come formar giusto e sicuro giudizio del vigore de' propri talenti poetici? Son così a tutti cortesi in vista, e così allettatrici le Muse, che ognuno si persuade (come Cicerone asserisce) d'esser egli il più distinto lor favorito. Neminem adhuc cognovi poetam .. qui sibi non optimus videretur. Cic. Tusc. lib. V. Or se un uomo così grande, che ha tanto onorato l'umanità con la sublimità dell'ingegno, con la vastità della dottrina, e con la splendida sua eloquenza, e, quello che più è mirabile, se un così perfetto conoscitore di cotesta nostra quasi universal debolezza, non è giunto a ravvisarla in se stesso; anzi ha coraggiosamente ripieni tanti fogli di tali suoi componimenti poetici, che han meritata la definizione di ridenda poemata dall'ardito Giovenale; come (dico) potremo assicurarci della sufficienza delle nostre forze, su le decisioni del proprio giudizio? Si può ricorrere, è vero, al consiglio degli antichi e de' presenti accreditati maestri: ma le sentenze di quelli, non sempre concordi fra loro, e tanto dagli espositori differentemente spiegate, e le opinioni dei nostri coetanei tanto opposte fra loro, a seconda de' vari pregiudizi delle scuole de' partiti, delle nazioni e degli accidentali gusti, incostantemente regnanti; sono assai più atte a confondere, che ad illuminare l'inesperta gioventù. Quali saran dunque i consigli da darsele? Pochi: e non affatto sufficienti, ma che possono pure essere giovevoli. Non credere, in primo luogo, che sia sempre prova di abilità alla poesia l'inclinazione, che altri si sente per la medesima. Aver sempre sempre innanzi gli occhi il terribil rischio, a cui, secondo Orazio, si espone. Non avventurarsi da bel principio a lunghe e difficili imprese: ma tentar le proprie forze e la propria fortuna con picciole produzioni, lavorate ad imitazione di quei celebri passi d'antichi e moderni poeti, che hanno ottenuto l'autentico incontrastabile sigillo della pubblica concorde e costante approvazione, ritrovandosi sempre nella memoria, e nella bocca degl' ignoranti e de' dotti. Esaminare, senza traveggole d'amor di se stesso, la sorte delle prime suddette proprie produzioni, osservando con qual piacer sono accolte dall'universale degl'uomini: con qual facilità ritenute: e con qual desiderio richieste. E quando coteste prove non corrispondono alle speranze, considerare, per consolarsene, che a meritar distinto luogo fra' grandi illustri uomini, non è punto necessaria la qualità di poeta. (v. 408.) Natura fieret laudabile carmen ec. Chi volesse credere a tutti i filosofi, a tutti i poeti ed al radicato universale antichissimo assioma che poeta nascitur; non potrebbe dubitare, che l'estro, l'entusiasmo, o quella specie di furore, senza il quale non concedono che si possa volare in Parnaso, non sia qualche cosa di divino, e dono gratuito del cielo. Platone asserisce in più luoghi la divinità di cotesto furor poetico: e la prova, affermando che i poeti, quando sono invasi dal loro entusiasmo, dicono cose, che non sanno, e mai non hanno imparate. Aristotile, in cento luoghi, e particolarmente nella Poetica, conta cotesto furore fra le parti essenziali della poesia; Democrito, con indignazione d'Orazio, non ammette in Elicona poeti se non sono furiosi: excludit sanos Helicone poetas. Ma Orazio medesimo altrove chiama anch'esso cotesto furore amabilis insania: e nella Satira quarta del lib. primo dice: neque enim concludere versus Dixeris esse satis Ingenium cui sit, cui mens divinior, atque os Magna sonaturum des nominis hujus honorem. Ed Ovidio non è stato il solo, nè il primo fra i poeti che si sia arrogata cotesta divinità. Ennio avea chiamati sanctos i poeti prima che Ovidio scrivesse: Est Deus in nobis, agitante calescimus illo: Impetus hic sacrae semina mentis habet. Ma io, che non so risolvermi ad attribuire cotesta divinità ad altra poesia, che a quella de' profeti; la quale, come cosa sovrumana, non può cader sotto l'esame del nostro corto raziocinio, mi trovo persuaso dalla sentenza d'Orazio, cioè che nè la natura, nè l'arte, l'una scompagnata dall'altra abbia sufficiente valore per formare un poeta. Perchè la sola natura non può fornirlo di quella vasta dottrina, ch'è indispensabile all'ottimo poeta: nè lo studio solo è capace di procurargli l'acquisto di quelle necessarie naturali disposizioni, che nulla hanno di divino, e non bastano sole a formare il buon poeta; ma sono sufficientissime ad impedire che possa mai divenirlo chi per natura non le possiede. Coteste naturali necessarie disposizioni, forse non tutte son da noi conosciute: ma basteranno per prova della nostra asserzione le seguenti, a ciascheduno visibili. In primo luogo, per esser atto a divenir роеta, è necessaria una naturale acuta sensibilità all'armonia, al numero ed al metro: quale è quella che s'incontra non di rado in Italia fra i rustici giovanetti, e villanelle de' contorni particolarmente di Firenze e di Roma: i quali, non sapendo per lo più nè men leggere, e ignorando affatto qualunque metrica legge, cantan versi improvvisi su qualunque soggetto che lor si proponga: e con la sola guida dell'orecchio non ne trasgrediscono mai gli accenti e le misure. Operazione, che a moltissimi uomini di distinto ingegno e dottrina, e provveduti perfettamente di tutte le regole del metro riesce difficile e mal sicura, se non ricorrono a contar le sillabe su le dita. È necessaria una naturale docilità, o sia attività del cuore ad investirsi facilmente delle varie umane passioni, che si vogliono in altri eccitare: effetto, che non può conseguirsi da chi non le sente prima in se stesso: come di sopra ha magistralinente Orazio insegnato: Si vis me flere, dolendum est Primum ipsi tibi. (Poet. v. 102. 2.) E necessaria una feconda vivacità di fantasia, cioè: Il buon giudizio è il capital primiero ed a tenore di questa star in guardia che non giunga mai l'estro a turbar ne' suoi trasporti l' equilibrio della ragione, ma che ne senta sempre l'impero. Siccome un ardente, ma bene ammaestrato corsiere, nelle azioni le più focose, senza veruna repugnanza, ubbidisce ad ogni minimo cenno del freno. Or l'impeto e l'ardore, di cui l'estro si forma e la placida tranquillità necessaria ai misurati giudizi della ragione par che non possano esser prodotti che da principj opposti fra loro; e perciò difficilissimi a trovarsi congiunti in un soggetto medesimo: difficoltà donde forse nasce la rarità degli eccellenti poeti. Ai quali io non credo che sia mai raccomandata abbastanza l'attentissima cura di non abbandonarsi ciecamente all'arbitrio dell'estro: che non ben regolato è capace di trarci affatto fuor di cammino, rompendo quella catena, o sia connessione d'idee, la quale o espressa, o implicata almeno, convien pure che necessariamente si trovi (se vogliam che altri c'intenda ) in tutto quello, che da noi si parla o si scrive. I lettori e gli ascoltanti ci precedono con la mente per quella strada, verso la quale abbiam loro accennato d'incamminarci: e se noi, ingannandogli, altrove il nostro corso improvvisamente rivolgiamo; essi da noi, e noi da loro vicendevolmente sempre più allontanandoci, non siam poi abili a più rincon |