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Ma qual è in sostanza questo punto d'appoggio, questa chiave, questo sistema sì necessario alla interpretazione di Dante? Noi l'abbiamo esposto nel lungo Discorso preliminare del I volume, ed è il Concetto fondamentale ch'ebbe l'Alighieri in questo suo sublime lavoro. Se non si afferra innanzi tutto questo Concetto, ecco, senza fallo, rinnovato il caso preveduto dall'Alighieri nel determinare la causa di tanti errori umani. La causa si è, dic' egli:

Perch'egli incontra che più volte piega
L'opinion corrente in falsa parte,
E poi l'affetto lo intelletto lega.
Vie più che indarno da riva si parte,
Perchè non torna tal qual ei si muove,
Chi pesca per lo vero e non ha l'arte.
Par. XIII, 118,

L'impadronirsi dunque, ma senza passione o prevenzione, di questo fondamentale Concetto è appunto l'arte che guida alla pesca del vero nella Divina Comedia, senza tema di errare. Specifichiamo in poche parole questo Concetto sì necessario a sapersi.

Chi dicesse che il Concetto fondamentale è cattolico, direbbe bene, ma non direbbe tutto. A dir tutto bisogna aggiungere anche ascetico in sommo grado. Ecco adunque qual è il Concetto predominante nella Divina Comedia, un Concetto cattolico ed eminentemente ascetico, Questa è la doppia chiave che c'introduce alle segrete cose

di quest'opera maravigliosa: ed è tanto necessaria, quanto necessario sarebbe, per chi volesse entrare in un palazzo, aver la chiave della porta di strada, che mette nell'atrio e nel cortile, e avere anche l'altra che apre i singoli appartamenti. Chi s'attiene e sta pago al solo Concetto cattolico, egli ha la prima chiave, la chiave che veramente lo introduce con sicurezza nell'edifizio; ma dessa non è chiave che gli apra l'accesso a tutto. Ma chi al Concetto cattolico aggiunge anche l'ascetico, eccolo tosto in possesso eziandio dell' altra chiave che gli dischiude ogni stanza. Per esempio colla prima chiave conoscete nel I Canto dell'Inferno che Dante è simbolo del peccatore che vuol convertirsi: e colla seconda chiave conoscete nel II Canto di esso Inferno, che i dubbii e le titubanze di Dante, per non seguire Virgilio, sono simbolo di quei contrasti che ordinariamente martellano il peccatore in sul risolvere la sua conversione. Con questa doppia chiave quei due Canti vi diventano una delizia di venustà, di convenienza, di verità, di chiarezza: e senza questa doppia chiave essi vi restano un intricato spinajo, peggior della selva di Dante, come tale è restato per tanti. Così dir potete di mille altri passi.

Tutto sta poi che questa doppia chiave non sia inventata da una ermeneutica capricciosa, ma sia in quella vece vera fattura dell'autore mede

simo, che ce la dia fra le mani. Or bene, a convincersi ch'essa non è un ritrovato di fantastica immaginazione; ma cosa tutta di Dante, da Dante stesso se ne cavi la prova. Eccovi infatti la nostra Tavola X del Paradiso. Essa non è che tutta la Divina Comedia nel suo Concetto cattolico ed ascetico, avente per têma questa semplice proposizione: Il peccatore santificato nella ricorrenza di Pasqua. Ora, diciamo noi, la Divina Comedia è ella tutta intesa da capo a fondo a sviluppare questa proposizione? La risposta affermativa a questa domanda è già data da Dante medesimo nello sviluppo del tèma. Basta leggere la Tavola per restarne convinti. Dissi ch'è Dante medesimo quegli che ci fa la risposta di affermazione, perchè quanto si dice nella Tavola, tutto, affatto tutto è detto da Dante, e noi non abbiamo fatto che raccoglierne ordinatamente il processo dal principio alla fine delle Cantiche, citando il testo dell'autore ad ogni passo. Questa Tavola non fa che comprovare in modo più stringente quello che già s'era provato col Discorso preliminare e colla Tavola relativa; con questo divario che la Tavola col suo Discorso preliminare procede sinteticamente, e questa invece analiticamente; ma il risultato ne è sempro lo stesso, cioè Concetto cattolico ed ascetico di tutta l'opera incarnato nel peccatore che si abilita ad accostarsi santamente alla

Pasqua col mezzo delle note tre Vie ascetiche, Purgativa, Illuminativa ed Unitiva. La passione ed il pregiudizio, accompagnati da buona dose d'ignoranza, potranno negare ad oltranza questo fondo della mirabilissima tela dantesca; ma contro il fatto non vi ha ragione che tenga. Che giova chiudere le fenestre di bel mezzogiorno per volere così provare che non c'è il sole? Apransi le fenestre e il sole comparirà. E noi che ci lasciammo sempre guidare da questa face dantesca, possiamo e dobbiamo confessare di non esserci mai abbattuti in nessun passo che ce ne facesse pentire, ma di avervi invece trovato per ogni passo la sua soluzione conveniente.

Sappiamo pur troppo che i profani, i quali con idee preconcette e al tutto infondate, si fanno di Dante un idolo a seconda delle lor voglie, ci guarderanno con occhio di compassione, e, diciamolo pure, anche di spregio; ma ciò che monta? Il peggio sarà tutto di loro che non sanno e non vogliono approfittare: ai quali potremmo rivolgere il rimprovero che il B. Rabano Mauro rivolgeva ai suoi censori nella Prefazione al Commentario in S. Matteo, vol. I. Detrahentium atque insultantium non curans vaniloquium, qui magis præsumptioni quam pietati nostrum forsitan deputabunt laborem. Et non mirum, cum magis parati sint aliena lacerare, quam propria opuscula condere. Ma per questi giudei

della letteratura cristiana, che chiudono gli occhi alla luce, siamo certi che tanti e tanti altri gli aprono e gli apriranno salutarmente; e prova ne sia che dopo mille ciancie, spesso velenose, sfringuellate contro il nostro povero Commento (forse senza studiarlo, o nemmanco leggerlo, come avviene solitamente); ora ch'esso Commento si va leggendo é studiando, riceviamo di frequente dall'interno e dall'estero indirizzi di sommi letterati, che si associano volonterosamente alle nostre vedute e le fanno soggetto di encomii più generosi.

Veramente ci ripugna di toccare le proprie lodi; ma ci sentiamo costretti a farlo, non già per noi, ma pel bene che Dante certo sarà per fare, quando sia inteso ed insegnato così. Ed è a questo sol fine che noi publichiamo almeno alcuni dei tanti favorevoli giudizi emessi sulla nostra opera, persuasi che, non volendo altri credere a noi, vorrà almeno credere a tanti migliori di noi, e che pure con noi si vengono accordando perfettamente. I giudizi, di che parliamo, sono qui esposti secondo l'ordine cronologico della loro comparsa.

Ma prima di questo, non possiamo nè dobbiamo lasciarci sfuggire questa occasione per protestare, a tranquillità del publico, contro ciò che da taluni si fa correre in Verona sulla nostr' opera. Venne una fiata a mal talento

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