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astuzia repressi, ora rammentandogli Deidamia, ora rappresentandogli le smanie sue e la sua tenerezza; col mezzo delle quali potentissime attrattative l'induce finalmente a contenersi.

Nella scena settima Ulisse già avendo esplorato celarsi in Pirra il da lui cercato Achille, ordisce una nuova frode per iscoprirlo, facendo insorgere repentina rissa fra' suoi seguaci, e i servi di Licomede in atto che stava egli presentandogli in dono un elmo, una spada, uno scudo. Allo strepito dell'armi si ritiran tutti, non meno che l'insidioso Ulisse; ed Achille infiammandosi, in questi sensi prorompe:

Ove son? Che ascoltai? Mi sento in fronte
Le chiome sollevar. Qual nebbia i lumi
Offuscando mi va? Che fiamma è questa,
Onde sento avvamparmi ?

Ah! frenar non mi

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questa cetra

posso: all'armi, all'armi.

Dunque è l'arme d'Achille? Ah no! la sorte
Altre n'offre, e più degne. A terra, a terra
Vile stromento. All' onorato incarco
Dello scudo pesante

Torni il braccio avvilito. In questa mano
Lampeggi il ferro. Ah! ricomincio adesso
A ravvisar me stesso. Ah fossi a fronte
Di mille squadre e mille!

E così resta felicemente terminato il suo scopri-
mento per
la sola forza del suo costume fin qui
con tanta energia dal poeta a grado a grado ri-
levato, ed all' estremo dell'impeto suo industre-
mente condotto; esclamando Achille nel fine

della scena, guardando i suoi ornamenti donneschi :

Oh vergognosi, oh indegni

Impacci del valor! Come finora

Tollerar vi potei? Guidami, Ulisse,
L'armi a vestir. Fra questi ceppi avvinto
Più non farmi penar.

Apresi finalmente l'atto terzo, ove ha da brilla-
re con tutte le sue bellezze il costume d'Achil-
le, e quello della sua passione amorosa. Nella
prima scena,
oh con quanta maestà l'eroismo
suo si rileva dal poeta! Achille dice:
Ah! perchè mai le sponde

Del nemico Scamandro

Queste non son? Come si emendi Achille,
Là si vedrà. Cancellerà le indegne

Macchie del nome mio di questa fronte
L'onorato sudor: gli ozi di Sciro
Scuserà questa spada; e forse tanto
Occuperò la fama

Co' novelli trofei,

Che parlar non potrà de' falli miei e in un paragone espresso con tutto l'estro della lirica poesia termina di eccellentemente definirsi da Ulisse questo d'Achille magnanimo costume: Del terreno nel concavo seno

Vasto incendio se bolle ristretto,
A dispetto del carcere indegno
Con più sdegno gran strada si fa.
Fugge allora, ma intanto che fugge,
Crolla, abbatte, sovverte, distrugge
Piani, monti, foreste e città.

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Ma la scena terza, dov'è dipinto il contrasto del costume generoso d'Achille col costume amoroso, è un modello di dialogo, di poesia e d'affetti; bisogna tutta rileggerla, ond'è inutile di qui riportarla. Per quanto di tenero e di disperato può ad Achille presentare Deidamia; per quanti assalti può dare a quel cuore amante, esita Achille fra il partire ed il rimanere: ma qui riserbava il poeta l'ultimo sforzo d'amore, facendo sugli occhi d'Achille rimanere svenuta dal dolore Deidamia; al qual colpo sparisce l' Achille valoroso, e resta l'Achille amante: ma tutti i combattimenti dei due costumi sono poi sopiti da Licomede, che decide, che vada Achille all'impresa di Troja sì, ma che divenga prima sposo dell'amata principessa.

E qui occasione opportuna mi si affaccia di ponderare, come abbia un poeta celebre Francese maneggiato il brillante carattere di Achille nella tragedia dell' Ifigenia, acciocchè col paragone si vegga meglio la somma esattezza dal signor Metastasio impiegata: nel che ben alieno dal voler pretendere di scemare qualunque minima parte della gloria, da Racine così giustamente acquistata con tante sì tenere, sì sublimi e sì perfette tragedie, che arditamente possono paragonarsi alle migliori de' Greci; null'altro conseguire intendo, che disingannar coloro che reputano inferiore il nostro poeta, non solamente a questo grand'uomo, ma a diversi altri tragici di minor fama.

Il fervido Achille s' introduce sulla scena

nella seconda dell'atto primo; ma niuna vivacità di colore, niun tocco ardito di pennello vi si ravvisa che faccia veramente risplendere il suo costume; anzi là, dov'egli rammenta la predizione fatta a sua madre Teti, ch'egli morrebbe all'impresa di Troja; e dove poi colla non curanza di ciò che il fato ha di lui disposto, e con gli eroici sentimenti che produce, ha voluto il poeta far conoscere Achille, potrebbe forse pensare qualche critico, che con due parole ha indebolito l'eroismo di lui, poichè dicendo

l'eroe:

Je puis choisir, dit on, ou beaucoup d'ans sans gloire,

Ou peu de jours suivis d'une longue mémoire : con quel, dit-on, col quale mette in dubbio, se sia vero ch'egli morrà sotto Troja, minora assai il merito della risoluzione di cui fa pompa, di sottomettersi volentieri al suo destino, purchè gloria ed onore conseguisca. E che efficacemente egli dubiti della verità della predizione, si può ravvisar dall'altro verso:

Moi je m'arrêterois à de vaines menaces? non potendosi in verità negare, che l'incertezza d'Achille sulla sorte che a Troja l'aspetta, non faccia torto al suo carattere; e che a quello più non convenisse e alla fama che ci resta di Îui, rappresentarcelo persuaso di morire, e non ostante risoluto di sagrificarsi per acquistare

eterno nome.

Da questa scena seconda dell'atto primo fino alla sesta del secondo non si vede più l'ardito

Achille, il quale in vigor del suo intollerante costume, parrebbe che dovesse più frequentemente comparire; trattandosi di cose che tanto dominano nel suo cuore, come il ritardo della flotta de' Greci, il silenzio dei venti, l'oracolo fatale e l'arrivo d'Ifigenia, la qual egli con sì negligente pazienza tanto dilunga a vedere. E in quella stessa breve scena evitato dalla principessa l'amoroso e pronto Achille, invece di seguirla e di esplorare i motivi della sua condotta, passa a trattenersi nella scena settima con Erifile, riflettendo, ponderando i discorsi di Calcante, di Nestore e di Ulisse, e nulla operando con fervore e con ardire; soli distintivi di Achille, e di Achille amante.

si

Egli nella scena terza e quarta del terzo atto occupa a narrare a Clitennestra, che Nettuno e i venti saran finalmente placati col sagrifizio che Calcante prepara e a dar la libertà ad Erifile: e nella scena quinta in cui Arcade gli ragguaglia, che Agamennone destina per vittima la sua sposa, si contenta unicamente di esclamare: Lui!

Quelle aveugle fureur pourroit l'armer contre elle?

Ce discours sans horreur se peut-il écouter? Sentimenti, che non ad Achille, ad Achille amante, ad Achille sposo convengono, ma che sarebbero adattabili ad un altro qualunque personaggio che si trovasse presente al duro e lagrimevole avviso, per poco che s'interessasse nella sventura della meschina Ifigenia.

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