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La pubblicazione di ottimi scritti, che va facendosi in cotesta città, a pro della vera letteratura sempre amica della Religione e della sana morale, ha già meritato l'applauso di tutti i buoni. Desideroso di contribuire ancor io, dietro l'invito fattomi da qualche amico, ad impresa sì bella, e non volendo altronde con i miei scritti esser fatto troppo scomparire dalla compagnia degli eccellenti, che s' inseriscono in essa opera periodica, come disse l'Algarotti delle non buone pitture, le quali son fatte scomparire dal vicinato delle ottime; avrei pensato di pubblicare una lezione del celebre Monsignor Giovanni Bottari sopra la testimonianza da' Gentili renduta del principio della nostra Religione Cristiana. Il motivo di questo ragionamento, che fu in origine l'istoria de' Papi del primo secolo, ricavata dagli scrittori profani e dalle anticaglie, dettata per un' Accademia Romana, l'accenna l'autore stesso in una lettera al Proposto Antonio Francesco Gori, la quale ho riportata alla fine. Renduta poi questa lezione quale la invio a V. S. Ill.ma, fu recitata nell' Accademia della Crusca li 14 marzo 1744, e Andrea Alamanni con lettera dei 31 dello stesso mese così all'autore ne rese conto:

« Si aperse l' Accademia, ed io vi lessi la vostra le»zione. Il concorso non fu de' maggiori, ma fu de'più Vol. II. Fasc. I.

I

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» scelti : fummo 18 di numero, ma fra questi vi erano » tutti quegli Accademici che più potevano gustarla; e » vi so dire, che ella fu applauditissima e per argo

» mento e per la maniera di trattarlo. Fra gli altri il » Lami ne fece elogi grandissimi, e si dichiarò, che » quanto avea avuto pincere che le sue occupazioni gli » ave sero permesso di essere quella mattina all' Acca» demía, altrettanto provava rammarico, che molte volte » gliel' avessero impedito e massimamente quando ᎦᏓ

» erano lelle delle vostre lezioni. »

Abbia pertanto la bontà di leggerla, e di osservare, se possa essere una del bel numero delle pregievolissime scritture di cotesia raccolta. In questo caso io la prego a destinarla a tal uopo: altrimenti se la ritenga, chè presso di me conservasi l'originale.

Non credo opportuno premettervi verun avviso, giacchè allora dovrei render conto del perchè non si sono mai riunite, come più volte ho promesso, le lezioni quà e là sparse, nè insieme con esse pubblicate le inedite di sì illustre letterato; e mi converrebbe, per dire la verità, far noto, come contro ogni mia aspettativa io sia restate deluso dallo Stampatore, il quale si era assunto l'incarico della edizione.

Mi perdoni l'ardire, e si vendichi col comandarmi, che le farò conoscere se sono veramente quale mi do l'onore di protestarmi col più profondo rispetto e stima Di lei sig. Compilatore

Firenze dal Collegio Eugeniano

li 20 maggio 1822.

Devot. obb. Servo

P. FRANCESCO GRAZZINI.

Sopra la testimonianza da’Gentili renduta del principio della nostra Religione Cristiana

LEZIONE DI MONSIGNOR GIOVANNI BOttari.

U.

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n molto vago, e singolar tema di ragionare mi ha oggi posto avanti la ventura, qualora io d'altre forze, e d'altra dottrina fossi corredato; tema non indegno d'essere esposto alla vostra savia considerazione, dottissimi Accademici: e questo è un dubbio promosso non ha guari, per la soluzione del quale si potrebbe una quanto erudita, tanto modesta curiosità appagare, e altresì rispondere ad alcuni miscredenti, e rei uomini, i quali tentano con ogni lor possa d'atterrare (come che invano) la nostra santa e ben fondata Religione. Il dubbio è, perchè essendo i fatti, la vita, i costumi, e le virtù de' primi Cristiani cotanto mirabili ed eccelse, ed oltre a ciò così celebri, e famose per le orrende e non più per l'addietro ascoltate persecuzioni deʼtiranni, che per tutto il conosciuto mondo contra di essi incrudelirono famosamente, tuttavia in tanti autori Greci Latini avanzati al dente dell'età d'ogni cosa divoratrice, poche, e non ordinate memorie si trovino de' Cristiani, de'loro fatti, de loro costumi, e della loro religione. Ma se costoro avessero pensato attentamente, e di buona fede alla cagione di questo silenzio, avrebbero veduto pro venir ciò o dalla negligenza usata dagli autori non Cristiani nell'informarsi delle cose nostre, nostre, che produsse una quasi totale ignoranza della medesima, o da superbia, e forse da invidia, che fece loro disprezzare, tacere quel che sapevano. Sufficiente, e chiaro esempio

