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rat: ed attribuendo alla parola junctura la più stretta specie di congiunzione.

In primo luogo io confesso di non potermi persuadere che Orazio abbia creduto che l'arte del ben dire consista in quella di sapere inventar parole composte: e specialmente parlando egli ai Latini, i quali, con sensibile differenza dall' abuso che ne fanno i Greci, si vagliono assai parcamente di coteste composizioni di parole: ed in fatti Quintiliano, ch' era al par di me ben lontano da tal persuasione, dopo aver diffusamente ragionato di cotesti accozzamenti di parole nel Cap. V. Lib. I. della Istituzione Oratoria, conclude così:

Ma tutto cotesto artificio sta meglio a'Greci, ed a noi meno riesce: poichè non c'induce la nostra natura ad usarlo, ma una certa propensione alle cose straniere: e quindi è che, dopo avere ammirata in greco la parola composta κυρταυχένα, pos siamo a pena difendere dalle risa l'incurvicervicum in latino, benchè significante lo stesso, e con la norma istessa formaio.

» Sed res tota magis Graecos decet, nobis minus >> succedit: nec id fieri natura puto, sed alienis fa» vemus: ideoque cum xvpraux éve mirati sumus,

» incurvicervicum vix a risu defendimus. »

E non veggo poi come, con la frase del serere verba (anche presa nel senso di seminare e piantare) possa mai esprimersi la formazione d'una nuova parola, che risulti dalla congiunzione di due: operazione da spiegarsi più tosto con la metafora degl' innesti, che con quella delle sementi, o delle

piantagioni. Qui visibilmente il serere verba (quando anche si volesse dedurre dal yerbo, che ha nel preterito e nel supino sevi, satum:) non potrebbe significar che semplicemente parlare: e sarebbe metafora tratta dallo spargere che fa ordinatamente il seme l'agricoltor sul terreno. E la parola junctura non è qui certamente limitata a significar solamente quella congiunzione, che nasce dal cucire insieme i pezzi di due o più parole diverse, per formarne una sola: ma esprime altresì ottimamente l'accompagnamento delle parole intiere, che acquistano novità, forza e splendore dall' artificio con cui sono l'una dopo l'altra ordinate. Ma senza che noi ci tormentiamo a cercar la significazione, in cui si è valuto Orazio del verbo serere, e della parola junctura, ce ne informa chiaramente egli stesso, usando per l'appunto queste parole, e queste frasi medesime in questa sua Arte poetica in luogo, dove non è possi bile il sospettare ch' ei voglia parlar delle parole composte. Al verso 234. volendo dire che s'egli scrivesse drammi satirici, per fuggir la bassezza dello stile, si varrebbe ancora delle metafore, si spiega così:

Non ego inornata et dominantia nomina solum
Verbaque, Pisones, Satyrorum scriptor amabo.
E poco dopo:

Ex noto fictum carmen sequar; ut sibi quivis
Speret idem: sudet multum frustraque laboret
Ausus idem. Tantum series, juncturaque pollet!
Tantum de medio sumtis accedit honoris !

Or qui si vede che in quel dominantia nomina

tolto di peso da Aristotile xúpia ovoμara s'intendono le parole, o siano i nomi delle cose, proprj, ordinarj, positivi, e non metaforici: e che Orazio, per evitar la bassezza, non vuol valersi solo di questi, ma delle metafore ancora. Si vede che la parola series, dedotta dal verbo sero, non suppone in questo verbo, che la produce, la sola significazione di seminare e piantare, ma quella ancora di ordinare e connettere, come nella parola sertum dal medesimo sero derivata e si vede finalmente che junctura non significa appresso d'Orazio la cucitura di varj pezzi di parole, ma l'artificiosa collocazione delle parole intiere, che prendono un nuovo vigore dalla vicinanza di quelle, alle quali sono applicate. E non so se a caso o per arte, nel pronunciare il precetto, ce ne somministra Orazio istesso l'esempio: poichè aggiungendo l' epiteto di scaltra alla congiunzione (callida junctura) trasporta ad essa la qualità dello scaltro scrittore, che l'ha formata: e con questo, non prima usato, trasporto rende nuovo e mirabile l'epiteto di scaltro, ch'era notissimo per sè stesso, e comune. Aggiungasi a così evidenti ragioni la riflessione, che se in questi luoghi non intendesse Orazio di parlar della metafora (non avendone egli affatto parlato altrove) trascurerebbe riprensibilmente di far menzione del più ricco, del più frequente e del più ingegnoso capitale d'ogni eloquenza, e specialmente della poetica. Omissione, la quale (benchè sia nell' ordine de' possibili) io non ho l'ardire d'attribuirgli.

