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discendere a certi più speciali e presenti riguardi da que' generali e distanti oggetti pe' quali spaziavano le mie osservazioni, ho creduto avere sotto altra insegna più libero campo agli esercizj di questa natura, e così potere senza sospetto avvicinarmi anche al terreno ove di sè fanno prove onorate i gentili mantenitori di nostra lingua. In sostanza per altro la materia e la maniera di trattarla rimane sempre la stessa, e credo che.ti possa fare la medesima utilità. Perciò mi bisogna anche quest'anno ripeterti le mie giustificazioni del tenermi abitualmente, od almeno per quanto il poter mi concede, sopra una strada che a parere di tanti moderni dal passo celere, per non dire precipitoso, è riservata soltanto agl' indugiatori e a' retrogradi. Professo dunque di nuovo che, se io t'inculco le osservanze del tempo che acquistossi nome di buono, o di migliore, non è già per ritirarti dalle ragionevoli consuetudini degli odierni scrittori, ma sì per inchinarti, secondo che parimente consiglia ragione, alle virtù degli antichi. Le quali ci

rendeva testè presenti un egregio concittadino, e candido amico mio, con queste belle parole, principalmente indiritte a' giovani:

« Certo appaga il guardo e l'orecchio un' onda pura e schietta, la quale condotta per artificiosi canali o cade in vasche o zampilla in fontane lungo i viali, e i riposi di ameno giardino: pur vinta è in paragone da quella che da alpestre clivo scendendo, chiara e fresca s'avvia per naturale pratello, o bruna bruna si volve sotto il сиро verdore di antica selva. Non diremo che avvenga il medesimo degli scrittori dell' aureo secolo della lingua, posti a confronto con quelli che vennero dopo? Il piacere che destano i primi, move da una vaghezza, che non ricerca e non avvisa nemmeno che vi abbia per lei verun lodatore; che non ambisce, non conoscendoli ancora, ornamenti; che modesta si asconde, qual montana fragola, contenta di sua innocente presenza, e tale per ciò stesso che più alletta ed invoglia chi la mira. Al contrario il piacere svegliato dai secondi nasce da una vaghezza, che per

quanto s'adoperi a contraffare le sembianze, e i vezzi d'una venustà natía, non mai l'arriva; o se collo studio e coll' arte pomposa aspira all' altrui ammirazione, di rado l'ottiene. Tanť è: il secolo della lingua è sempre il secolo che nel corso della perfettibilità dell'uomo, in qualsiasi nazione, forma e compie il mezzo strumentale di oral comunicazione ad altrui di quanto pensa, immagina, e sente l'intelletto, la fantasía ed il cuore

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ognuno. E per conseguente è il secolo, in cui le idee, le immagini e le inclinazioni naturalmente apprese, spontaneamente combinate e schiettamente passionate, sono ancora, e senza sforzo, delineate con vergini segni, espresse con modi ingenui, figurate con frasi candide, e tutte vivezza, grazia, evidenza e proprietà. I secoli della erudizione, de' vasti comcepimenti in lettere e in arti; i secoli delle scienze, che vengono dopo, nulla aggiungono, in ciò che sia d'intima sostanza, alla lingua, perchè già strumento da lunga pezza perfezionato e fatto maneggiabile ed acconcio ad ogni più ardua applicazione. E

tanto sarà legittimo e castigato lo stile, tanto insinuante ed efficace la facondia, tanto culta e convincente la ragione, quanto e stile, e facondia, e ragione seguiranno l'ordine, la movenza, il carattere, o genio natío che si dica, della lingua. Di che rendesi manifesta la necessità di avere continuo ricorso ai testi del buon secolo, affine di educare, o mantenere educato, l'animo e l'orecchio alla materna favella... Ed oh! volesse pure il Cielo che allo studio nobilissimo di riprodurre gli antichi testi corrispondesse, massime nei giovani, il fervente amore di leggerli, meditarli, e bearsene, quasi direi, la mente ed il cuore! Volesse pure il Cielo che una commendabile gara si raccendesse d'imitarne le bellezze; chè un altro felice rivolgimento accadrebbe, di veder cioè rifiorire nelle scritture italiane quella verità, purezza ed eleganza di stile, che fece immortali i nostri maggiori » (1).

(1) Il Prof. Giuseppe Lugli nel Ragionamento sopra i quattro Libri della Imitazione di Cristo, opera di Giovanni Gersenio, monaco vercellese, e l'antica versione toscana testè riprodotta a luce.

Per agevolarti il ricorso alle esercitazioni degli anni passati, ove ti piaccia ancor di giovartene, ho creduto bene di premettere qui per ordine complessivo la tavola delle voci tutte, alle quali si riferiscono. Aggradisci, come le altre volte, queste sincere e disinteressate mie cure; vivi felice, e fatti legge della massima di un sapiente, che il fine del parlare non è il parlare, ma il dire cose utili e degne d' esser comunicate.

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