, ne' quali pare che l'enorme forza del corpo sia l'unica virtù, che supplisce in essi il difetto di tutte le altre. Errore che non permette Aristotile medesimo, quando c'insegna morale, e non poesia; poichè allora ei ci dice: noi chiamiamo virtù umana, non quella del corpo, ma quella dell' animo. (1) Ma questo ragguaglio sarebbe assai malagevole poichè le virtù de' loro Ercoli, e de' loro Tesei, violenti per ordinario, ingiusti, licenziosi, temerarj, sanguinarj e crudeli, non son punto analoghe a quegli abiti ragionevoli dell' animo, che noi reputiamo ora unicamente degni del nome di virtù e da'quali verisimilmente prodotte, ascoltiamo or narrate, or con ammirazione e diletto veggiamo in iscena rappresentate le grandi, istruttive

e memorabili azioni.

(1) Α'ρετὴν δὲ λέγομεν ἀνθρωπίνην, ἐ τὴν το σώμα. τος, ἀλλὰ τὴν τῆς ψυχῆς.

Arist. Lib. I. Ethic. Cap. XII. T. III. p. 18.

CAPITOLO III.

Delle diverse maniere, colle quali possono valersi i poeti dei mezzi e de' soggetti delle loro imitazioni. In che, secondo Aristotile, si rassomiglia Omero ed Aristofane. Ragioni di diversi popoli della Grecia, che si arrogano a gara l'invenzione del Dramma.

Avendo

vendo detto Aristotile nel primo capo che le imitazioni differiscono fra loro in tre guise, cioè ne'mezzi che adoprano, nelle cose che imitano, e nelle maniere delle quali imitando si valgono insegnamento, che ristringe nelle seguenti tre sole parole, con che: quali: e come: (1) ed avendo già spiegate le due prime, passa ora a spiegar succintamente la terza differenza, che consiste nelle diverse maniere di valersi de' mezzi e de' soggetti delle imitazioni: diversità, che divien chiarissima, esemplificata. Si valgono

(1) Εν οἷς τε, καὶ ἃ, καὶ ὡς. Aristot. Poet, Cap. III, Tom. IV. pag. 3.

Tomo XIV.

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egualmente del verso, e scelgono egualmente l'imitazione de' migliori il poeta ditirambico, il poeta eroico ed il poeta tragico; ma il primo sempre narra e parla sempre egli solo: il secondo or narra, or assume le veci delle persone iutrodotte nella sua narrazione ( e di narratore diventa attore) come assai spesso usa Omero: il quale anche da Platone si asserisce essere il più eccellente de' poeti, ed il primo de' compositori di tragedie (1): ed il drammatico, tacendo egli sempre, fa che sempre parlino le persone, che introduce. Nè già le addotte differenze son le sole, che può produrre la diversa maniera di valersi de'mezzi e delle materie. Da ogni diversa combinazione di metro, di numero, d'armonia, d'instrumento, di soggetto, o di modo, or separati, or congiunti nascono nuove differenze. E l'analitico Castelvetro (a cui possono ricorrere i curiosi d'esserne in strutti) ne ha numerate sino a novantacinque. Trascura Aristotile cotesta minuta analisi : si restringe a dire che Omero ed Aristofane, in quanto al mettere i personaggi in azione,

(1) Ομηρον ποιητικώτατον εἶναι, καὶ πρῶτον τῶν τρα Soy. Plato de Republ. Lib. X. pag. 607.

si rassomigliano fra loro: e ehe questa parola azione dedotta dal verbo greco dran, che significa operare, ha dato il nome al poema drammatico; ed entra improvvisamente ne' contrasti de' diversi popoli della Grecia per la gloria dell'invenzione del dramma. Dice che i Dorici Megaresi abitanti in Grecia adducono per ragione il loro stato popolare, più tollerante d'ogni altro della comica licenza: che i Doriçi Megaresi abitanti in Sicilia producono il loro Epicarmo più antico di Chionide e di Magnete: che i Dorici del Peloponneso si fondano sul nome istesso de' villaggi, che non demi fra loro, come fra gli Ateniesi, ma come son detti, donde è dedotto il verbo comazin, andar licenziosamente vagando per la campagna: e finalmente dal verbo dran, operare, che dagli Ateniesi non dran, ma prattin comunemente si dice; e con questa digressione termina il suo terzo capitolo.

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