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esser utile. Chè la Religione è Religione, e come Religione è potentissima da ciò, che non servendo essa a nulla, tutto serva a lei. Se i Re tolgono ad essa questo, se non comporta il loro orgoglio di essere a quest' una soggetti, non hanno più in mano a giovarsene la Religione, sì una larva di Religione. La quale di che utilità a lungo possa essere, l'intendano da questo vero, che a' governanti tanta vendetta matura una virtù finta, quanto loro ingenera una vera di amore: il perchè non terrebbe modo lo sdegno universale, dove tolto è ogni modo al naturale affetto degli uomini per la Divinità: nè mancherebbe che gli uomini di tanta ipocrisia, in questa condizione di tempi, presto o tardi non s'accorgessero.

XIII. Ma ommettendo questi alti sdegni della natura umana anzichè degli uomini, così diciamo: Se l'Imperatore teneva nella solidità della Sedia Apostolica avere alcun che di divino, non s' intende come poi esigesse che ad umani consigli quella sedia si congiungesse: se poi teneva che questi suoi consigli avessero la medesima consistenza delle divine cose; che abbisognava del Pontefice? Ma se miscredendo a tutti i veri sopraumani, non altro con quella federazione cercava, che aggiungere all'occupato imperio un umano sostentacolo, questo fa a noi maraviglia, a Pio dovea fare in considerandolo infinito dolore, come egli non sapesse elevarsi al pensiero che un uomo vi avesse in sulla terra non finto. Perciocchè se avesse creduto avervelo, questo doveva temere almeno che fosse il Papa Pio VII.; tanta semplicità

di animo, tanto lume di candore da lui usciva. Che se Pio VII. non potea infingersi; dunque non lo guidavano ragioni temporali, ma eterne: dunque veracemente affermava che nè l'amore della vita, nè altro umano bene, ma uno eccelso e divino dovere il conduceva. Perciò egli pare che questo pensar possibile, che il Pontefice avesse sottomessi gl'interessi della Sedia Romana alle volontà di Napoleone per timore di sua potenza; che è quanto riputare tutti i Papi finti uomini e veleggiatori a soffj degli umani venti (nel che ci pare assai che non abbia saputo far tra' Papi almeno una eccezione a quest'uno); sia un pensare troppo eccessivamente ingiurioso non dirò alla sacerdotale ma all'umana dignità: quasichè tutta la grandezza dell' uomo termini in simulazione e astuzia, e tutti noi siamo nati per ingannare, o per essere ingannati. Non ignoro come un altissimo spirito tragga dalla culla un certo senso interiore di maggioranza, e quasi si senta naturalmente innalzato, e adoperi cogli altri, senza pure accorgersene, come maggiore costituito da natura: ma il presumere di portar seco innato il diritto di schernire goffamente l'umanità, questo non parmi necessario carattere de' Genj: non credo questo un sentirsi da natura alzato su gli altri; credolo una smisurata e furente prosunzione, un volere abbassati gli altri sotto di sè, giudicandoli debolissimi, sciocchissimi, vilissimi. E qualunque cosa pensar si voglia de' particolari, la stessa comunità degli uomini pare a me sempre rispettabile, come sapiente, giusta, sacra, irrefragabile, e terribile.

XIV. Ma questi oltraggi della umanità davano a Pio VII. meno gravezza, delle calunnie, di cui ridondavano le lettere che da quel Sire riceveva. Dobbiamo veder dunque anche queste calunnie, mentre non può conoscersi la grande virtù di Pio, se non rimescendo la feccia del calice di cui egli fu abbeverato: giacchè la sola misura del suo dolore è la misura della sua fortezza e costanza. Quali triste cose Pio VII. entro quelle lettere non vedeva! Non forse la sventura di Europa, non che lo scherno? Non è cotest' arte delle calunniose imputazioni quello strumento onde s'ingannano, si tradiscono i popoli, onde i rivoluzionarj, e i tiranni che brulicano infiniti di mezzo alle rivoluzioni, s'arrampicano in su'troni infamati, i Re legittimi strappandovi, per intronizzarvi se medesimi? Del qual perpetuo giuoco di menzogne mai non sembra che i popoli s'accorgano, se non quando il giuoco tristissimo è finito. Nel che però non tanto mi dà affanno l'intendere come ambizione insaziabile conduca gli atrocissimi mortali, professori de' magni latrocinj de' regni, a divulgare congegnate accuse de' legittimi governanti; quanto a me genera stupore e mestizia l'osservare, che ad assorbir tali accuse, a cui è chiaro che converrebbe il credere esser lentissimo, sia il popolo celerissimo, e quasi di esse avidissimo. Tanto è negli uomini di quella nequizia che si piace del male altrui, che ove a malincuore e tardi si abbraccia verisimile voce d'altrui virtù, cupidamente e con prontezza incautissima s'ingozza quella de' vizj, ancorachè venuta da sospet

