Trar le saprai dalle sorgenti Argive, Ancor novelle immaginate appena Credito acquisteran. Che alfine a Vario Ed a Maron come ardiran l'istesso I Romani ritor, che fu da loro
Dato a Plauto e a Cecilio? Ed io, se posso Lieve acquisto sperar, perchè invidiarne A me l'onor? se la natia favella
Di voci ignote allora Ennio già tanto E Catone arricchì? Stampar parole Su l'impronta corrente è sempre stato Lecito e lo sarà. Come, cadute Le prime foglie al declinar dell'anno, Si rinnovan le selve, in simil guisa Invecchian pur l'antiche voci, e in altre Nate pur ora il florido s'infonde
Vigor di gioventù. Dobbiamo a morte Ciò che è nostro a noi stessi. Accolto in seno Della terra Nettun, le navi armate,
Opra real! sottraga a' venti: il grave S'avvezzi a tollerar vomore ignoto Quella che fu gran tempo abile ai remi, Steril palude, or le città vicine
Atta a nutrir: muti il suo corso, apprenda Quel funesto alle messi, altero fiume Miglior cammin: son opere mortali, Perir dovran; non che la grazia e il pregio Delle parole eternamente viva. Rinasceran molte già spente, e molte Or gradite cadran, se l'uso il vuole, Arbitro del parlar, giudice e norma. Quale a narrar l'orride guerre e l'opre
Quo scribi possent numero monstravit Homerus. Versibus impariter junctis querimonia primum, Post etiam inclusa est voti sententia compos. Quis tamen exiguos elegos emiserit auctor, Grammatici certant, et adhuc sub judice lis est. Archilocum proprio rabies armavit iambo. Hunc socci cepere pedem, grandesque cothurni Alternis aptum sermonibus, et populares Vincentem strepitus, et natum rebus agendis. Musa dedit fidibus divos, puerosque Deorum, Et pugilem victorem, et equum certamine pri-
Et juvenum curas, et libera vina referre: Descriptas servare vices, operumque colores Cur ego si nequeo, ignoroque, poeta salutor? Cur nescire, pudens prave, quam discere malo? Versibus exponi tragicis res comica non vult: Indignatur item privatis, ac prope socco Dignis carminibus narrari coena Thyestae. Singula quaeque locum teneant sortita decenter. Interdum tamen et vocem comoedia tollit, Iratusque Chremes tumido delitigat ore:
Et tragicus plerumque dolet sermone pedestri. Telephus et Peleus, cum pauper et exul, uter-
Projicit ampullas et sesquipedalia verba, Si curat cor spectantis tetigisse querela,
De' gran Duci e de' Re metro s'adatti, Omero dimostrò. Prima il dolore Ne' versi impari alternamente uniti, Poi s'espresse il piacer. Ma chi del corto Verso elegiaco è il primo autor, fra loro Contendono i Grammatici; e indecisa La lite è ancor. Fu dalla rabbia armato Archiloco del jambo: e questo i socchi E i coturni usurpar; perchè all' alterno Discorso acconcio, il popolar tumulto Vince sonoro, per l'azione è nato. Euterpe il rammentar gli Dei, gli Eroi, L'Atleta vincitor, l'insigne al corso Eleo destriero, i giovanili affetti, Il licor di Lieo diede alla lira.
L'esposte norme ove osservar non sappia, Nè dare all'opre i lor colori, il nome Perchè avrò di poeta? E per qual rea Stolta vergogna io d'ignorar piuttosto Che d'imparar ciò che fa d'uopo eleggo? Non con tragico stile espor si vuole Un comico soggetto; e la privata Mal sopportan del socco umil favella Le cene Tiestee. Qual si conviene Abbia tutto il suo luogo. Alza la voce Per la commedia alcuna volta, e d'ira Gonfio Cremete in alto stil garrisce; Qual sovente all'opposto in stil dimesso Il tragico si duol. Mendico, errante E Telefo e Peleo tutte rigetta Le ampollose figure e le sonanti Magnifiche parole, al cor se brama
Non satis est pulchra esse poemata: dulcia sunto,
Et quocunque volent, animum auditoris agunto. Ut ridentibus arrident, ita flentibus adflent Humani vultus: si vis me flere, dolendum est Primum ipsi tibi: tunc tua me infortunia laedent,
Telephe, vel Peleu: male si mandata loqueris, Aut dormitabo, aut ridebo. Tristia moestum Vultum verba decent: iratum, plena minarum: Ludentem, lasciva: severum, seria dictu. Format enim natura prius nos intus ad omnem Fortunarum habitum: juvat, aut impellit ad
Aut ad humum moerore gravi deducit, et angit; Post effert animi motus interprete lingua. Si dicentis erunt fortunis absona dicta, Romani tollent equites peditesque cachinnum. Interit multum Divus ne loquatur, an Heros, Maturusne senex, an adhuc florente juventa Fervidus, an matrona potens, an sedula nutrix, Mercator ne vagus, cultor ne virentis agelli, Colchus, an Assyrius, Thebis nutritus,an Argis. Aut famam sequere, aut sibi convenientia finge,
Scriptor. Honoratum si forte reponis Achillem;
Che giungan di chi l'ode i suoi lamenti. Che lo splendido stil pregio bastante D'un poema non è, senza quel dolce Incanto seduttor che il cuore altrui In mille affetti in suo piacer trasportą. L'uman sembiante imitator s'adatta Al pianto al riso altrui. Se vuoi ch'io pianga Piangi tu primo, e dal tuo duol trafitto Eccomi allor. Ma le commesse parti Se male esprimi, o Telefo, o Peleo, M'inviti al sonno, e mi commovi al riso. Or così meste voci al volto afflitto Minacciose all'irato, austere al grave, Scherzevoli al festivo unir conviene. Che a sentir la natura atti ci rende Pria nell'interno ogni diverso affetto, Degli eventi a tenor: col duol ne affanna; N'agita con lo sdegno; e poi dell'alma Per l'interprete lingua i moti accusa. E se allo stato di chi parla i detti Non son concordi, andran le risa in Roma E nobili e plebee sino alle stelle.
Perciò non poco importerà se un Nume È chi parla, o un Eroe; s'uom già maturo, Se nel fior dell'età giovane ardente; Se nobil donna, se nutrice attenta, Mercatante o villan, Pontico o Assiro, Se in Tebe fu, se fu nutrito in Argo. O la comune opinion seconda, O cose in ogni parte a sè concordi Fingi, o scrittor. Se de' tuoi carmi a sorte Vuoi far soggetto il celebrato Achille;
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