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per provare la mia proposizione (senza molto divagarsi)

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si ritragga da due Ebrei Ellenisti di gran nome, Filone e Giuseppe, i quali pareva, che soprà tutti dovessero esser bene instruiti della nostra Religione, che allora appunto sorgeva tra di loro, ed era quasi un rampollo della Mosaica, e avea gli stessi fondamenti, e nei loro libri sacri era tanto manifestamente predetta, e da essi avidamente aspettata. Inoltre erano amendue assai culti nelle dottrine forestiere, poichè Filone era venuto a Roma nella celebre ambasceria spedita a Caligola, e poscia, al dire di Eusebio (1), e di S. Girolamo (2), tornatovi un' altra volta aveva parlato con S. Pietro, e se vogliamo prestar fede al dottissimo Fozio, si era anthe fatto Cristiano. Di più avea posto un grande studio nelle filosofie straniere, e specialmente nella pitagorica, e nella platonica, ed in quest' ultima si era tanto immerso, che diede luogo al noto proverbio Thάτш φιλωνίζει, ἢ φίλων πλατωνίζει. Giuseppe poi nell' anno 63 di Cristo venne parimente in questa città, e molto tempo visse dopo l'anno 93, quando già la nostra fede. era molto dilatata, e fatta quasi pubblica, poichè dopo quest' anno scrisse i libri contro Apione: e inoltre fu tanto amante delle erudizioni peregrine, che il grande Scaligero arditamente lasciò scritto, meritar egli più fede che tutti i Greci, e Latini. Diligentissimus,,xai piñaAndédatos omnium scriptorum Josephus etc. E, poco appresso, De Josepho nos hoc audacter dicimus, non solum in rebus Judaicis, sed etiam in externis tutius illi

(1) Euseb. l. 2. c. 17.

(2) S. Gir. de script. o. x1.

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credi, quam omnibus Graecis, et Latinis, cuius fides, et eruditio in omnibus elucet. Or se si consideri questi due famosi Ebrei non averci tramandata quasi uiuna notizia de' fatti de' Cristiani, cesserà, son certo, la meraviglia del silenzio ancora de' Gentili. Poichè Filone non ne ha fatta alcuna menzione, quando non si volesse dire, che sotto nome dei Terapeuti intese i Cristiani, come vollero alcuni per avventura troppo ansiosi d'espugnare l'ebraica ostinazione colle stesse sue armi; tra' quali si dee annoverare Eusebio (1), e alcun altro autore ma contro di essi esclama altamente tutta la turba de' critici di maggior fama, e specialmente Giuseppe Scaligero, e Arrigo Valesio, i quali soli pel loro sommo giudizio, e prodigioso sapere vagliono per cento, tolgono la pena di nominar verun altro. E posto ancora, che a'Cristiani si debba appropiare quello, che racconta Filone de' Terapeuti, non ne ricaveremo altro, se non che fin da quel secolo cominciarono alcuni Cristiani a vivere ritirati dal mondo. Se poi si passerà colla mente sopra le tante, e tra se diverse opere di Giusep pe, non c'imbatteremo se, non se in tre luoghi, dove egli tocca alcuna cosa alla nostrà istoria appartenente, come il Battesimo predicato dal Battista, l'ingiusta morte di S. Giacomo fratello del Signore, e l'elogio, che fa di Gesù Cristo medesimo; della legittimità del qual elogio non vi ha quasi verun dotto, e savio critico, che ne dubiti più, e che non rigetti le insussistenti obiezioni, che prima di tutti gli suscitò contra Luca Osiandro, o Tanaquil Fabro, e dopo lui il Cappello, il Clop

(1) Lib. 2, c. 17.

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