(v.48.) Si forte necesse est etc. Se per avven

tura è necessario d'esprimere (abdita rerum) cose, delle quali non si avea prima cognizione; occorrerà di formar voci non mai udite (cinctutis Cethegis) dagli antichi romani, che chiama cinctutis, perchè essendo essi, ne' primi tempi, applicati e laboriosi, per non essere impediti nelle loro azioni dalla prolissità della toga, la raccoglievano e l'annodavano alla cintura. O pure perchè, non usando la toga nelle loro faccende, cingevansi i fianchi di quella specie di gonnellino, che non cade oltre il ginocchio: di cui (come in tutte le antiche statue constantemente si osserva ) si valevano col sago militare i soldati romani; e si vagliono tuttavia anche al presente fra noi alcune persone per distinzione del loro stato, ed alcuni operarj per comodo.

(v.51.) Dabiturque licentia etc. Sarà permessa questa licenza moderatamente usata: e, se le nuove parole saran derivate da' fonti greci, e con discretezza cambiate, (parce de torta) benchè di recente inventate (habebunt fidem) saran subito accreditate ed ammesse.

(v. 58.) Licuit, semperque licebit etc. Di questa, che par così ampia ed universale permissione, a tutti concessa da Orazio, di formar nuove parole, purchè si dia loro la fisonomia delle altre, che compongono l'idioma in cui si scrive; si sono ben parcamente valuti gli scrittori latini, ed Orazio medesimo: onde conviene esser molto ritenuto nel far uso

di tale indulgenza. È verissimo (come qui splendidamente, da suo pari, asserisce Orazio) che nascono le parole, e muojono e risorgono, come le fo

glie su gli alberi: ma egli asserisce magistralmente altresì, che tutte coteste loro vicende dipendono af fatto dall'uso,

Quem penes arbitrium est, et jus, et norma loquendi. E perciò, avanti che si avventuri un autore a valersi di nuove parole scrivendo, sarebbe prudente cautela l'aspettare almeno che sien esse approvate dall'uso, che ne fanno le persone colte parlando: altrimenti il primo inventore delle medesime correrebbe gran rischio d'esser condannato e deriso.

(v. 63.) Sive receptus etc. Per confermare che le parole non sono esenti dalla legge di dovere una volta perire, come tutte le cose mortali; dice che non le parole solo, ma che le grandi ancora e stupende opere d' Augusto periranno, benchè pajano fatte per l'immortalità: e ne numera alcune. La prima è il porto, ch' ei fece formare, aprendo adito al mare ne' laghi Averno e Lucrino.

(v. 65.) Sterilisve diu palus etc. La seconda è l'aver fatto disseccare e ridurre a coltura fruttifera le paludi pontine: opera per altro più volte intrapresa, non mai perfettamente eseguita, e sempre di corta durata. Perchè Orazio ha fatto in questo verso breve la seconda sillaba di palus, che Virgilio fa lunga nelle Georgiche,

Cocyti tardaque palus innabilis unda.

si è messa in tumulto tutta la turba de' critici: ed hanno scomposto e raffazzonato, a lor talento, il passo, cambiandone l'antica accettata lettura. Ma già che gli antichi grammatici (come asserisce ed avrà certamente verificato Dacier) hanno citato ap

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