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Di fortuna e di amor. Gemiam canuti
Sotto il peso degli anni. Or ne tormenta
La brama d'ottenere: Or ne trafigge
Di perdere il timor: eterna guerra
Hanno i rei con sè stessi; i giusti l'hanno
Coll'invidia e la frode. Ombre, deliri,
Sogni, follie son nostre cure; e quando
Il vergognoso errore

A scoprir s'incomincia, allor si muore. Gli si presenta in queste meditazioni il fratello Cherinto, che frettoloso gli dà avviso d' aver egli, la principessa Creusa, e gli amici placato il feroce padre, il quale gli perdona, gli dà la vita e la sposa. Or mentre dalla bontà paterna sopraffatto Timante va compiacendosi in tanta sua felicita, ascolta da Matusio, che Dircea non è già sua figlia, ma figlia di Demofconte, ma sua sorella, e darsene vede indubitata riprova con un foglio della regina Argia, il qual foglio alla consorte di Matusio consegnò ella morendo, e che Matusio a sorte ritrovato aveva fra le cose più care sue, mentre a fuggir con Dircea erasi preparato. Così dal colmo delle contentezze è in un subito precipitato di bel nuovo Timante in un abisso di confusione. Inorridisce d'un imeneo sì mostruoso, ed a se stesso va dipingendo tutto lo spaventevole complesso di tante fatalità con que' versi, che astener non mi posso di trascrivere per coloro che non si dan pena di andarli a ricercare al luogo loro: Misero me! Qual gelido torrente

la

Mi ruina sul cor! Qual nero aspetto

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Prende la sorte mia! Tante sventure

Comprendo alfin: perseguitava il Cielo
Un vietato imeneo. Le chiome in fronte
Mi sento sollevar. Suocero e padre
M'è dunque il re! Figlio e nipote Olinto!
Dircea moglie e germana! Ah qual funesta
Confusion d'opposti nomi è questa!
Fuggi, fuggi Timante. Agli occhi altrui
Non esporti mai più. Ciascuno a dito
Ti mostrerà. Del genitor cadente
Tu sarai la vergogna; e quanto (oh Dio)
Si parlerà di te! Tracia infelice,
Ecco l'Edipo tuo. D'Argo e di Tebe
Le furie in me tu rinovar vedrai.
Ah non t'avessi mai

Conosciuta Dircea! Moti del sangue
Eran quei, ch'io credeva

Violenze d'amor. Che infausto giorno
Fu quel che pria ti vidi! I nostri affetti
Che orribili memorie

Saran per noi! Che mostruoso oggetto
A me stesso divengo! Odio la luce,
Ogni aura mi spaventa. Al piè tremante
Parmi che manchi il suol. Strider mi sento
Cento folgori intorno, e leggo, oh Dio!
Scolpito in ogni sasso il fallo mio.

In tanto terrore in cui si ravvolge il meschino Timante, gli si affacciano nella scena quinta il padre placato, la pietosa Creusa, l'amoroso Cherinto, la tenera Dircea e il picciolo Olinto suo figlio. Si può bene immaginare quale sconvolgimento di passioni cagionino nel cuor di Ti

mante questi oggetti un momento prima sì cari, ed ora odiosi tanto; e in quale sbigottimento cadano gli animi di tutti loro quando Timante evita gli amplessi paterni, sfugge quelli della consorte, e bieco guarda l'innocente Olinto, e quando senza più oltre svelarsi prorompe in dire al fanciullo:

Misero pargoletto,

Il tuo destin non sai:
Ah! non gli dite mai,
Qual era il genitor.
Come in un punto, oh Dio,
Tutto cangiò d'aspetto!

Voi foste il mio diletto,

Voi siete il mio terror.

Ognuno de' personaggi nelle scene seguenti si determina nell' inaspettato caso a quelle risoluzioni che gli detta il carattere loro: corre Demofoonte a indagar l'origine di sì strano cambiamento. L'affettuosa Creusa s'affanna a consolar Dircea, e questa come più degli altri percossa, oh come bene spiega il suo crudelissimo dolore! quando alla principessa che le fa coraggio, che la consiglia a piangere, a parlare, a sfogarsi, prorompe in dire:

Che mai risponderti,
Che dir potrei?

Vorrei difendermi,
Fuggir vorrei,
Nè so qual fulmine

Mi fa tremar.
Divenni stupida

Nel colpo atroce;
Non ho più lagrime,
Non ho più voce,
Non posso piangere,
Non so parlar.

Mentre però par deciso per sempre il terribil destino di Timante; mentre in orrore a se stesso, è costretto ad abborrire chi amò con tanta tenerezza; mentre risolve di darsi la morte, negli estremi periodi in somma del suo dolore, intesa dal padre la cagion lagrimevole delle sue angustie nel foglio d'Argia, vi legge ancora a chiare note, esser sua figlia Dircea, ma come abbia cambiato fortuna, dichiararsi in altro foglio depositato nel domestico tempio della reggia. Quest' altro foglio da Demofoonte si trova, e in esso riconosce essere stata Dircea cambiata in fasce con Timante figlio di Matusio dalla regina, per assicurar lo scettro nella famiglia; ma nato poi Cherinto, nè osando ella palesare il cambio al marito, a morte venuta avere espresso in questi due fogli diversi la vera condizione di Timante e di Dircea; col quale scioglimento improvviso tutto cangia d'aspetto: scoperto in Cherinto il vero erede sposandosi a Creusa che l'ama, si disimpegna la parola data al re di Frigia: noto a se stesso e al regno l'innocente usurpatore, secondo il decreto dell'oracolo, vien liberata la Tracia dall'annuo sacrifizio; e Timan- * te abbraccia senza orrore e rimorso la sua diletta Dircea.

Da quanto ho detto finora, si può subito com

prendere qual sia l'eccellente condotta di questa tragedia. Non v'è scena che in azione non sia: non v'è parte d'azione che al tutto non miri. Si vegga, con qual arte dal principio fin all'ultimo son sospesi gli animi degli spettatori; come passano grado a grado per le senzazioni di tanti affetti; tenerezza, pietà, meraviglia e terrore: come ogni attore è necessario, e come tutti sono spinti verso l'oggetto principale. Non inutile, non superfluo, ma essenziale ogni detto, ogni moto loro subito si ravvisa. La ferocia di Demofoonte, la superbia di Matusio, il furore amoroso di Timante diversamente operando allo scioglimento impensato e non preveduto, conducono la favola, e rimangono pienamente soddisfatti i desideri che possono aver concepiti gli spettatori; che sono la liberazione dal crudel sacrifizio, il disimpegno della parola reale; lo scoprimento dell'usurpatore innocente; e la tranquillità del meschino Timante e della sua Dircea: con che avendo il poeta adempite le leggi tutte della tragedia, si può questa dichiarare per una delle più nobili e più perfette che siano mai state composte.

La tragedia dell' Issipile è anch'ella, come il Demofoonte, del genere delle azioni implesse, che tanto piacevano a' Greci. È noto il nome d' Issipile, nota la congiura che fecero le donne di Lenno per trucidar tutti i loro mariti, che dalla Tracia, ove per lungo tempo trattenuti si erano, con altre spose alle patria facevan ritorno. Toante padre d'Issipile, re e condottiere de' Lenni fu

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