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Pubblicamente in cibo: e non si vegga

Mutar Progne in augel, Cadmo in serpente. Tutto ciò, che a mostrar prendi in tal guisa, Il mio soffrir, la mia credenza eccede. Favola, che richiesta e replicata

Esser pretenda, alla comun misura

De' cinque Atti s'adegui, e non si stenda
Nè più, nè men. Se non lo merta il nodo,
Non lo disciolga un Nume: e molto un quarto
Personaggio a parlar non s'affatichi.

D' Attor la parte, e d'un sol uom sostenga,
Quando bisogna, il Coro: e ciò che suole
Cantar fra un Atto e l'altro, al fin proposto
Ben s'adatti e conduca. Egli de' buoni
Fautor si mostri: egli in amor s'unisca
Co'fidi amici: ei gl'impeti raffreni
Di chi trascorre all' ira: ei si compiaccia
Di chi teme fallir: di breve mensa
Lodi il parco apparato: ei la salubre
Giustizia, ei le sue norme, egli i sicuri,
ozj di pace:

Senza muro o custode,

Celi i commessi arcani: aspre a' superbi,
Liete fortune agl' infelici implori.

Non cinta d'oricalco, o della tromba,

Com' or,

la Tibia emulatrice ardita,

Tenue e semplice un dì, con pochi fori,
Le voci a favorir de' Cori il canto

Nondum spissa nimis complere sedilia flatu;

Quo sane populus numerabilis, utpote parvus
Et frugi, castusque, verecundusque coibat.

Postquam coepit agros extendere victor, et urbem
Latior amplecti murus, vinoque diurno

Placari Genius festis impune diebus:

Accessit numerisque, modisque licentia major.
Indoctus quid enim saperet, liberque laborum
Rusticus, urbano confusus, turpis honesto?

Sic priscae motumque, et luxuriam addidit arti
Tibicen: traxitque vagus per pulpita vestem.
'Sic etiam fidibus voces crevere severis,
Et tulit eloquium insolitum facundia praeceps:
Utiliumque sagax rerum, et divina futuri
Sortilegis non discrepuit sententia Delphis.

Carmine qui tragico vilem certavit ob hircum, Mox etiam agrestes Satyros nudavit, et asper, Incolumi gravitate, jocum teniavit: eo quod Illecebris erat, et grata novitate morandus

A secondar fu acconcia: e di non troppo
Folti sedili in un recinto angusto
Bastante a risonar. Che là non molto
Popol s'unia: perchè non grande ancora,
Ancor modesto, e temperato e casto.
Ma poichè vincitore, e i campi suoi,
E dilatò le cittadine mura,

E al piacer dedicò senza ritegni
Fra le tazze diurne i dì festivi;

S'accrebbe allor del pari a' carmi, al canto

Maggior licenza: e

: e che

sperar

di saggio

Da gente si potea libera a pena
Del rustico sudor? Da un misto ignaro
D'agreste e cittadin, d'onesto e vile?
E moto e lusso il sonatore aggiunse
All'arte prisca, e per la scena errante
Trasse la veste allor: crebber di corde
Così le cetre austere: in simil guisa
Temeraria introdusse ignoto stile
L'altrui facondia: ed a far pompa intesa
D'alte dottrine e di presaghi ardori,

Le confuse imitò delfiche Sorti.

Fra quei, che già d'un capro vil l'acquisto

Nelle tragiche gare avean conteso, Vi fu chi poi scherzevole e mordace (Non vil però ) di Satiri selvaggi

La scena empiè. Che trattener convenne

Spectator, functusque sacris, et potus et exlex.

Verum ita risores, ita commendare dicaces

Conveniet Satyros, ita vertere seria ludo;

Ne quicunque Deus, quicunque adhibebitur heros
Regali conspectus in auro nuper, et ostro,
Migret in obscuras humili sermone tabernas:
Aut, dum vitat humum, nubes et inania captet.
Effutire leves indigna Tragoedia versus,

Ut festis matrona moveri jussa diebus,

Intererit Satyris paulum pudibunda protervis.

Non ego inornata et dominantia nomina solum, Verbaque, Pisones, Satyrorum scriptor amabo: Nec sic enitar tragico differre colore,

Ut nihil intersit, Davus ne loquatur, et audax
Pythias, emuncto lucrata Simone talentum ;
An custos famulusque Dei Silenus alumni.
Ex noto fictum carmen sequar, ut sibi quivis

Con qualche grato allettamento, e nuovo
Chi, compiuto il dover de' sacri riti,
Scotea caldo di vin, qualunque freno.
Or que' pungenti Satiri e loquaci
Render con tal misura altrui graditi,
E al giocoso passar dal serio stile
Dessi così; che quell' Eroe, quel Nume
(Qualunque ei sia) che fu tra l'oro e l'ostro
Visto poc' anzi, a favellar non scenda
Come un vil bottegajo: o fra le nubi,
Per sostenersi, a vaneggiar non vada.
Lievi a caso gracchiar versi non merta
Melpomene severa: onde per poco
(Qual pudica Matrona un di solenne
In sacra danza a celebrar costretta )
Mista si soffra a' Satiri protervi.

Non userei sol voci incolte, e tutto
Non col suo nome a dinotar (s'io fossi
Di satirici drammi autor ) torrei .
Nè dal tragico stil tanto, o Pisoni,
Studierei di scostarmi, onde parlasse
La stessa lingua, e il buon Silen d'un Dio
Ajo e seguace; e Davo, e la sfacciata
Pitia qualor, nello scroccare accorta,
Dall' avaro Simon spreme un talento.
Di note voci i versi miei formati
Vorrei così, che conseguir l'istesso

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