tissime persone, e senza nota di verisimile. Sentono i massimi ingannatori come qualunque goffaggine spacciano in danno de' Principi cui latrocinano, ritrovano chi comperarla e chi rivenderla: e però dicono: non ci costano le menzogne e ci giovano; chè dalle dicerie poco o molto il vero se ne lorda: imperciocchè costare loro un delitto è nulla; di tal moneta sì sono ricchi; e all'esecrazione de' buoni, che loro aggrega sordamente inesorabilissima vendetta, non hanno l'occhio, a tanta orbezza sono dannati. Non curano adunque che sieno verisimili le calunnie; curano che sieno calunnie se non che le ingiustissime meglio a loro uopo compungono l'animo degl' innocenti. E quale era manco verisimile e più pungente di quella ogni istante ripetuta, che negli Stati di Pio VII., a' Francesi cortesissimo, si tramassero congiurazioni contro a' Francesi, nelle quali il governo Pontificio, o persone del governo partecipassero? Di grazia, considerate in che luogo: in quegli stati per tutti li quali Pio VII. colle parole, colla sacra persona osava di entrare mallevadore tanta era la vigilanza della pontificia Polizia in ogni parte del Regno, tanta la providenza, tanta la conoscenza e sicurtà de' suoi popoli, che potesse Pio VII., non solo comprimere i mali, ma ovviarne le apparenze, non solo i fatti contro agl' invasori raffrenare, ma i lamenti stessi ed i pianti ne' petti degli afflitti popoli soffocare, e fino io direi la mestizia diradare dai volti degl' infelici: chè le querele, la mestizia, i pianti erano delitti capitali a quegli ospiti in quegli

stati ne' quali il Papa cento volte l'impudenza francese avea provocata a nominare i rei, i sospetti, de' quali avrebbe giudicato severissimo; e l'impudenza francese ammutoliva, nè però si restava se non un poco dal rigettare incontro (rimanendole solo ingiurie da stolta) la stessa accusa gratuita, generale: in quegli stati ove i medesimi Francesi con mille occhi da lor comperi (che in questo quai più solenni maestri si conoscevano?) ogni cenno della gente ne spiavano, più assai desiderosi di trovar colore a finte colpe, che timorosi di trovar vere colpe: delle quali, se trovato avessero, non erano inermi, nè per vero ignari di vendicarle: in quegli stati, ne' quali ogni dì come amici, anzi signori, ospitalissimamente con ogni larghezza eran trattati.

Nè all'alta ingiuria esauriscasi, o Pio VII., il tuo dolore: riserbane gran parte ad altre maggiori. Poichè in quelle tue terre, o mitissimo, ove i Francesi beneficati trame contro a loro rinfacciavano al tuo Governo, le ordinavano essi i buoni ospiti in te, e mercando i tristi, e per molti averne molti facendone, ogni più sacrosanta cosa, virtù, fede, legittimo affetto perfidissimi corrompevano; della cui corruzione, ferace pianta, ovecchè pesta di uomo apparisca, anche indi partendo lasciarono i semi deposti, che in suolo però colto da benigna mano di sacerdote tentano indarno di rimettere e propagginarsi. Era per avventura inconcepibile sfrontatezza imporre altrui merito delle proprie vergogne e perfidie: ma non fu sola una volta. Dopo il francese concordato, pochissimo avea potuto il

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