Obrazy na stronie
PDF
ePub

Suol esser guida, o un lumicin ch'io stesso
Tempero di mia mano, a scherno ei prende.
Ma della zuffa sfortunata ascolta

Il proemio qual sia: se zuffa è questa
Ove ei percote, e il sol
e il sol percosso io sono.
Ti si para dinanzi; innanzi a lui

T'impon che resti, ed ubbidir conviene.
E che altro far, quando ti sforza un pazzo
Più robusto di te? Di dove vieni?

(Grida insolente) chi d'aceto e fava,
Chi ti gonfiò? qual ciabattin col muso
Di castron lesso e porro trito ha fatta
Gozzoviglia con te? Nulla rispondi ?
Parla o t'affibbio un calcio. Ov'è, palesa,
Di tua dimora il loco: in qual poss'io
Sinagoga cercarti? O parli o taccia,
Lo stesso ti varrà: menan costoro
Sempre le mani, e al giudice sdegnati
T'accusan poi. Così libero in Roma
È il pover uom. Garontolato e pesto
Prega, s'umilia; e molto fa, se ottiene
Di ritornar con qualche dente a casa.
Nè questo solo hai da temer; che quando
Tutti gli usci son chiusi e che
per tutto
Tace sbarrata ogni bottega, è pronto
Già chi ti spogli: e un assassin talora
Ti spaccia in un balen. Custodi armati
Le Pontine paludi e le foreste

Guardan di Cuma; onde di là fra noi
Corrono alla pastura. In qual fucina,
Su quale incude ad apprestar catene
Non si stancano i fabbri? È tanto il ferro

Maximus in vinclis ferri modus, ut timeas, ne Vomer deficiat, ne marrae et sarcula desint. Felices proavorum atavos felicia dicas Saecula, quae quondam sub regibus atque tri

bunis

Viderunt uno contentam carcere Romam.
His alias poteram, et plures subnectere caus-

sas:

Sed jumenta vocant, et sol inclinat: eundum est. Nam mihi commota jamdudum mulio virga Innuit: ergo vale nostri memor, et quoties te Roma tuo refici properantem reddet Aquino; Mequoque ad Elvinam Cererem, vestramque

Dianam

Convelle a Cumis. Satyrarum ego, ni pudet il

las.

Adjutor gelidos veniam caligatus in agros.

Rivolto in uso tal, che ormai potrebbe
Alle marre, alle zappe ed agli aratri
Dubitarsi che manchi. O fortunati
Avi degli avi nostri! o età felici
Allor che sotto i Re, sotto i Tribuni
Era un carcere sol soverchio a Roma!

Ben altre a queste accumular ragioni,
E in gran copia io potrei; ma intolleranti
M'affrettano i giumenti: il Sol declina
Verso l'occaso; e il mulattier fa cenno
Agitando la verga. Addio. Conviene
Ch'io parta alfin. Di me sovvienti; e sempre
Che, cercando ristoro, al tuo da Roma
Torni diletto Aquin, me dell' Elvina
Cerere all' are ed alla tua Diana

Da Cuma appella. In su que' campi algenti
In foggia militar verrò calzato;
E alle Satire tue prestar la mia

Potrò (se non la sdegni ) opra adiutrice.

1

SATIRA VI

DEL LIBRO SECONDO

DI

Q. ORAZIO FLACCO

« PoprzedniaDalej »